IL DESTINO DI ORVIETO: SERVIRE I POTENTINI DI TURNO?
Caro Leoni,
il direttore di OrvietoSi ha denunciato il fatto che le lotte interne al PD spianano la strada alla colonizzazione ternana di Orvieto, peraltro cominciata da tempo. Manca però la colonizzazione perugina, non meno lunga e non meno forte. Così, dopo le tante cordate di cui si è perfino persa memoria, avremo oggi i “breghiani”, i “riommiani”, i “mariniani”, i “leonelliani”, e naturalmente i “romettiani”, i desiani”, e forse anche i “ricciani”, e via cantando. E vedremo i capetti in azione. Orvieto non avrà più rappresentanza in consiglio regionale? E dov’è il problema? Basta rivolgersi ai capetti locali e il popolo avrà le promesse che desidera. Scusi, Leoni, mi sono sfogato. Ma lei, che è saggio, mi dica che il nostro destino non è quello di essere dei servitori contenti dei minuscoli potenti di turno.
Evaristo S.
Orvieto non ha il rango politico adeguato alla sua dimensione, al suo pregio culturale e alla sua posizione geografica. Credo che ciò dipenda da eventi storici che l’hanno sovrastata, ma anche dalla impostazione del partito egemone in Orvieto e nell’Umbria. Dato che le città sono tra loro in competizione (ormai civile e democratica, ma pur sempre competizione) i Perugini e i Ternani hanno fatto valere la loro forza e i loro interessi e hanno ridotto Orvieto a riserva di caccia per la raccolta di voti. Quando Orvieto, negli anni Novanta del secolo scorso, stava puntando alla ribellione, cioè alla secessione dall’Umbria, il partito egemone fece pesare la sua forza ideologica e disciplinare e soffocò la spinta secessionista. È arrivato il momento di riprendere quello spirito nelle forme che l’evoluzione dei partiti e della legislazione consentono.
IL TRASFORMISMO: MALE ENDEMICO DELLA DEMOCRAZIA O CANCRO DA ESTIRPARE?
Caro Leoni,
in Parlamento, come lei sa bene, il fenomeno del trasformismo è antico. Però in tempi vicini a noi pare che si sia rinvigorito. All’epoca di Berlusconi, per salvare il governo, Scilipoti & C si inventarono “Responsabili”. La sinistra, Renzi e i renziani, dissero cose feroci. Oggi la stessa cosa accade con i senatori di Scelta Civica e con altri, forse anche grillini e verdiniani, che si chiamano “Stabilizzatori”. Renzi e i renziani, non solo non protestano, ma si rafforzano nel convincimento che possono andare avanti da soli. Due pesi e due misure, come sempre. Hanno la fortuna che la lingua italiana consente alla fantasia di sbizzarrirsi come si vuole. E anche che il popolo italiano è storicamente abituato a vederle e subirle di tutti i colori. Ma secondo lei, questi fenomeni sono connaturati alla democrazia o ne rappresentano il cancro che la distrugge se non estirpato in tempo?
Giuseppe F.
Rispondo con uno stralcio del mio libro IL FUNZIONAMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE E PROVINCIALE (Casa Editrice C.E.L., 2007). «Le libere elezioni sono condizione necessaria e non sufficiente perché si abbia una democrazia piena. Una democrazia può raggiungere il massimo dell’efficienza consentita dal meccanismo rappresentativo se trovano applicazione due principi. Un principio, che mira a scongiurare la cosiddetta dittatura della maggioranza, consiste nel rispetto reciproco dei ruoli tra maggioranza e minoranza: la minoranza accetta che la maggioranza governi e la maggioranza accetta che la minoranza manifesti il dissenso e lotti per diventare maggioranza. Il secondo principio, che mira a far prevalere l’interesse generale sugli interessi dei partiti intorno ai quali si aggrega l’elettorato, cioè a scongiurare la cosiddetta partitocrazia, è il diritto degli eletti di agire senza vincolo di mandato. Vale a dire che il comportamento dei cittadini eletti non può, di diritto, essere condizionato dalle formazioni politiche con le quali si sono presentati alle elezioni, così come non può essere condizionato, di fatto, dagli ignoti cittadini che lo hanno eletto. Il loro operato come rappresentanti del popolo è rimesso esclusivamente al giudizio dell’elettorato. E nemmeno ad esso, nel caso in cui non si ripresentino alle elezioni.»
