di Mario Tiberi
Le mode, è risaputo, vanno e vengono, vengono e vanno e talvolta ritornano. Tra le più recenti, e mi sento di segnalarla quale nota di costume, può senz’altro annoverarsi quella dell’autoscatto, meglio conosciuta come “selfie”. A me pare, senza inutili preamboli, che si tratti di una infelice ed infausta versione grottesca del “Carpe Diem” di Oraziana memoria. Non più però il saper cogliere l’attimo fuggente, bensì il crogiolarsi dietro l’attimo fuggito di chi si autocompiace.
Il poeta latino, infatti, invita ad afferrare, per quanto possibile, l’attimo che se ne va affinché non si perdano le occasioni della vita presente mentre si sognano le opportunità di un futuro incerto, per non dire inesistente. Su un altro versante, potremmo anche asserire che l’autoscatto sia come una sorta di interpretazione rozza e volgare dell’estasiata implorazione del Faust di Goethe all’istante fuggevole: “Fermati, sei così bello!”.
Insomma, da qualsiasi angolazione la si voglia inquadrare, quella del tempo inesorabilmente transeunte, regolatore dell’umana esistenza, calibro e metronomo del tutto, è divenuta la primaria palestra in cui pensiero ed azione si esercitano nel titanico tentativo di cercare di afferrare l’istante per non lasciarlo sprofondare nel nulla. Ma vi è modo e modo per avvicinarsi all’accennato obiettivo: quello del “selfie” è sicuramente il più sconsigliabile, quantomeno dal punto di vista della raffinatezza e del buon gusto.
E così difatti è possibile assistere, per il tramite dei moderni strumenti di comunicazione di massa, alla pubblicazione di istantanee ritraenti un uomo impazzito, con un machete in mano e pronto a colpire, accanto all’autoscattista; quelle di un poliziotto americano il quale, al di fuori di ogni logica, si immortala davanti ad un suicida precipitato dall’alto di un ponte; quelle ancora di una donna che, in preda a chissà quali pulsioni, non trova di meglio da fare se non ridere sguaiatamente ai funerali di un suo prossimo congiunto.
Sono solo degli esempi, tra gli innumerevoli che si potrebbero descrivere, attestanti di come il dilagante individualismo contemporaneo abbia sempre più bisogno di raddoppiare, triplicare, decuplicare lo specchio d’acqua nel quale rifrangere le proprie sembianze narcisistiche.
Un tempo, non da noi molto lontano, esisteva un più consono autoscatto con il quale ci si riprendeva accanto a familiari ed amici in occasione di vacanze, feste e banchetti; ora sullo specchio del cellulare ci si vede, ci si mette in posa, ci si illude di reinventare artificialmente la propria immagine.
Un tempo, vi era un naturalissimo album di fotografie da sfogliare assieme ai familiari e agli amici di cui sopra; adesso le “diavolerie tecnologiche” moltiplicano esponenzialmente gli osservatori, sia quelli in buona fede e massimamente quelli più maliziosi.
Ma l’attimo, così, non si ferma: fugge anzi via con la sua storia, con la sua bellezza e per non tornare mai più. Ciò che resta è solamente la patetica celebrazione di se stessi accompagnata dal bisogno parossistico di confermare la propria identità, di rendere edotto il mondo intero che si esiste seppur virtualmente.
Sul piano psicologico, ritengo che il “selfie” sia emblematico di una totale assenza di autostima; su quello estetico, penso invece che manifesti a chiare note il trionfo del cattivo gusto e di una malinconica volgarità.
Si potrebbe arrivare ad affermare che ci si trovi di fronte ad un’altra patologia della modernità, così come lo è già la ludopatia?…
Auspico di NO. E questo NO discende dalla circostanza che uno tra i più accaniti “selfisti” è proprio il Dr. Renzi, presidente del Consiglio dei Ministri, e con ciò non vorrei che la reputazione italiana all’estero, già declinante, declinasse ulteriormente.
Direi allora che meglio sarebbe “solfeggiare”, considerato che l’esercizio musicale è di gran lunga la disciplina umana più sublimante e catartica. Del resto, anche nel ridotto della realtà orvietana, di valenti musicisti ve ne sono in considerevole quantità e tutti di ottima qualità: basterebbe bussare alla loro porta!
P.S. : i termini “selfeggiare” e “selfista-i” sono delle “voces novae” da me composte a riprova, una volta di più, che la glottologia è in continua evoluzione.