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Home Politica

Poste italiane spa e la chiusura degli uffici nei piccoli borghi. Una storia tutta italiana

Redazione by Redazione
19 Febbraio 2015
in Politica, Corsivi, Archivio notizie
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di Angelo Pettinacci, presidente Consiglio comunale di Orvieto

Credo che siamo tutti d’accordo nell’essere preoccupati per la paventata futura chiusura dell’ Ufficio Postale di Sugano, e solidali con tutte quelle frazioni Orvietane, come ad esempio Canale, che hanno subito già lo stesso trattamento.

Nessuno dei commentatori intervenuti fino ad oggi ha cercato però  seriamente di capire e trattare l’origine del problema.

Può essere utile a capire ed affrontare il problema uno dei tanti articoli della stampa riguardo la “Privatizzazione delle Poste”, ad oggi comunque non ancora avvenuta.

 

Poste Italiane è una società di proprietà del Ministero del Tesoro che gestisce il servizio postale italiano, ma che si occupa anche di raccogliere il risparmio dei privati (… in modo non troppo diverso da una banca) e di offrire servizi assicurativi (… in modo non troppo diverso da una banca).

Secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) la vendita delle quote di Poste Italiane potrebbe fruttare tra i 4 e i 4,8 miliardi di euro che saranno utilizzati per ridurre di circa lo 0,45% il debito pubblico (Sic!).

Entreranno nel azionariato investitori istituzionali (banche, fondi pensioni, fondi di investimento), in piccola percentuale i dipendenti ed infine per la parte restante la cosiddetta clientela “retail” (cioè gli altri investitori privati).

Poste Italiane è una società che conta circa 145 mila dipendenti e 24 miliardi di euro l’anno di fatturato. Di questi, soltanto un quinto arriva dall’attività postale vera e propria e tutto il resto deriva invece dall’attività finanziaria (tutte le attività che fa Banco Posta, come ad esempio le attività assicurative). L’utile netto è pari a 1 miliardo, ma bisogna considerare che ogni anno la Cassa Depositi e Prestiti (CDP, una specie di grande banca semi-pubblica), paga alle Poste 1,6 miliardi come “commissione” per poter gestire il risparmio raccolto da Poste Italiane.

L’operazione di vendita è però una “privatizzazione anomala”. Lo Stato mantiene il controllo della società, mentre ai privati viene richiesto di entrare nel capitale, ma senza poter prendere decisioni e guidare l’azienda. Quello che i privati otterranno saranno i dividendi delle azioni. In cambio del versamento di 4-5 miliardi, potranno contare sul 40 per cento dell’utile netto prodotto.

Secondo alcuni commentatori del settore finanziario l’operazione, ricordo ancora ad oggi nell’ agenda Governativa, non renderà affatto più efficiente il mercato.

Poste Italiane gode al momento di una situazione privilegiata rispetto ai suoi competitors (sia quelli che effettuano servizi postali sia quelli che effettuano servizi bancari e assicurativi). Come suddetto Poste gode di un rapporto privilegiato con la CDP e riceve varie compensazioni pubbliche. Tutti questi fattori, segnalati sia dall’Antitrust che dalla Commissione Europea, rendono Poste Italiane un’azienda che produce utili grazie ad una posizione forte e privilegiata nel mercato (e che la rende quindi, potenzialmente, un’azienda poco efficiente).

Ma se il Governo ha intenzione di venderne una parte per fare cassa, non può modificare nessuno di questi privilegi, altrimenti rischia di pregiudicare la redditività dell’azienda e scoraggiare gli investitori a partecipare all’acquisto. D’altro canto, mettere in vendita un’azienda che fa redditività grazie a sconti e altri aiuti pubblici rischia di non rendere il mercato più efficiente.

Come riassume Ugo Arrigo, professore di economia all’università Bicocca di Milano: “La redditività delle Poste si basa su tre pilastri fondamentali, nessuno dei quali è di mercato: compensi pubblici per la raccolta del risparmio, compensazioni pubbliche per il servizio universale ed il fatto di svolgere servizi bancari utilizzando personale che gode di un contratto molto meno favorevole di quello dei bancari. Poiché solo lo Stato può garantire la permanenza nel tempo di questi tre pilastri, la privatizzazione parziale avrebbe per oggetto non un’azienda di mercato bensì un’azienda a redditività di Stato“.

 

Detto questo credo che la politica dovrebbero prima porsi una domanda ed individuata la risposta, lavorare per una soluzione adeguata.

Le Poste Italiane devono tornare ad avere una funzione di “servizio pubblico” come in passato o devono essere privatizzate seriamente e stare alle regole del mercato ?

In sintesi, visto che Poste ha da tempo intrapreso la via del “mercato” e visto che i ricavi per buona parte gli derivano dalla attività bancaria/assicurativa, è chiaro che le scelte di mercato sono quelle che la guidano nelle decisioni e cioè: se un punto vendita è in perdita si chiude !.

Inoltre, se Poste è una azienda che sta sul mercato mi sembra fuori mondo pensare che un Ente come la Regione possa proporsi di offrirgli locali a fitto zero per restare aperti. E perché allora non pagare i fitti anche alle filiali nei piccolissimi borghi italiani che Bcc, Casse Rurali, Casse di Risparmio e piccole Popolari tengono ancora aperte ?!

Allora, a parer mio, cosa dovrebbe fare un’ Amministrazione e la politica. Lavorare con le Associazioni rappresentanti la società civile ed i cittadini per far crescere il tasso di bancarizzazione (in sintesi insegnare e far abituare i cittadini – in particolare la popolazione più matura – ad usare una carta bancomat/postamat, a canalizzare le proprie utenze, a canalizzare pensioni/stipendi). Con una popolazione nelle piccole frazioni più bancarizzata sarebbe più facile per le Amministrazioni e per la politica sollecitare banche e poste ad istallarvi dei bancomat evoluti.

 

A quel punto il disagio riveniente dalla chiusura di Uffici Postali nelle piccole frazioni sarebbe ridotto al minimo ed il servizio ai cittadini comunque assicurato.

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