MENTRE A VIA PIANZOLA SI LITIGA, ORVIETO BRUCIA
Caro Barbabella,
Claudio Lattanzi tallona i politici del PD orvietano, ma riconosce che è difficile decriptare il loro linguaggio da iniziati. Non mi dica che neppure lei è in grado di decifrare un linguaggio che conosce molto bene. Suvvia, ci faccia capire quali interessi sono in ballo nella lotta di Scopetti contro Germani.
Pietro S.
Vede, caro Pietro, io conosco diversi tipi di linguaggio, ma solo per avere una assidua frequentazione con studi di diverso tipo. Le confesso però che con il linguaggio che cita lei non ho grande dimestichezza, preferendo io alla vaghezza linguistica la chiarezza dell’argomentare razionale, che in Italia ha avuto illustri maestri, innanzitutto Machiavelli e Galilei. Tuttavia per lei farò un’eccezione e, avendo riletto qualche scritto di quell’ambito politico per esprimere un’opinione sensata, posso risponderle come segue.
Sulla scrittura c’è molto da eccepire, non tanto e non solo sul piano dello stile e su quello sintattico-grammaticale, quanto sulla trasparenza comunicativa. È un linguaggio per pochi, farcito di significati impliciti e di messaggi per addetti ai lavori. Devo dire però anche un linguaggio in linea con quello di altri ambienti politici che così parlano perché devono trasmettere contenuti criptici che non tutti devono conoscere.
Ma quali possono essere questi contenuti? Credo che in questo caso anche un non esperto di linguaggi specialistici possa arrivarci. Si tratta quasi certamente di una sorda lotta per il potere, non so se per ottenere un cambio di assessori o solo per indebolire il sindaco e spingerlo in direzioni a lui non gradite. Come si può capire, se è così, una lotta di questo tipo, mentre non riguarda la comunità come tale ma solo una cerchia ristretta di persone, un gruppo, un clan, al massimo una corrente, incide però sulla vita reale della comunità: ha per oggetto un potere di poco conto, quasi un non-potere, ma ha il potere come minimo di tenere bloccata l’amministrazione. E l’Amministrazione riguarda tutti.
Che cosa scompare così dall’orizzonte? Proprio ciò per cui i partiti e le amministrazioni hanno legittimità: gli interessi generali, i bisogni della collettività dei cittadini. Infatti, nel frattempo procede a grandi passi l’emarginazione e il depauperamento dei servizi del territorio: 1. se succederà quanto “Alleanza dei territoti” ha cercato di contrastare con una iniziativa davvero alternativa, se cioè verrà approvata dal Consiglio regionale la nuova legge elettorale passata in Commissione statuto, il territorio orvietano, così come gli altri territoti periferici dell’Umbria, con ogni probabilità sarà tagliato fuori ancor più di oggi dalle decisioni sulle questioni essenziali del suo futuro; 2. mentre qui si litiga, procede lo smantellamento dei servizi territoriali, questa volta gli uffici postali delle frazioni.
E non si dica che tutto questo è inevitabile, che le cose vanno così perché è normale che vadano così. Se ci si fosse concentrati su una vasta politica territoriale con una visione di futuro, progetti conseguenti, e una iniziativa continua e mobilitante all’altezza della sfida, tutto ciò difficilmente sarebbe potuto accadere: oggi i servizi sanitari non farebbero capo a Foligno, i servizi della giustizia e quelli finanziari non sarebbero a Terni, i servizi postali non sparirebbero dalle frazioni, avremmo servizi e attività turistico-culturali di ben altra importanza, ecc. ecc. E se non si cambia rapidamente registro, accadrà anche di peggio. La previsione è facile, mentre interrompere il percorso negativo è difficile, lo so. Ma che almeno sia chiaro per tutti che fare diversamente si sarebbe potuto fare ieri e si può certamente fare anche oggi.
