TADDEI RANCOROSO VERSO GERMANI? NO, LOTTA POLITICA. MA BASTA MASSACRO DELLA CITTÀ!
Caro Barbabella,
Andrea Taddei, battuto alle primarie da Giuseppe Germani, si vide sfuggire la sua probabile elezione a sindaco. Dopo aver assistito per sette mesi al protagonismo di Germani e dell’assessore misirizzi Gnagnarini, non ha potuto fare a meno di sbottare, comportandosi come un essere umano. Adesso anche i politici sono diventati esseri umani?
Tullio G.
Ma che discorsi fa, sig. Tullio!? Certo che anche i politici sono esseri umani, ci mancherebbe! Lei intende dire con tutti i difetti degli esseri umani, vero? Naturalmente si, e forse, come vogliono alcuni, anche di più, ma sempre e comunque umani. E sennò perché sarebbero stati scelti da altri esseri umani, forse anche loro con gli stessi difetti e magari anche maggiori? Suvvia, basta con questo moralismo da chiacchieretta!
Andrea Taddei è un essere umano, come me e come lei, ma da qui a dire che le sue iniziative sono leggibili come ripicche ce ne corre. Lo conosco bene e lo considero un amico, persona preparata e intelligente. Peraltro è stato un brillante allievo del liceo Majorana e confesso di essergli affezionato, come peraltro lo sono a tutti gli ex allievi di quel liceo, a cui ho dedicato la mia vita professionale.
Ma, com’è noto e come deve essere, il giudizio politico non coincide esattamente con il giudizio sulla persona e prescinde anche dagli affetti. Quella di Andrea Taddei è lotta politica bella e buona e come tale è da valutare. Io credo che Andrea si sia infilato in una iniziativa politica sbagliata, per la semplice ragione che riproduce quella guerra per bande che da tempo caratterizza il partito di maggioranza relativa e che, sopita nel passato, è diventata più aspra ed esplicita man mano che cadevano i veli. Essa nel 2009, dopo aver spaccato il PD come una mela con le primarie, ha ‘regalato’ l’amministrazione al centrodestra e nel 2015, dopo aver fatto la stessa cosa con le primarie, è andata ancora vicina a quel risultato. E oggi la guerra continua.
Però mi meraviglia chi si meraviglia. Vogliamo anche dire che sia Germani che Gnagnarini sapevano bene come stavano le cose e che non hanno compiuto gli atti necessari e possibili per superare questa situazione? Qui non è questione di dire se è meglio o peggio che ci siano Germani e Gnagnarini. E poi meglio o peggio di chi e di che cosa? Qui è questione di sapere se chi ha vinto ed ha dato gli incarichi e chi li ha accettati è in grado di fare le scelte per superare una situazione lacerante che dura da un tempo infinito e che deve finire, perché fa danni dall’alto in basso e da est a ovest. Errore mettersi sul piano della guerra per bande, errore governare al ribasso. Ma non si è capito che questa lotta per il potere chiusa in un recinto, questa idea della scalata al comandare, è del tutto insensata? Qui ci stanno scippando il futuro, stiamo arretrando, c’è una sofferenza diffusa, una sfiducia che si affetta, c’è il pericolo tangibile di una nuova pesantissima emarginazione, e dobbiamo assistere inermi a che il PD risolva i suoi problemi? Dobbiamo ancora una sacrificare i doveri di governo agli interessi di parte? Io credo che sia sensato dire semplicemente un bel basta.
LA PROPOSTA DI CORTONI E AMICI DI “DELOCALIZZARE” EDIFICI IN ZONE LONTANE DAL PAGLIA PURTROPPO NON È UNA BOUTADE
Caro Barbabella,
la soluzione di smantellare i negozi e le officine poste in zone a rischio di esondazione del Paglia prende piede. Io credevo che Cortoni scherzasse, invece Italia Nostra gli va dietro. Povera Italia!
Dario P.
Ho già affrontato questo stesso argomento non molto tempo fa rispondendo ad altra lettera, per cui mi scuso con gli affezionati venticinque lettori se leggeranno cose poco originali. Anche io inizialmente ho pensato che l’uscita di Fabrizio Cortoni fosse non tanto uno scherzo, quanto piuttosto una provocazione, lanciata per riportare al centro della discussione la condizione di insicurezza che molti operatori e abitanti delle zone alluvionate continuano a vivere e l’urgenza di uscirne con la ferma volontà di non ripetere errori e omissioni. Poi però è stato lo stesso Cortoni a chiarirmi che si trattava di una proposta autentica, da prendere come tale, tanto che con altri interventi è diventata un argomento di discussione mediatica.
