LETTERE PROVINCIALI n. 31 del 16 marzo 2015
MA CHE STORIA È QUESTA DI CENTRALI A BIOMASSE CHE NON CONVINCONO LE MASSE?
Caro Leoni,
mi può dire che sta succedendo sul fronte delle energie rinnovabili nel nostro territorio? Io leggo di sindaci che si oppongono all’eolico sul Peglia, di sindaci (Terzino di Fabro) che prima danno e poi revocano la procedura autorizzativa per una centrale a biomasse, di sindaci (Castel Viscardo) contestati da assemblee di cittadini sullo stesso tema, di una società (Macchia Alta) che contesta tutti accusando amministratori e popolo di ignoranza dei vantaggi di questo tipo di centrali e del fatto che non sono pericolose per la salute. Ma non leggo di un piano energetico territoriale coerente e sicuro. Lei che certamente ne sa più di me, mi dice di chi ci possiamo fidare? È giusta questa disseminazione di centraline? E comunque chi ha ragione, Terzino e il popolo di Castel Viscardo o il proprietario di Macchia Alta?
Teo G.C.
La mia regola è non fidarsi di tutti coloro che sono portatori di interessi economici, politici e ideologici. L’alternativa ideale sarebbe studiare. Diceva Gramsci: “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza.” L’alternativa pratica è fare un viaggetto dove la centrale a biomasse c’è già e ascoltare che ne pensa la gente. Escludendo chi ci mangia.
È GIUSTO CHE IL DIALETTO TOSCANO AMMORBI L’ITALIA E QUELLO PERUGINO E TERNANO SOLO NOI?
Caro Leoni,
si sarà accorto che oggi se non hai un accento toscano non vai da nessuna parte: comici, conduttori tv, giornalisti, annunciatori, commentatori, esperti di tutto e di niente, sono tutti o quasi con accento o fiorentino o pisano o livornese (meno). Avranno fatto, tranne pochi, un corso accelerato di dialetto? Si saranno trasferiti svelti svelti alle Cascine? È vero che la transumanza dialettale in Italia è stata sempre forte (all’epoca democristiana sentivi soprattutto dialetti meridionali; all’epoca berlusconiana e leghista sentivi invece soprattutto dialetti nordici) ma oggi è talmente evidente e rapida che si rimane perplessi. Mah, lei che dice, ci sarà in un prossimo futuro anche un’evidenza dialettale perugina o ternana o folignate fuori dall’Umbria in modo che non assilli solo noi?
Anna G.
Solo due persone sono riuscite a rendere simpatici agli italiani due dialetti umbri: lo spoletino Alberto Talegalli e l’orvietana Anna Marchesini. Ma si tratta di due grandi artisti. Il toscano s’impone perché i toscani, tutti i toscani, sono geneticamente dei mercanti. Spacciano tutto ciò che hanno come eccellente e prezioso, compreso il dialetto. Lo facevano al tempo di Dante, Petrarca e Boccaccio e lo fanno tuttora. Sono cresciuto in un paese del Lazio confinante con la Toscana. Un’azienda agrituristica raddoppiò le prenotazioni quando inserì sul proprio sito internet la dicitura: dalle finestre potete ammirare la campagna toscana.
PAPA FRANCESCO PIÙ RIFORMATORE DI RENZI?
Caro Barbabella,
Papa Francesco ha spezzato una lancia a favore degli insegnanti mettendo in evidenza la loro funzione essenziale e il loro diritto a esser meglio retribuiti. Una tirata d’orecchi a Renzi, che sta tentando di cavarsela stabilizzando alcune decine di migliaia di precari (adempimento peraltro obbligatorio) e mettendo qualche soldo in mano ai dirigenti scolastici per condizionare gli insegnanti? Oppure una frase buttata là senza pensare che si sta discutendo la riforma della scuola italiana?
Valeria S.
