MA PERCHÉ QUESTE PROVINCE NON LE ABOLISCONO DEL TUTTO?!
Caro Leoni,
la Provincia di Terni con il suo ufficio stampa dichiara il fallimento: non ha sale per far fronte alle gelate delle strade; non ha mezzi per far fronte alle emergenze ghiaccio e neve; le ditte private non l’aiutano perché, è facile capirlo, non ci sono più soldi; non ha più materiali per riparare le buche e i danni del maltempo. Però “lo sforzo per garantire controlli e sicurezza rimane comunque al massimo livello possibile …”. Ma ci prendono pure in giro? Chi l’ha ridotta così? Gli amministratori, parecchi anche orvietani, che l’hanno disamministrata che fine hanno fatto? E quelli di adesso perché stanno lì se il loro compito è ridotto a fare la guardia al morto? E perché si continuano a pagare dirigenti, tecnici, operai e impiegati, se non hanno niente da fare? Perdoni lo sfogo, ma a chi si possono fare queste domande, visto che ormai alle domande dei cittadini i responsabili non rispondono?
Italo B.
Caro Italo, non sia troppo severo. La maldestra riforma delle province arreca disagi ai cittadini, che ne subiscono le conseguenze in cattiva manutenzione delle strade e delle scuole. Ma arreca disagi anche ai dipendenti delle province, che vivono una fase di stress per l’incertezza su dove e come dovranno continuare a lavorare. E vorrei spezzare una lancia a favore dei politici, che vedono ridotta drasticamente l’area in cui cercare la soddisfazione delle loro ambizioni.
MA HA SENSO TRASFORMARE ASPETTI DELLA SENSIBILITÀ UMANA IN UN OMAGGIO A NUOVI DEI?
Caro Leoni,
l’altro giorno per caso ho visto la parte del Consiglio comunale dedicata al “regolamento per il benessere degli animali”. Una cosa bellissima, anche Orvieto diventa civile: niente più divieti per i cani nei giardini pubblici, tra poco niente più circhi con gli animali prigionieri, segnalazione di maltrattamenti, ecc. Il consigliere Meffi ha anche proposto di fare un cimitero degli animali. Sarebbe magnifico! Però c’è qualcosa che rende monca questa bella decisione. Per favore, mi aiuta a capire? Innanzitutto, perché non viene proibita la palombella? La palomba forse non è maltrattata chiusa dentro quel ridicolo tubo e con tutti quegli scoppi che lo sconquassano? Paura del vescovo? E poi perché non hanno previsto il divieto di caccia? Forse le lepri e i fagiani, le starne e i cinghiali, e soprattutto gli innocui e indifesi uccellini, non hanno diritto al benessere? Questa differenza di trattamento è palesemente arbitraria e merita ogni condanna. Mi aiuta a capire questa doppiezza? Paura delle doppiette?
Filippo di M.
Caro Filippo, gli esseri viventi sopravvivono sacrificando altri esseri viventi, e ci provano gusto. Il gatto che mangia il topo ci prova gusto. Anche l’uomo che mangia la bistecca di manzo ci prova gusto. Ma l’uomo, a differenza del gatto, non riesce a non pensare alla sofferenza del manzo, che viene allevato in cattività e sovralimentato per farlo crescere tanto e presto, poi, quando è nel pieno della vita, viene condotto al macello, intontito con un colpo in fronte e scannato. Il manzo intontito e poi scannato, così come l’agnello scannato senza essere prima intontito, e tutte le uccisioni di animali per le nostre esigenze di alimentazione o di svago o di lusso o di sadismo ci provocano un senso di colpa che nascondiamo nell’inconscio. Gli antichi pagani compensavano il disagio che provavano nell’uccidere un animale a sangue caldo, cercando la complicità degli dei, ai quali davano in pasto una parte dei visceri bruciandoli sull’ara. Noi cerchiamo la complicità del nostro cane dandogli in pasto l’osso della bistecca. Abbiamo sostituito gli dei con gli animali domestici. I regolamenti per il benessere degli animali sono omaggi ai nuovi dei per tenere in equilibrio la nostra psiche.
SENZA RIFERIMENTO A UN PROGETTO LE BUONE IDEE MUOIONO
Caro Barbabella,
Umbria Jazz Winter è appena terminata con successo. Antonello Romano di TeleOrvietoweb si chiede “se non sarebbe il caso di pensare a qualcosa di nuovo per la prossima edizione, qualcosa che possa darle una “carica” maggiore, con iniziative collaterali free, ma che siano in grado di innescare un rinnovato interesse per gli appassionati, un intrigante richiamo per curiosi e turisti oltre ad un maggiore coinvolgimento della città tutta e delle sue risorse, anche artistiche…penso ad esempio ad una sorta di festival delle jazz band locali dell’Umbria,ecc…. ”. Ottima idea, così come altre che stanno circolando. Ma, per ogni idea, bisognerebbe elaborare un preventivo delle entrate e delle spese. E, tra le entrate, non ci dovrebbe essere il contributo sostanzioso delle aziende che incassano i benefici dell’afflusso turistico?