Se avevo perplessità prima, ora sono aumentate e mi pare di poter capire sempre di meno il senso di questa cosa, a tal punto che mi pare di assistere più che altro ad una discussione tra amici in gita domenicale. Simpatica quanto si vuole, ma destinata a finire il lunedi. Mi permetto di osservare e domandare: 1. Trasferire (lasciamo perdere delocalizzare!) chi e quanti (uno, dieci, cento), quali zone (aree De Martino, Santa Letizia, La svolta: tutte, un pò, una parte), dove (Baschi, Fontanelle di Bardano, mezza collina, altro)? 2. Solo gli opifici o anche le abitazioni, ed eventualmente perché gli uni si e le altre no? 3. Mentre si studia la faccenda (nel caso, tempi lunghi), che si fa – con i fondi stanziati e le progettazioni in corso -, si ferma tutto? Si sospendono le operazioni di mitigazione del rischio che fino a ieri si diceva essere già in colpevole ritardo (ricordiamo manifestazioni popolari molto partecipate proprio per questo)?
Mettiamo però che Cortoni e amici abbiano ragione e che tutti finalmente si accorgano di aver sbagliato tutto (discussioni, idee, progettazione di un certo tipo, coordinamento, manifestazioni, una strategia finalmente abbozzata frutto di attività volontarie pesanti, faticose, pazienti, lunghe) e dicano “bene, trasferiamo”, chi paga? Non credo che Cortoni e amici pensino che Pantalone possa e debba pagare due volte, ossia mitigazione del rischio e trasferimenti. Ma se non l’una e l’altra cosa insieme, resta solo che il pubblico dovrà fare il suo mestiere e garantire la mitigazione del rischio con opere ben studiate, ben realizzate e ben gestite (e qui sarebbe bene che si continuasse con quell’opera certosina di partecipazione attiva e intelligente che si è fin qui svolta con il coordinamento delle associazioni territoriali da parte di Valle del Paglia Bene Comune) e che i privati, seppure avvalendosi di eventuali benefici di leggi esistenti, facciano liberamente le loro scelte.
Un’ultima domanda: ma perché ancora una volta si interviene quando comunque il processo è diventato irreversibile? Ci si rende conto dello sforzo che è stato fatto per dargli un verso collettivamente utile, razionale? Ci si rende conto di quanto ancora resta da fare e come si stanno complicando le questioni con l’ingresso sulla scena degli orientamenti e delle decisioni strategiche connesse con il “progetto aree interne” e il “contratto di fiume”? Io non voglio certo insegnare qualcosa a qualcuno, ma voglio ricordare che nella situazione istituzionale e politica italiana e nostrana, mandare le cose per un verso utile alla collettività è impresa difficile, paziente e coraggiosa, richiede capacità analitica, visione, tempo e applicazione continua. “Lavorare stanca”, “la fantasia esalta”. Io sono anche disposto a dire “Viva la fantasia!”, ma non se è deviante rispetto ad esigenze generali e prioritarie.
LA FINE DEGLI ORVILLANI
Caro Leoni,
dica la verità, si sta leccando i baffi, vero? Perché glie lo chiedo? Ma perché lo sfascio del PD non potrebbe essere più evidente, e sono convinto che lei in qualche modo se lo aspettava. Certo però che la sua interpretazione della vicenda orvietana come “vendetta del villano” sta vacillando, non crede? Qui l’osso è stato spolpato da tutti e siamo più che altro all’accanimento terapeutico. Ma perché non guida lei una reazione furibonda del centrodestra? Oppure vede altre prospettive?
Gino C.
Caro Gino, evidentemente tu non mi conosci e nemmeno frequenti molto questa rubrica, altrimenti non mi stimoleresti a mettermi a capo di alcunché. Quanto alla “vendetta del villano”, non so se quel mio vecchio scritto abbia ispirato Claudio Lattanzi nell’appioppare a Orvieto lo pseudonimo di “Orvlille”, che comporta l’essere la città degli “Orvillani”. Però la vicenda della conquista di Orvieto da parte dei villani, che quel mio scritto cercava di raccontare, si è conclusa con la salita alla carica di sindaco di Giuseppe Germani, il primo appartenente a un clan postcontadino che abbia rotto la tradizione della sua scaltra classe sociale: la piccola borghesia in prima linea a rompersi le corna e noi dietro a esercitare il potere concreto. Il PD orvietano è ormai snaturato da una piccola borghesia un po’ arrogante che sa vagamente cosa sia stata la mezzadria e non sopporta che un postcontadino sia riuscito a farsi eleggere sindaco e lo voglia pure fare.
