SARÀ VERO CHE ANCHE QUI È INIZIATA UNA POLITICA TERRITORIALE?
Caro Leoni,
che ne pensa di questa dichiarazione di Germani, è veramente l’avvio di una reale politica territoriale o è il solito fumo negli occhi di un’operazione che riunisce sigle per gestire un po’ di soldi rimediati qua e là?: “Tutti questi strumenti: Patto VATO, Aree Interne, GAL che nei giorni scorsi hanno avuto un grande impulso, grazie alla condivisione fra le varie amministrazioni – ha sottolineato il sindaco di Orvieto, Giuseppe Germani – concorrono ad un progetto unico di valorizzazione e di sviluppo della nostra Area Vasta, e mettono al centro uno degli assi portanti della nostra economia, che è: Turismo, Ambiente e Cultura”.
Sergio N.
Le politiche territoriali promosse dall’Unione Europea e perseguite dal governo nazionale e dalla regione sono pannicelli caldi su un’economia languente nella depressione. Quando lo spirito imprenditoriale si desterà dal torpore, anche le politiche territoriali, e la politica in genere, serviranno a qualcosa. A mio modesto avviso il sonno dell’imprenditoria non può durare a lungo perché la natura umana finisce sempre col reagire agli incubi notturni.
IL POTERE E LA TESTIMONIANZA
Caro Leoni,
lei e il suo amico Barbabella sono anni che parlate, analizzate le questioni, criticate e date indicazioni, ma chi vi ascolta? Non capite che chi ha il potere, qui o a Roma, fa come gli pare? I Consigli vari e lo stesso Parlamento contano ormai poco o niente. Men che meno contano le singole persone. Voi vi accontentate della testimonianza?
Federico T.
Il protagonista del romanzo “Gli egoisti” di Bonaventura Tecchi fa notare alla protagonista che le fontane di piazza San Pietro sono particolarmente gioiose perché sono in due. L’acqua che sgorga dalle due fontane tra loro dialoganti non pretende di definire dogmi né di eleggere Papi, ma, se le fontane non ci fossero, piazza San Pietro sarebbe diversa.
LA TELENOVELA DELLA SINISTRA
Caro Barbabella,
la telenovela del più grosso partito della sinistra orvietana è uno spettacolo che dura da sempre. Ma gli sceneggiatori sono sempre più fantasiosi. Per andare incontro a un pubblico sempre più esigente o per stimolare attori sempre più scadenti?
Secondo M.
Caro Secondo, lei ha ragione a dire che è uno spettacolo che si replica da molti anni, ma dovrebbe anche aggiungere che forse non è poi così male se dura tanto a lungo. È vero, qua e là si sente ogni tanto qualche fischio, qualcuno che impreca e qualcuno che tira un pomodoro. Di più, una volta in parecchi hanno fatto venire una nuova compagnia di attori, che però non ha offerto uno spettacolo migliore ed è stata costretta a ritirarsi. Tutto vero, ma insomma, glie lo ripeto, se dura così a lungo vuol dire che come minimo è uno spettacolo che a parecchi piace. Perché vede, magari cambiano gli attori principali, cambiano anche il regista e lo sceneggiatore, ma lo spettacolo è quello, cosicché alla fin fine è una garanzia. Non mi chieda altro per favore. D’altronde io, credo come anche lei, sto aspettando la prossima replica. Se però lei per impedirla volesse chiudere il teatro, allora per cortesia mi avvisi. Mi dovrei preparare spiritualmente per accontentarmi della tv.
L’UOMO DELLA PROVVIDENZA
Caro Barbabella,
anche in Orvieto c’è chi si dà da fare per sostenere la candidatura di Claudio Ricci alla presidenza della regione. Lei che segue la politica regionale, mi può spiegare di dov’è questo signore, quali sono le sue qualità e quali sono le sue intenzioni? Non sarà che il settore della Provvidenza addetto all’Umbria abbia trovato il suo uomo?
Filippo F.
