ORVIETO, CITTÀ DI DUELLANTI
Caro Leoni,
il territorio orvietano, già famoso nel mondo per le lotte delle fazioni medievali, oggi potrebbe rischiare di veder rinverdita la sua fama per la riscoperta dei duelli secenteschi. Nei giorni scorsi si sono sfidati a duello, per fortuna solo verbale e giudiziario, Roberto Minervini e Stefano Cimicchi per la storia delle centrali a biomasse di Fabro e Castel Viscardo. Stando a quello che hanno scritto, pare che la questione riguardi i filtri di quegli impianti, se ci sono o non ci sono, se ci devono essere o no, e se la salute è minacciata o meno. Lei ha già detto che la cosa migliore sarebbe andare a vedere qualche impianto dove funziona e parlare con la gente del posto. Mi può spiegare, a me che sono un cittadino curioso, perché questo non si fa e perché di conseguenza ci si dovrebbe fidare solo di quello che si dice? Perché dunque non si va a constatare di persona? Non si fa per pigrizia? Non si fa perché poi si dovrebbe scegliere? Non si fa perché la cosa importante è lasciare il cerino in mano ad altri?
Anacleto T
Non si fa per due motivi. O per la paura di dover rinunciare alle proprie opinioni e ai propri interessi (niente di nuovo: non ci fu chi si rifiutò di guardare col telescopio di Galilei per non vedere smentite le proprie teorie?). Oppure per semplice stupidità, come quella di donna Prassede, che aveva poche opinioni, ma a quelle era molto affezionata.
ORVIETO, CITTÀ DI BEATA ANARCHIA
Caro Leoni,
nei giorni scorsi ho letto su Orvietosi questa notizia: “Traffico lumaca stamani ad Orvieto scalo per un semaforo non autorizzato sul ponte dell’Adunata. C’è voluto l’intervento dei vigili urbani per rimuovere l’impianto e rispristinare la normale circolazione. Motivo? Una società incaricata dalla Provincia di Terni stamani intorno alle 8 ha iniziato i lavori per ripristino della stazione meteorologica. Solo che in mano avrebbe avuto unicamente una autorizzazione scaduta.” Io non vivo ad Orvieto, ma ci capito qualche volta per diverse ragioni. E trovo situazioni che mi danno la netta sensazione che lì ognuno si sente autorizzato a fare quello che gli pare. Lei che mi può dire? Anche secondo lei è così? Ci sono cittadine dell’Umbria in cui tutto sembra ordinato, governato. Perché ad Orvieto no?
Amanda G.
A Orvieto, cara Amanda, comincia il Meridione. Me ne accorsi tanti anni fa, quando dovetti frequentare Arezzo e circolare con l’auto in quella città. Gli automobilisti davano pazientemente la precedenza ai pedoni ed evitavano di suonare il clacson quando non era indispensabile. Ciò nonostante, se fossi costretto a emigrare, scenderei verso Sud.
ADESSO STAI A VEDERE CHE HANNO TROVATO UN ALTRO MODO PER FARCI LAVORARE. MA NOI NON CI CASCHIAMO
Caro Barbabella,
nel 2008, l’autorità olandese per la misurazione del territorio (Dutch Land Measurement Authority) ha calcolato che il centro geografico d’Italia si trova a Orvieto; precisamente in località Fontanelle di Bardano. Una cattiva notizia per Foligno, Monteluco, Rieti e Narni, che si contendevano tale onore. Ma la notizia non ha suscitato particolare emozione in Orvieto. Forse per gli Orvietani è poco essere al centro dell’Italia?
Valeria D.
Complimenti Valeria, lei è molto acuta. Gli orvietani sanno benissimo che più che essere al centro dell’Italia conta essere al centro dell’attenzione. Ma per esserlo bisogna darsi da fare, e loro non se la sentono di dichiarare guerra alla pigrizia. D’altronde che senso ha faticare per creare occasioni di fatica? E poi, non è forse vero che da quando Giordano Bruno ha parlato dell’universo infinito non c’è più né centro né periferia del mondo, giacché tutto è centro e di conseguenza tutto è periferia? E rispetto al mondo, che vuole che conti essere centro di una “aiuola che ci fa tanto feroci”?
TONI CONCINA, SE HA SBAGLIATO, DOVE HA SBAGLIATO?
Caro Barbabella,
sono stato un sostenitore del sindaco Toni Concina, perché lo ritenevo adatto a sprovincializzare questa cittadina dove mi sono dovuto trasferire per motivi di lavoro e dove sono costretto a risiedere. Ho dovuto constatare che questo personaggio (che ha dimestichezza con mezzo mondo, parla correntemente l’inglese e addirittura ha dato il nome al “telefonino”) è stato quotidianamente tormentato sia da destra che da centro e da sinistra e, alla fine, è stato messo ai margini. Poiché Concina palesemente non difetta d’intelligenza, cultura, onestà e impegno, dov’è che ha sbagliato?
Giuseppe O.