Cara Valeria, il Papa ha ragione, se n’è accorto tardi, ma ha ragione. Ma lui è giustificato, sia perché è arrivato da poco, sia perché notoriamente non fa il Presidente del Consiglio. Tutti gli altri invece lo sapevano da sempre, solo che è andato bene così a tutti perché a tutti stava bene il compromesso al ribasso tipicamente italiano, per cui “è vero, ti pago poco, ma in compenso non ti controllo; se fai bene o fai male non conta e se sbagli ci saranno i sindacati che ti difenderanno ad ogni costo; niente carriera, ma anche niente responsabilità; ecc. ecc.”. Con la cosiddetta “Buona scuola” cambierà qualcosa di vero e serio? Difficile dirlo, anche perché (confrontare Ainis sul Corriere di sabato scorso) ormai è costume del governo approvare in CdM le slides, poi aggiustare qua e là, e infine varare “con calma” il relativo ddl lasciando imprecisati gli effetti reali dei provvedimenti. Da quello che ad oggi si riesce a capire, ciò che emerge è una riforma che cambia la scuola nella stessa direzione in cui vengono cambiate le altre istituzioni: grande abilità mediatica che fa pensare ad una rivoluzione che modernizza il sistema a cui nella realtà corrispondono cambiamenti parziali con redistribuzione di potere (meno alla base, più al vertice) senza risorse adeguate e soprattutto senza garanzie di qualità e di efficienza. Basterebbe attestarsi sull’analisi (provvisoria) di tre aspetti chiave: l’autonomia, i presidi-dirigenti, il merito. Tutti e tre ci sono, ma sono parziali, abbozzati, non chiari. Soprattutto, nessuno si è posto il problema di capire come stanno le cose nella realtà e se e come i provvedimenti rispetto alla realtà potranno funzionare. Il Governo affida al POF (Piano dell’Offerta Formativa) delle scuole il compito di esercitare l’autonomia nel territorio e affida ai presidi-dirigenti di attuarlo scegliendo i docenti adatti al compito. Bello, si dirà, non era ciò che da tempo molti auspicavano? Già, mediaticamente funziona, ma la realtà che dice? Dice che tranne rare eccezioni i POF sono se va bene rappresentazioni formali di intenzioni e la programmazione è parola quasi sconosciuta nel suo vero significato. La preparazione a gestire in modo efficace l’autonomia richiederebbe come minimo un anno di formazione tosta e selettiva dei dirigenti e l’affermazione di una logica di staff con docenti preparati allo scopo e non per tirare a campare con un minimo di dignità. E le risorse finanziarie ci sono? Robetta. Non credo che Papa Francesco avesse in mente tutto questo, né ovviamente gli spetta avercelo. Ha semplicemente detto una cosa vera in quanto ovvia. Pare piuttosto che la novità che ha colpito di più i giornalisti perché mediaticamente vendibile sia la “Prof Card”, analoga alla tremontiana “Social Card”, con cui il docente ogni mese per dieci mesi potrà comprarsi libri o biglietti per cinema e teatro. Insomma, una specie di sussidio per i poveri di sapere e di cultura: non mi pare la strada per andare in paradiso. Ci sarà da approfondire, vedere, ragionare, ma a caldo non vedo un caleidoscopio di geniali innovazioni. Soprattutto, dove si pensa di andare senza una vera logica di sistema? E senza quattro precise attività, assolutamente prioritarie: preparazione e valutazione dei presidi-dirigenti, immissione in ruolo dei precari con corsi obbligatori di formazione e conseguente verifica dei risultati, formazione obbligatoria di tutti i docenti, sistema di valutazione regolare e permanente delle singole istituzioni?
LEGGE ELETTORALE REGIONALE SBAGLIATA, MA MEGLIO NON ASTENERSI
Caro Barbabella,
si avvicinano le elezioni regionali, anche se il governo le ha allontanate di qualche settimana. Gli Umbri si sono largamente disinteressati al dibattito sulla legge elettorale e andranno a votare con la legge furbetta e forse incostituzionale approvata dal consiglio regionale. Ma ci andranno a votare? O faranno come gli Emiliano-Romagnoli, che hanno disertato le urne, ridicolizzando la loro regione e i loro politici?