MENO MALE CHE GERMANI DOVEVA STARE SERENO
Caro Leoni,
leggo che il capogruppo pd Andrea Taddei, riferendosi al suo sindaco, dice: “Non è più tempo di uomini soli al comando”. Scusi, mi aiuti a capire: Taddei non è capogruppo del partito di Renzi, l’uomo che sta facendo fuori province, senato, alleati piccoli e grandi, che riproduce le logiche accentratrici berlusconiane (ultima l’operazione ‘scilipotiana’ di scelta civica), che appunto vuole essere solo al comando? Secondo lei qui dalle nostre parti non è ancora arrivata l’informazione?
Giancarlo G.
Caro Giancarlo, il capogruppo pd Andrea Taddei, se fa riferimento a Renzi, non lo fa certo nell’interesse di Germani, ma di se stesso. Altrimenti non si sarebbe proposto come sindaco affrontando le sfortunate primarie. Quando Germani vinse le primarie gli disse praticamente di star sereno. Ma si sa che vuol dire ciò per i renziani.
La rivoluzione prossima ventura
di Pier Luigi Leoni
La lunga crisi economica sta deprimendo l’umore degli Italiani, ma il malessere è molto più profondo. Si tratta di una crisi etica che viene da lontano. Già prima della crisi economica l’Italia era messa molto male. Quella che chiamano malavita organizzata, che accumula capitali soprattutto col commercio della droga, ha un altro lato della sua sporca medaglia. Si tratta di un vero e proprio ordinamento giuridico alternativo alla Stato, con le proprie leggi, i propri tribunali, le proprie entrate fiscali, le proprie sentenze e le relative esecuzioni, spesso cruente. Il suo nome, sempre meno utilizzato in Italia, è “mafia”. Una organizzazione che un tempo caratterizzava, con nomi diversi, solo alcune regioni del nostro Mezzogiorno; ma che sta infettando tutta l’Italia, come ha infettato, sempre per opera di italiani, alcune realtà americane. Dove e perché la mafia alligna? Alligna dove lo Stato è debole, inefficiente e corrotto; perché in una Stato del genere è molto più facile riscuotere un credito, vendicarsi di un torto, difendersi dai ladri e trovare un lavoro ricorrendo alla mafia piuttosto che affidandosi alla polizia e alla giustizia. Non esistono Paesi civili dove operano tanti poliziotti, magistrati e avvocati, ma dove le cause durano tanto a lungo e dove i delinquenti hanno tanta probabilità di cavarsela come in Italia. Il problema è di carattere etico, e non si venga a dire che gli Italiani sono brava gente. Per ogni persona per bene ce n’è un’altra che è disposta a tutto per arricchirsi, per non pagare le tasse e per fare carriera. I più stupidi s’accontentano delle briciole, i più scaltri e i più addestrati razzolano nelle banche, nell’alta finanza, nelle grandi aziende, nell’alta politica, nelle università e nelle alte cariche amministrative e giudiziarie. L’Italia è in stallo non perché la globalizzazione ha provocato una crisi congiunturale, ma perché è corrotta. Se la storia insegna qualcosa, ci troviamo in una situazione prerivoluzionaria. E se la rivoluzione nel senso tradizionale non è ancora scoppiata è perché le rivoluzioni che si sono succedute nella storia sono ricorse sovente al sangue per accorciare i tempi. Incombe e spaventa la memoria della ghigliottina, dei campi di sterminio e del gulag. Ma c’è oggi quella moderna ghigliottina che è il web e che è sempre più in grado di supportare una rivoluzione incruenta. Internet, molto più della stampa, della radio e della televisione è in grado di essere utilizzata per suscitare un radicale e diffuso entusiasmo rinnovatore che è l’anima di ogni rivoluzione. Due personaggi esperti di comunicazione come Grillo e Casaleggio l’hanno capito e, in pochissimo tempo, hanno suscitato un movimento che ha coinvolto molti milioni di Italiani; un movimento che ha connotati rivoluzionari. Peccato che Grillo e Casaleggio non abbiano spessore culturale e non abbiano l’umiltà di farsi affiancare da veri pensatori. Ma la situazione prerivoluzionaria persiste e la crisi la mette ancor più in evidenza. L’abborracciato riformismo renziano non basta. Tutto lascia pensare che si stia avvicinando il tempo per l’entrata in campo di veri pensatori e di capi veramente carismatici. Internet è a disposizione.