Caro Filippo, naturalmente lei sa chi fu definito “uomo della Provvidenza”, chi lo definì così e in quali circostanze. E io perciò le dico subito che chiunque ne ispiri il ricordo anche solo per fare ironia non raccoglie le mie simpatie. Le dirò di più. Io credo che quando papa Pio XI quel 13 febbraio del 1929, essendo stati firmati due giorni prima dal cardinale Pietro Gasparri e da Benito Mussolini i Patti Lateranensi, pronuncio quel discorso agli studenti e ai docenti della Cattolica di Milano in cui definì Mussolini appunto “l’uomo che la Provvidenza mi ha fatto incontrare”, non fece un gran servizio né alla Chiesa né all’Italia. Dunque non tratti così male Claudio Ricci, che è persona mite, almeno all’apparenza, ed è sindaco di Assisi, la città di San Francesco. Ora è anche vero che l’unica ragione che pare Ricci adduca per giustificare la sua autocandidatura a Presidente della Regione è proprio il fatto di fare il sindaco di Assisi. Una ragione che a più d’uno appare in effetti un po’ sproporzionata al compito, e forse da qui nasce lo sfottò che piace anche a lei. Ma piuttosto, mi dica, lei pensa che ancora oggi ci sono quelli che hanno bisogno di un capo a cui credere, a cui obbedire e per cui combattere”? No, non mi risponda subito, faccia con calma, c’è tempo.
L’elzeviro della settimana
NECESSITÀ DI UNA NUOVA UMBRIA. PERCIÒ ROVESCIARE LA PIRAMIDE
di Franco Raimondo Barbabella
In un bell’editoriale di domenica 20 febbraio, il direttore Dante Freddi analizza, mi pare con amarezza, le difficoltà di lungo periodo dei rapporti di Orvieto con l’Umbria e, convinto di una sostanziale sconfitta della città per colpa di entrambe le parti, alla fine conclude che oggi conviene usare la sensatezza per ottenere qualcosa. E con sensatezza intende che, se non si è in grado di fare di più, almeno si plachino i contrasti delle fazioni, ci si concentri su alcuni progetti e si cerchi di ottenere i relativi finanziamenti. Naturalmente è il minimo che si possa sperare, ma non per questo è una posizione disprezzabile, anche perché è quella che è prevalsa dopo la sfida degli anni ’80 e che dura a tutt’oggi. Però con tutta franchezza io, oggi come ieri, la ritengo inadeguata a fronteggiare le necessità e a valorizzare le potenzialità del nostro territorio. Peraltro sono convinto che non solo non si placheranno i contrasti cittadini e di partito, ma per questa via non si costruiranno nemmeno prospettive credibili e in buona sostanza alla fine si potrà registrare solo una complicità di fatto con il disegno neocentralista che sta di nuovo avanzando a grandi passi anche in Umbria. Di qui le riflessioni che seguono.
- Anzitutto una precisazione di natura storico-politica. C’è un’abitudine consolidata nella classe dirigente orvietana largamente intesa a trattare il recente passato in modo schematico e con vistose omissioni, i cui motivi possono essere diversi a seconda dei soggetti e delle situazioni, ma il cui effetto sicuro è che così si continua a rendere opache sia le responsabilità passate che quelle presenti e nel contempo a mortificare le potenzialità di sviluppo che da ieri giungono frustrate fino ad oggi. Mi riferisco essenzialmente al fatto che la battaglia per il consolidamento della Rupe non fu vinta solo perché in Consiglio regionale c’era Sergio Ercini (e però anche Marcello Materazzo) e in Parlamento Mario Andrea Bartolini (e però anche Fabio Maravalle, e soprattutto Luigi Anderlini, senza la cui competente e paziente opera la legge speciale né ci sarebbe stata nel ’78 né sarebbe stata poi rifinanziata più volte fino alla 545 dell’87). Fu vinta anche (se non soprattutto) perché il governo della città non si limitò a chiedere di salvare un patrimonio storico-artistico-ambientale di interesse mondiale, ma con il Progetto Orvieto trasformò un possibile dramma in progetto di salvaguardia e valorizzazione, esso stesso di interesse europeo e mondiale (sarebbe utile per chi volesse informarsi leggere i documenti e i verbali degli incontri con i parlamentari europei a Bruxelles e con la Commissione Cultura del Consiglio d’Europa a Strasburgo, nonché). E la legge speciale a quel punto non fu più solo una legge di emergenza, ma una legge che finanziava un intervento globale su un unicum, un progetto complessivo di salvaguardia e valorizzazione. Un modello di intervento che ebbe appunto il sostegno del Parlamento Europeo, del Consiglio d’Europa e dell’UNESCO, rese possibile e credibile l’appello di 100 fra i più noti intellettuali italiani, e in tal modo facilitò e accelerò l’iter di approvazione della legge 545 a chiusura degli interventi. Un esempio di come si può e si deve agire per una città come Orvieto: non un lamento, ma una proposta e una prospettiva valida di per sé e come modello esportabile in situazioni consimili. Poche città lo possono fare: Orvieto ha dimostrato di saperlo fare. Dimenticare tutto questo non è un vezzo o una distrazione, ma sempre e comunque un’operazione politica a perdere.