Ettore G.
Caro Ettore, non sono così bravo da saper fare previsioni sul comportamento elettorale degli Umbri; peraltro lei capisce che, se ne fossi capace, potrei sostituire Piepoli e farmi ricco. Magari ci proverò il prossimo giro. Per ora mi limito a registrare il fatto che la distrazione dei cittadini, io credo non del tutto innocente e disinteressata, ha consentito all’attuale classe dirigente di blindare la sua continuità con una legge ad hoc. Gli spazi di democrazia si restringono, i territori meno forti saranno ancor più penalizzati, e questa a me non pare una risposta intelligente ai problemi di oggi e a quelli di prospettiva. Ci sarà una protesta con l’astensione dal voto? Come ho detto, non lo so, ma certo non è da escludere. Nel caso però non credo che sarà una protesta contro la legge elettorale, quanto piuttosto un essere contro generico, non organizzato, sostanzialmente inefficace. L’astensione in Emilia-Romagna, come d’altronde in Friuli e da altre parti, non mi pare che abbia preoccupato più di tanto qualcuno. In Umbria sarà la stessa cosa. In fondo i pochi amano restare pochi. Allora, per chi vuole cambiare qualcosa, forse è meglio non fare né il puro né l’indifferente e starci dentro.
L’elzeviro della settimana
A proposito di vendita dell’ex ospedale. Evviva, il mercato ci governerà! Ma non dite che ne siete sorpresi
di Franco Raimondo Barbabella
Vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto è l’espressione con cui si indica un atteggiamento di tipo ottimistico o pessimistico. Io normalmente non vedo il bicchiere né mezzo pieno né mezzo vuoto; lo vedo mezzo, nel senso che cerco di capire come stanno le cose, senza sposare a occhi chiusi una tesi piuttosto che un’altra; e non mi mancano occasioni di conferma per continuare a pensarla così.
Ad esempio, giovedì scorso ci sono stati due fatti che di per sé, ad un primo sguardo, ad alcuni possono far venire in mente il bicchiere mezzo pieno e ad altri quello mezzo vuoto, mentre a me hanno dato l’occasione per confermarmi nella convinzione che è meglio partire dall’idea che il bicchiere in partenza è semplicemente mezzo e può riempirsi o vuotarsi a determinate condizioni, oggettive e soggettive. Si tratta dell’inaugurazione, avvenuta la mattina da parte della presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, della nuova sala operatoria per la piccola chirurgia del nostro ospedale, e della discussione in Consiglio comunale, avvenuta nel pomeriggio, dell’intesa Comune-Regione per la soluzione del problema dell’ex ospedale di piazza Duomo.
Che cosa è emerso da questi due fatti che mi fa propendere per il bicchiere solo mezzo? Quello che hanno detto, la mattina la presidente Marini e il pomeriggio il sindaco Germani. Vediamo, dunque. La presidente ha colto l’occasione per ribadire che l’ex ospedale sarà venduto e il ricavato servirà per rafforzare e migliorare i servizi sanitari territoriali; il sindaco, a sua volta, ha confermato quanto detto dalla presidente, ed ha aggiunto parole tranquillizzanti rispetto sia al fatto che il potere di decidere la destinazione d’uso dell’immobile resterà in capo al Comune sia alla necessità e all’impegno di inserire tale destinazione in una visione generale della funzione del patrimonio immobiliare del centro storico, visione che ad oggi non c’è ma a cui si starebbe lavorando.
Entrambi gli interventi si prestano, è ovvio, a vedere il bicchiere sia mezzo pieno che mezzo vuoto. Mezzo pieno, perché finalmente si vede un avvio di soluzione di un groviglio di problemi: sanitari, urbanistici, edilizi, economici. Ma anche mezzo vuoto, perché si tratta di enunciazioni, a cui volendo si può credere oppure non credere. Dunque, appunto per questo, per me meglio fermarsi al bicchiere solo mezzo e riflettere.