IL FORUM CIVICO SULLA SANITÀ E L’USO DEL PATRIMONIO PUBBLICO S’HA DA FARE. ANCHE SE IL PD NON LO VUOLE
Caro Barbabella,
la maggioranza di centrosinistra ha bocciato una mozione del consigliere di destra Andrea Sacripanti che proponeva l’istituzione di un forum civico per fare il punto sul grave problema dell’assistenza sociosanitaria e sulla destinazione del vecchio ospedale e di altri immobili. Che alla maggioranza urtino le forme di partecipazione, anche se previste dalle leggi e dallo statuto comunale, si può capire, ma dimostrarlo così platealmente mi sembra eccessivo. Lei che ne dice?
Bruno P.
Caro Bruno, questa francamente non l’ho capita. L’iniziativa di Sacripanti coglieva una necessità reale, quella di riflettere sulle decisioni concernenti la dislocazione e la funzione dei servizi sanitari nel quadro di una politica del patrimonio immobiliare pubblico finalmente organica. Non può esserci discussione sul fatto che a decidere su ciò che ci riguarda non può essere né un direttore generale di ASL né altro soggetto al di fuori o addirittura contro l’orientamento dell’Amministrazione, a sua volta tenuta ad ascoltare le opinioni dei cittadini. E allora, perché negare l’opportunità di un forum civico su un argomento tanto importante e nient’affatto definito in quanto a ottimizzazione delle soluzioni?
Ora qualche considerazione nel merito del problema. Siamo sicuri oggi, alla luce di tutto ciò che è accaduto e delle esigenze strategiche di efficienza e di sviluppo della città, che il modo in cui si va alla soluzione del problema dell’ex ospedale, cioè fuori da un quadro complessivo di uso del patrimonio, sia una buona cosa? Siamo sicuri che fu buona cosa il trasferimento di uffici comunali all’ex Infermeria dell’ex Piave e non invece in Piazza della Repubblica nel Palazzo sede dell’Istituto Piccolomini, come sarebbe stato naturale? Siamo sicuri che fu buona cosa individuare nell’ex Mensa dell’ex Piave la sede del cosiddetto Palazzo della Salute destinato ad ospitare gli uffici e i servizi dell’edificio di via Postierla, per consentire lì una discutibile operazione edilizia? E in generale è esagerato dire oggi che aver imposto quelle scelte è stato un motivo pesante, ovviamente insieme a uno sciagurato orientamento politico e a diversi altri (vedi ad esempio la localizzazione dell’allora Istituto d’arte nell’ex Palazzina Comando), del mancato riuso dell’intera area di Vigna Grande?
Torna a bomba anche per questo verso la questione sulla quale sto insistendo da anni: se manca una visione generale, se non si lavora su una progettualità complessiva, se la classe dirigente non si comporta come tale, tutto diventa casuale, frutto acerbo di spinte e controspinte, cosicché altri si inseriranno indebitamente nei processi decisionali fino ad impadronirsi delle decisioni che spettano a te, e tu diventerai uno che a malapena riesce a mettere qualche rattoppo. Dov’è ancora oggi questa visione generale e questa progettualità complessiva da cui può prendere senso ogni scelta importante?
Hanno fatto benissimo dunque i consiglieri della lista civica “Per andare avanti”, Cotigni e Di Bartolomeo, a votare la mozione di Sacripanti. Dove starebbe una sola ragione per impedire una discussione aperta, pubblica, trasparente, sulle scelte da fare? Si teme che qualcosa venga rimesso in discussione? Ma se ben più di una cosa qui bisogna rimettere in discussione! Mi auguro che ora il forum civico lo promuovano i consiglieri che lo hanno votato. Abbiano loro il coraggio di andare fino in fondo! La sanità e il patrimonio pubblico non appartengono né ad un partito né ad un gruppo consiliare. C’è il diritto-dovere di tutti di discutere per conoscere e dare indicazioni a chi ha la funzione di deliberare di farlo con perfetta consapevolezza che ancora non siamo al punto della privatizzazione formale della cosa pubblica.