- Poi una questione che io ritengo rilevante al pari della precedente. Si tratta di una semplice domanda, anch’essa rimossa dal dibattito politico della città: perché quel percorso fu interrotto? Non è certo una domanda oziosa, e per rendersene conto basterebbe notare che il meccanismo si è riproposto quasi identico nella vicenda che ha interrotto il lavoro di RPO per la valorizzazione dell’area di Vigna Grande. Non la faccio lunga, perché ne ho scritto in diverse altre occasioni, invocando anche un dibattito pubblico, che naturalmente è stato sempre evitato. E l’ho invocato ieri, così come lo ricordo oggi, non certo per rivangare il passato (non vivo con gli occhi rivolti all’indietro), ma perché solo facendo i conti con il passato ci si può liberare dai suoi lacci e gettare lo sguardo nella profondità del futuro. Altrimenti il passato sta sempre lì e si ripropone. Basta guardare alle dinamiche delle classi dirigenti, caratterizzate da allora ad oggi non tanto da una competizione a chi è più bravo a garantire gli interessi della comunità e a sfidare chi ne ostacola lo sviluppo sul terreno delle idee coraggiose e dei progetti convincenti per spessore e portata, quanto da una lotta talvolta sorda e talaltra plateale ad occupare posizioni nel sistema di potere. Una concezione povera e una prassi grezza della politica (anche se sintonica con un degrado generale palpabile), lontana anni luce dalla funzione che avrebbe il dovere di assumere nelle difficili e rischiose condizioni odierne.
- Infine il conflitto oggettivo con le tendenze politiche prevalenti in Umbria oggi. Negli anni del riformismo modernizzatore, nel linguaggio delle classi dirigenti dell’Umbria veniva normalmente usato il termine policentrismo e ad esso corrispondevano da una parte speranze di crescita nei territori tradizionalmente marginali e dall’altra politiche che a tali speranze davano almeno l’illusione di avere un qualche fondamento. Poi progressivamente tutto è cambiato: il policentrismo è diventato parola vuota di contenuti e da un neocentralismo strisciante si è passati a scelte esplicite con questo segno, addirittura teorizzandole e traducendole in legge. A questa tipologia appartiene di fatto la nuova legge elettorale regionale. In sostanza, la risposta alla crisi avviene restringendo ancor più gli spazi di democrazia nell’illusione che così, mentre si salvaguarda meglio il sistema di potere esistente, si potrà anche gestire meglio la distribuzione delle poche risorse e decidere a chi e a che cosa dare la precedenza. Ne consegue inevitabilmente una fase di nuova marginalizzazione dei territori tradizionalmente più deboli, e Orvieto è tra questi.
La proposta di legge alternativa, quella dell’Alleanza dei Territori, non è passata, è vero. Ovviamente nessuno si era fatto illusioni, ma il prevalere della logica dei numeri non equivale né alla fine della storia né alla sconfitta della ragione. Noi non siamo i Don Chisciotte che lottano contro i mulini a vento; noi poniamo un problema politico grosso come una casa, quello di come intendere l’Umbria nel quadro della prossima inevitabile revisione del regionalismo e di come collocare il territorio orvietano nella politica regionale di questa nuova fase. Perciò avere o non avere una rappresentanza nel prossimo Consiglio regionale non è vero che non cambia nulla. Per questo, anche con una legge elettorale a collegio unico che premia le realtà più popolose e potenti, ci dovrà essere la possibilità di scegliere chi vuole un’Umbria diversa, a piramide rovesciata.
Si tratterà di scegliere: che almeno si sappia che chi sceglie di non scegliere sceglie lo stesso. Ed è vero che la memoria tende ad accorciarsi sempre di più, ma non potrà accadere che alla fine tutti si proclamino con successo innocenti. La sfida degli anni ottanta, che era per la modernizzazione e lo sviluppo mediante la valorizzazione delle specifiche risorse territoriali, fu violentemente soffocata, con le conseguenze che si sono viste sia nell’immediato sia in prosieguo di tempo, sostanzialmente fino ad oggi. La sfida di oggi, che è per uscire da un’incipiente degrado generale da zona marginale e per reinventare e rilanciare ruolo e sviluppo del territorio, sarà raccolta o sarà anch’essa prima snobbata e poi, qualora prendesse corpo, ancora una volta soffocata? Comunque sia, l’esito dipenderà soprattutto da noi.