Francesco B.
Sì, caro Francesco, lei ha sicuramente ragione a dire che quella di Antonello Romano è una buona idea, come lo sono anche altre, lontane e recenti. Ed ha anche ragione a riproporre l’antica questione della compartecipazione alle spese delle aziende che beneficiano delle iniziative pubbliche o che sono rese possibili dall’intervento pubblico. Io la questione però la vedo un poco complicata, per le ragioni che ora spiego brevemente. Primo: è vero che ognuno è libero di scatenare la sua fantasia e di fare le proposte che gli passano per la testa; ma normalmente questo modo di intervenire sulle prospettive della città ha poca storia: fa nascere idee, anche buone, ma le destina quasi sempre a morte sicura. Secondo: le aziende, soprattutto nelle realtà come la nostra, non sono spontaneamente propense, sia per consistenza che per impostazione, a ragionare in termini progettuali. Dunque, per entrambe le ragioni, sarebbe necessario che da una parte il soggetto pubblico per antonomasia, l’amministrazione comunale, elaborasse e indicasse un progetto di città, una visione, una prospettiva, da cui le proposte nei diversi settori traggano senso, possibilità di realizzazione e in sostanza la necessaria autorevolezza. Dall’altra sarebbe parimenti necessario che si costituisse un soggetto privato o organizzato con logiche privatistiche che fungesse da promotore e coordinatore delle iniziative di sviluppo. Che sciocchezza, che insulsaggine, aver fatto morire RPO, che era nata anche per questo! Insomma, nella realtà di oggi non si può lasciare nulla al caso o all’improvvisazione, fosse anche la più intelligente. Può essere un compito che svolge direttamente l’amministrazione comunale? Mi pare improbabile. Ma Orvieto ha bisogno di un progetto generale di grande respiro e di grande ambizione. Può essere un compito da affidare alle agenzie lasciate in vita, CSCO e Te.Ma? Mi sembra difficile adattarle anche a questo compito. Per cui ci vuole qualcosa di nuovo e di veramente funzionale all’obiettivo di dotare la città di una strumentazione progettuale ed operativa adeguata ad affrontare le sfide di modernizzazione che non sono più rinviabili. Non si tratta certo di appaltare la città, ma di gestire con intelligenza la città. Altre città lo hanno capito già da tempo. Anche Orvieto lo capirà, purtroppo più poi che prima, o finalmente più prima che poi?
MA CHE FINE HA FATTO IL BENE COMUNE?
Caro Barbabella,
il Presidente Napolitano se ne va. Pare che Renzi cercherà di piazzare una donna al Quirinale, perché è nel suo stile e perché non c’è mai stato un presidente della Repubblica Italiana di genere femminile. I maligni insinuano che non vuole un presidente che gli faccia ombra. Infatti ha piazzato nei ministeri e al parlamento europeo tutte donne che non gli fanno ombra. Tra pochi giorni i fatti parleranno, ma è troppo intrigante elucubrare sul futuro. Lei pensa che il genere conterà nelle prossime elezioni presidenziali? Sono sicuro che lei non se la caverà con la banalità che maschio o femmina non importa, purché sia all’altezza.
Roberto N.
D’accordo, caro Roberto, non me la caverò con qualche banalità del tipo che dice lei. Ma, mi consénta (accento del Cav.), non è una banalità dare finalmente una chiusa alla banalità (questa sì!), che ha impazzato a lungo anche dalle nostre parti, sulla necessità del cambiamento, interpretato stancamente come avanzata di giovani e di donne (che pure di per sé è cosa buona e giusta) però senza riferimento né al tipo di responsabilità, né al tipo di preparazione di volta in volta specificamente richiesto, né eventualmente anche all’esperienza necessaria. Cambiamento, cambiamento, e basta, che cosa vuol dire? Renzi vuole solo donne che abbiano qualità che non gli facciano ombra? Ma lui non è mica il padrone della nazione! Perciò, se anche per la più alta carica dello Stato avrà successo una linea di questo tipo, la responsabilità non sarà solo sua, ma di chi glie lo ha permesso. E facciamola finita una buon volta di tirarci sempre fuori dalle responsabilità! Che sono anche le nostre, ogni volta che possiamo incidere, anche solo parlando, e non lo facciamo, per pigrizia o per convenienza. La cultura del disprezzo di fatto della qualità degli incarichi pubblici a favore della pura convenienza è uno dei più grossi guai del nostro Paese. Lo si sa, ma al momento del dunque a tutti i livelli prevalgono le convenienze. E allora, lo vogliamo dire?, abbiamo quello che ci meritiamo. Chi più, chi meno, ovviamente. E il bel concetto di “bene comune” che fine ha fatto?