L’unico fatto certo è che la ASL sarà incaricata di vendere l’ex ospedale e che questo avverrà senza che né si sia definita la sua destinazione, né si sappia in quale contesto di piano delle destinazioni tale decisione sarà presa, né sia emersa un’idea di città che di tutto ciò rappresenti una giustificazione probante. Non si poteva fare prima? Sì che si poteva (e dunque si doveva) fare prima! E così, sulla base dell’urgenza (eh sì, oltre dieci anni di urgenza!) ci sarà chi deciderà al posto di chi avrebbe avuto il potere (e dunque, ripeto, il dovere) di decidere.
Chi è costui? Ma il mercato, signori, il mercato!, il nuovo deus ex machina, il marchingegno che scioglie le matasse intricate quando il potere formale deputato a farlo non vi riesce, rinunciando così di fatto a fare il suo mestiere. Vogliamo anche fare subito la scommessa che la vendita sarà non solo travagliata ma anche al ribasso che più ribasso non si può? Mi auguro di sbagliare, ma l’esperienza questo dice, e allora occhi aperti perché la svendita del patrimonio (e che patrimonio!) non è mai un bell’affare. Di più: è legittimo chiedersi e chiedere se per caso si sta aprendo la strada per una soluzione analoga, almeno nella logica, anche per l’area di Vigna Grande? Io non ho nulla contro il mercato, figurarsi! Ma se il mercato è il luogo in cui l’impresa fa il suo mestiere, non quello che diventa il surrogato surrettizio del potere pubblico, elettivo, perciò di tutti. Dunque gettare la spugna no! Io penso che la città che rinuncia a governarsi, non tanto con i vincoli, quanto con gli indirizzi e le iniziative secondo un disegno lungimirante, si crea i guai da sola e si condanna ad un ruolo subordinato e marginale nel contesto più generale. Ciò che non riesco proprio a digerire, chiunque ne porti la responsabilità.
Si dirà: ma che si vuole, sia il pozzo che la luna o addirittura la luna nel pozzo? No, si vorrebbe un po’ di lungimiranza e di coerenza. Si è arrivati a questo punto sapendo che ci si sarebbe inevitabilmente arrivati, perché, date le premesse, era logico che così fosse, e non solo perché c’è stato chi l’ha detto da tempo, cioè fin da quando furono imboccati i sentieri angusti del realismo spicciolo. Dove sono oggi quelli che allora contribuirono ad impedire o concretamente impedirono che si ottenesse il risultato sperato senza consegnarsi al mercato? A questo proposito ci sarebbe da fare una riflessione più generale: perché accade quasi sempre che una soluzione razionale che serve a pochi viene preferita ad una che, almeno in ipotesi, può servire a tutti? Ma andremmo troppo lontano.
Diciamolo, la città paga quello che alla prova dei fatti essa stessa è. Il fatto però è che potrebbe anche non essere così, e mille ragioni ci dicono che anche questa è una possibile realtà. Dunque voglio affermare con convinzione che ancora si potrebbe fare qualcosa di significativo per correggere un andamento che oggi non appare esaltante. Purché non si pensi di risolvere i problemi con gruppi di lavoro burocratici o con partecipazioni fasulle. Tantomeno affidandosi al dio mercato.
Insomma, chi si è proposto ed è stato scelto per governare ci dica quale idea ha della città, quale piano strategico delle risorse intende adottare, con quali indirizzi e progetti vuole dargli gambe e sostanza, con quali iniziative coerenti intende muoversi. Quando lo avrà detto, noi (i cittadini) diremo la nostra. Mi auguro che si comprenda che solo questa è la vera partecipazione e che i tempi per farla sono ormai molto stretti.
La foto “Luci e ombre” è di PIero Piscini