di Mario Tiberi
Qualcuno o qualcuna, pur restando nell’anonimato, mi ha definito il microfono e l’altoparlante della gente comune che vorrebbe dire ciò che io dico e scrivo ma, per timore o viltà, non ha il coraggio né di scriverlo e né di dirlo.
E’ mia intenzione, con le parole che seguiranno, di dare voce e far parlare gli innumerevoli cittadini e concittadini, di ambo i sessi, che hanno onorato con i loro commenti, sia diretti che indiretti, le esternazioni pubbliche del mio pensiero politico e sociale e del mio impegno civile e culturale.
Cercherò di mettere insieme una sintetica sinossi antologica, sul modello di un florilegio, attraverso la selezione e la cernita dei fiori più pregiati e più colorati: se fossimo all’interno di un pentagramma musicale la potremmo asseverare alla stregua di un “Medley” canoro senza soluzioni di continuità.
Da Perugia, un carissimo Amico, del quale per rispetto della sua privatezza tralascio il nome, mi scrive che la lettura dei miei scritti lo appassiona e lo arricchisce come anche, però, lo rattrista il pessimismo che li connota. Se essere realisti significa, nel drammatico contesto attuale, anche essere pessimisti, ebbene: io lo sono!. Sappia comunque, il da me stimatissimo Amico perugino, che da sempre ho reso mia la immensa verità contenuta in un Salmo Biblico e che, così, recita: “In ogni fanciullo, e cioè in ogni Uomo puro e giusto, vive la speranza che Dio ha ancora fede e fiducia nell’Umanità”. Per omaggio alla regola di pari condizioni, aggiungo inoltre una locuzione laica e pagana, attribuita a Marco Tullio Cicerone, che può essere conciliata a quella appena riportata: “Aegroto dum anima est, spes est”, con il significato di “Tutto intorno è malato, ma finché avrò vita, avrò speranza”.
Una seconda dichiarazione ha inteso rimarcare che le espressioni verbali da me utilizzate sono sì inconfutabili e chiare, ma anche terribilmente amare per molti da mai abituati alle critiche o ad essere contraddetti e quindi, per cui, il rischio incombente per la mia persona è l’altrui ostracismo, quello più cinico e ferreo e del quale, però, non temo né il dispiegarsi e né il frangersi.
Si collega, in linea di stretta razionalità, l’affermazione che l’esercizio delle potestà pubbliche non può e non deve essere ricondotto alla mercé di un mestiere qualunque, bensì assurgere alla dignità e al grado sublime della “ Missione”: missione di chi ha capacità ed energie per catalizzare le attese di una collettività e tradurle in atti concreti di certezze realizzative.
E poi, ancora, di seguito: uno commenta che ai precisi e inchiodanti dati di fatto forniti da Tiberi, almeno per cortesia, sarebbe doveroso rispondere; un altro annota che, per anni, ha dovuto subire le angherie del proprio capufficio e che la fermezza, dimostrata dallo scrivente, gli ha infuso tanto e tale coraggio da potersi riappropriare del bene grande della libertà di pensiero e di azione; un terzo sottolinea, a proposito della disparità di trattamento tra chi è potente e chi non lo è, che non è giusto e legittimo adottare la bilancia dei due pesi e il metro delle due misure.
Mercoledì scorso, incrocio una persona che di getto mi degna della sua attenzione esclamando: “Tiberi non pensare male di me, ti ho sempre stimato”. In un attimo il mio ricordo è corso velocemente all’esame di Diritto Romano che, in gioventù, sostenni con il Professor Edoardo Volterra e all’oggetto di una sua domanda sulla “Lex Aquilia” e sul principio della “Excusatio non petita, accusatio manifesta”.
Oltre a quanto già riportato, il vertice di elevatezza di pensiero è stato raggiunto da chi ha avuto la sensibilità di pronunciare la seguente elegia: “…ascoltare il silenzio della gente che dignitosamente non piega le ginocchia; bagnarsi con il sudore di chi si affanna per procurarsi, tra mille difficoltà, ciò di cui abbisogna…”.
Parole che arrivano a toccare gli abissi più profondi dell’animo umano ma, di fronte a codesto grido di vissuta sofferenza, dai palazzi di una politica cieca, avvitata su se stessa e sclerotizzata in forma e sostanza, non una risposta, non un gesto di solidarietà, non un afflato di partecipazione emotiva al dolore composto e dignitoso degli strati più poveri ed indifesi della popolazione cittadina e, su più larga scala, di quella italiana in generale.
Le stesse vicende interne al PD orvietano sono lì a dimostrare quanto di antiquato e di inadeguato vi sia nelle dirigenze partitiche in ordine alla complessità dei problemi che bussano, sempre più insistentemente, alle porte del vivere quotidiano. Da osservatore esterno, non essendo intenzionalmente più partecipe a tali vicende dopo averle per anni denunciate, mi permetto di intervenire per un ennesimo consiglio, spassionato e generoso: non state a dibattere sul nulla, piuttosto procedete in fretta a ricoagulare, se ed in quanto possibile, la maggioranza politica uscita vincente dalle elezioni di maggio 2014 e, contemporaneamente, a ridisegnare i tasselli compositivi della giunta esecutiva in quanto, così come attualmente è strutturata, non offre valide garanzie di efficiente governo civico.
Mentre sto scrivendo, mi è balenata un’idea: alla prima occasione utile proporrò ai responsabili, spesso irresponsabili, delle sorti pubbliche di collegarsi permanentemente al sito “www.amplifon.it” poiché, pure alla sordità vi è rimedio, anche a quella che ricalca l’adagio popolare per cui “non esiste peggior sordo di chi non vuol sentire”.