MEGLIO SCRUTARE IL CIELO!
di Franco Raimondo Barbabella
L’ultimo discorso del Presidente Napolitano, comunque si voglia giudicare la sua lunga opera di Capo dello Stato, colpisce per la forza morale e la lucidità del messaggio, rivolto non tanto agli addetti ai lavori quanto alla generalità degli italiani, a tutti noi in quanto cittadini che costituiamo il popolo, quell’entità che nonostante tutto continuiamo a considerare anche nazione, perché più di centocinquant’anni fa ci fu chi si sacrificò perché lo diventasse e perché ancora oggi c’è chi testardamente crede che potrebbe esserlo.
Egli ci dice che ci risolleveremo se ognuno farà e saprà fare la sua parte, perché “Occorre ritrovare le fonti della coesione, della forza, della volontà collettiva, che ci hanno permesso di superare le prove più dure in vista della formazione del nostro Stato nazionale unitario e poi del superamento delle sue crisi più acute e drammatiche”. E aggiunge: “Solo riconquistando intangibili valori morali la Repubblica potrà andare avanti. Non lasciamo che a occupare lo spazio siano solo italiani indegni”,… abbiamo “un sottosuolo di marciume da bonificare”.
Già, la parte sana renda inoffensiva la parte malata, nelle persone e nelle articolazioni della società! Compito antico quanto mai giusto, ma anche quanto mai difficile, tale da poter risultare alla fine solo un’invocazione e una pia illusione. Anche perché i mali che rendono fragile il nostro Paese sono non solo di lungo periodo ma capillarmente diffusi. E francamente le continue intemerate di Renzi contro i gufi e il suo ottimismo mediatico non riescono a nascondere la debolezza di un fare si vitale ma confuso e inadeguato, lontano dal saper generare una robusta reazione alla malattia per “conquistare salute” in ogni luogo e ad ogni livello. Se non si crede a me, si legga quanto ha scritto Luca Ricolfi lo scorso 2 gennaio sul Sole24Ore a proposito dei mutamenti sociali che rendono fragile una politica fondata su un’idea antiquata di società.
Che ci rimane allora da fare? Gettiamo la spugna? Prima di una risposta, una domanda: riusciremo ad attingere alle nostre forze interiori, quelle residue, inopinatamente rimaste disponibili nonostante siano sfibrate dallo sforzo di resistenza al malcostume che ferisce la nostra natura di esseri pensanti eticamente orientati e ci tormenta con le spine che pungono l’anima (ce ne sono quante se ne vuole: la prepotenza degli ignoranti consapevoli, l’arroganza degli indifferenti, la presunzione dei bigotti, la falsità dei predicatori del niente, il cinismo dei ladri di sogni, l’ipocrisia degli ipocriti e la protervia dei furbi) ?
Se lo chiedeva anche Lucio Dalla in quella magnifica canzone del 1979 che è L’anno che verrà, quando cantava: “Da quando sei partito c’è una grossa novità,/ l’anno vecchio è finito ormai/ ma qualcosa ancora qui non va./ … Ma la televisione ha detto che il nuovo anno/ porterà una trasformazione/ … Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno,/ anche i muti potranno parlare/ mentre i sordi già lo fanno./ E si farà l’amore ognuno come gli va,/ anche i preti potranno sposarsi/ ma soltanto a una certa età,/ e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,/ saranno forse i troppo furbi/ e i cretini di ogni età./”. E chiariva: ”Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico/ e come sono contento/ di essere qui in questo momento,/ vedi, vedi, vedi, vedi,/ vedi caro amico cosa si deve inventare/ per poterci ridere sopra,/ per continuare a sperare”.
Era il 1979. Quanto tempo da allora, eh?! Ed oggi è anche peggio! Ecco dunque, facciamo finta che …; immaginiamo che il mondo cospiri per la nostra salvezza; guardiamo il cielo, scrutiamo gli astri come facevano gli antichi, alla ricerca di congiunzioni a noi favorevoli, disponibili a lenire le nostre ansie; e agiamo come se … Insomma, anzitutto riconquistiamo lo sguardo lungo, squarciamo i veli della realtà nascosta, abbiamo il coraggio di uscire dalle capanne di fango della banalità e delle false sicurezze. Già sarebbe un grande passo averci provato.
Se poi per caso non ce la facciamo, in fondo sappiamo che possiamo sempre attingere alla fonte della poesia. Per esempio a questa lirica di Angelo Maria Ripellino:
Vivere è stare svegli
e concedersi agli altri,
dare di sè sempre il meglio
e non essere scaltri.
Vivere è amare la vita
coi suoi funerali e i suoi balli
trovare favole e miti
nelle vicende più squallide.
Vivere è attendere il sole
nei giorni di nera tempesta
schivare le gonfie parole
vestire con frange di festa.
Vivere è scegliere le umili
melodie senza strepiti e spari,
scendere verso l’autunno
e non stancarsi di amare.