Se vogliamo bene ai giovani dobbiamo cambiare molte cose
di Franco Raimondo Barbabella
Stiamo tagliando fuori intere generazioni di giovani. Fuori dalla storia e non solo dal lavoro. Per miopia e incapacità di visione delle classi dirigenti, e non solo per egoismo degli adulti e degli anziani.
Qualche giorno fa su La Stampa si potevano leggere alcuni dati esemplificativi della situazione: i giovani italiani che vivono in famiglia sono i due terzi del totale delle persone nella fascia tra i 18 e i 34 anni (7,4 milioni) a fronte del 34,2% dei francesi, del 42,3% dei tedeschi e del 34,2% degli inglesi. L’ISTAT ha fornito poi i dati sul lavoro: il tasso di disoccupazione dei 15-24enni (i giovani disoccupati sul totale di quelli attivi, occupati o disoccupati), è il 42,0%. Dal calcolo sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro (ad esempio perché impegnati negli studi), che sono 4 milioni 382 mila, per un tasso di inattività pari al 73,5%. Dati drammatici. Non è il caso di riportare, in quanto notissimi, quelli sulla scuola: alta dispersione scolastica, livelli inadeguati di preparazione, basso numero di lauree, titoli scarsamente spendibili, ecc.
Enrico Mentana ha parlato di “bancarotta del lavoro per i giovani” ed ha stigmatizzato l’egoismo di chi in campo c’è già e non se ne va per lasciare posto ai giovani. Si, certo, c’è anche questo, ma io penso che finché l’attenzione al problema è di questo tipo non andremo da nessuna parte; mi chiedo anzi dove si sono formati quelli che pensano e parlano così. Il problema infatti è di ben altro tipo e riguarda il tipo di società che vogliamo costruire. Senza farla troppo complicata, credo che ci si dovrebbe concentrare su pochi ma essenziali aspetti.
Anzitutto creare lavoro. Non ci si può fermare a litigarci l’esistente. Bisognerà imprimere dinamismo al sistema, sburocratizzare, incentivare l’innovazione, incoraggiare la voglia di rischiare. Una politica del lavoro pensata, e non improvvisazioni che danno a qualcuno popolarità per un giorno. Allora niente distribuzioni a pioggia (vedi ottanta euro), e solo incentivi con controllo di risultati. Si deve volere una società che incoraggia il lavoro e non una che lo esalta a parole e che però di fatto lo ostacola in tutti i modi.
Per questo creare anche istruzione e formazione adeguate. Non so come andrà a finire il progetto governativo “La buona scuola”, ma è certo che lì i nodi reali che sclerotizzano il sistema non sono affrontati o non lo sono come si dovrebbe fare: la qualità del personale, la modernizzazione delle strutture e dei servizi, la flessibilità dei curricoli, il rapporto formazione-lavoro, l’efficienza dell’organizzazione. In particolare è ormai ineludibile il nodo delle competenze. Non è più possibile che sulla carta tutto ruoti intorno a questo termine e che poi nei fatti esso diventi raramente centrale nei processi di insegnamento-apprendimento. Né è possibile che la realtà ne richieda soprattutto alcune e che la scuola nella stragrande maggioranza dei casi le ignori. È il caso da una parte della logica, del saper fare ragionamenti, e del pensiero critico, e dall’altra della gestione delle emozioni e delle capacità di relazione e autogestione.
Naturalmente tutto questo in un quadro di positività, di azioni che generano fiducia, prospettiva, opportunità. Dunque lotta senza quartiere all’illegalità e alla corruzione, e insieme niente clientelismi, trasparenza delle procedure, controlli regolari, valutazione dei risultati di ogni attività in cui sia impegnato denaro pubblico.
Al di fuori di tutto questo per i giovani non c’è né educazione all’esercizio attivo della cittadinanza né istruzione e formazione per il lavoro. Se ai più preparati e dinamici riserviamo la prospettiva di emigrare all’estero e agli altri quella di essere precari a vita (cococo, cocopro, ecc. ecc.) o di restare ai margini sia dello studio che del lavoro, di che cosa vogliamo parlare? Pensiamo davvero di risolvere il problema con atti individuali di generosità o con la bontà obbligata per legge? No, le vie facili alla Mentana non ci sono.
La foto in home è di Piero Piscini