Non sono in grado di darle una risposta seria in poche righe; butto là solo qualche lieve e rapida opinione. L’errore più grande? Quello di partenza: essersi illuso di poter cambiare Orvieto per il solo fatto di essere una novità. E poi? Gli stessi degli altri: navigazione a vista, scarsa spinta riformatrice, squadra chiusa, politica chiusa. Però non credo siano stati errori suoi, comunque non solo suoi, quanto piuttosto della squadra; a lui semmai si può imputare un eccesso di generosità e di tolleranza. L’anatra zoppa si poteva superare in ben altro modo! Peccato, poteva essere un’esperienza più soddisfacente, per lei, caro Giuseppe, e per la città. E anche per Toni, persona squisita, di apprezzato spessore culturale e umano.
La battaglia per il futuro del nostro territorio non è né chiusa né persa
di Franco Raimondo Barbabella
Oggi tutto diventa iperbolico: la notizia non c’è se non fa colpo, l’avversario diventa il nemico da abbattere, il pettegolezzo diventa verità indiscussa; in sintesi, un respiro potrebbe provocare un uragano. Questo è il clima che si agita anche dalle nostre parti e che certo non ci trova impreparati. Infatti, come ben sappiamo, l’agitazione e l’esagerazione qui sono di casa: ce le trasmette non solo la lunga storia delle lotte di fazione, ma anche il clima viperino creato da decenni di battaglie per il potere, che per essere piccolo non vuol dire che fa meno danno. Con la conseguenza che, mentre va in secondo piano ciò che dovrebbe invece essere considerato priorità assoluta, cioè lo scivolamento del nostro territorio verso un ruolo sempre più marginale, non riusciamo né a cogliere ciò che di buono avviene né a trasformare in sviluppo reale le potenzialità che abbiamo. È questa una fonte di vera amarezza per chi crede ancora nell’impegno civico, perché è ben percettibile che con un intelligente sforzo collettivo tali potenzialità potremmo metterle a frutto, e paradossalmente addirittura meglio di altri proprio nell’attuale situazione di difficoltà.
Che cosa vedo di buono? Ad esempio, alcune cose che riguardano sia le amministrazioni pubbliche che i privati: crescono la sensibilità per la sicurezza e la consapevolezza delle opportunità di una seria politica ambientale; sta diventando ovvia l’idea di uno sviluppo del territorio strutturato da una parte sulla filiera cultura-ambiente-enogastronomia-turismo e dall’altra sulla possibile creazione di un distretto dell’alta tecnologia. Ad esempio il fatto che ci sono aziende di diversi settori (meccanica, ingegneria civile, tecnologie digitali, vitivinicoltura) che hanno saputo collocarsi nei piani alti del mercato e rappresentano ormai vere punte avanzate del sistema industriale italiano. Potrei continuare con la citazione di altri pezzi di patrimonio, dall’artigianato alla ristorazione alle professioni. Dunque non si deve dire che tutto va male, che non c’è niente, che è solo un deserto, perché non è vero.
È vero però per converso che c’è ed è pesante anche e forse soprattutto ciò che non va. Non va il fatto che non c’è e comunque non si percepisce un’idea della direzione di marcia; e se non si vede una strategia, non solo tutto diventa incerto e nebuloso, ma possono prendere corpo personaggi e logiche che tirano l’acqua ai mulini del particolarismo. Non va il lasciar fare a ciascuno quello che gli pare, quell’eccesso di tolleranza che si traduce in disordine e in un bel pò di sciatteria e di pressapochismo. Non va la mancanza di coraggio nel camminare spediti verso l’unione dei comuni e nel promuovere politiche territoriali nei settori chiave, a partire da quello energetico e di uso delle risorse. Non va un sistema scolastico strutturato su logiche geografiche (polo su e polo giù, terzo polo, ecc.) localistiche, non proteso perciò né all’elaborazione di una proposta educativa dotata di attrattività interregionale né pronto a reagire positivamente alle sfide formative di oggi, sia generali che settoriali. Non va l’ostracismo verso chi non è allineato. Ma non voglio fare un elenco esaustivo; peraltro non ne sarei capace. Voglio dire che ciò che non va ci blocca al palo e ci fa arretrare.
Piuttosto allora mi preme ribadire il concetto che una classe dirigente che si rispetti, perché consapevole dei doveri che le derivano dall’essersi posta come tale, dovrebbe partire proprio da qui, dalla constatazione che le potenzialità sono ingabbiate da ciò che non va, e preoccuparsi di capire come sbloccare la situazione. In questo senso tutte le discussioni costruttive sono utili, direi anche quelle che diventano polemica pubblica (come ad esempio lo scontro sulle centrali a biomasse), purché ci sia qualcuno (in questo caso evidentemente le istituzioni) che ad un certo punto tira le somme ed assume un orientamento chiaro e determinato. Questo è davvero l’esempio calzante di ciò che vuol dire costruire e praticare una politica territoriale.
Non sono affatto utili invece le discussioni che esprimono le lacerazioni interne di soggetti privati, come sono ad esempio i partiti politici. Soprattutto, se si è fermi all’idea che il mondo passa di lì e che una volta trovato l’accordo dentro quell’ambito esclusivo tutti saranno soddisfatti e così si metteranno tranquilli. La partita oggi è di ben altro tipo e di ben altra portata. Si tratta di riconquistare una visione prospettica con la possibilità di partecipare alle scelte che ci riguardano. Sarebbe un peccato non volerlo considerare e non volercisi impegnare come la situazione richiede.
(La foto in home è di Piero Piscini)