PIÙ CHE DI CRISI DI PIAZZA DEL COMMERCIO SI TRATTA FORSE DI CRISI DELLA POLITICA
Caro Barbabella,
la COOP in Orvieto ha messo in crisi i commercianti di Piazza del Commercio prendendoli pure in giro con una riapertura di qualche giorno dell’ex supermercato, col solo scopo di ottenere una proroga della licenza e impedire l’insediamento di un concorrente. Inoltre ha comprato il vicino Superconti. Secondi lei, dove vuole andare a parare?
Giovanna T.
Mi pare difficile interpretare con benevolenza la situazione che si è venuta a creare in quella zona di Orvieto Scalo. Non so quale sia oggi la volontà di Coop Centro Italia, ma certo le promesse sono state clamorosamente disattese, ed è perfettamente inutile invocare benevolenza a causa delle difficoltà derivanti dalla situazione generale. Temo che stia oggi venendo al pettine una catena di errori fatti negli ultimi quindici anni, sia da chi ha programmato il commercio che da chi quelle scelte ha voluto o sostenuto. O forse da chi ha voluto sperimentare l’emozione dello smithiano “laissez-faire” in un’area di quasi-socialismo reale. Comunque troppi “centrini” sparsi qua e là, l’illusione di poter dare un po’ di tutto a tutti, l’idea che piccolo è bello e però un po’ grandicello non guasta. Insomma, una consapevole scelta di non-politica, il cui contrario dovrebbe significare servizi di base diffusi per i residenti e ruoli diversi delle diverse zone, ossia un territorio che complessivamente si attrezza per competere con logica moderna con quelli circonvicini e attrae acquirenti perché sa fare, sa offrire, è all’altezza di un ruolo che ha scelto. Ben diversa da quella che è avrebbe dovuto essere in particolare la funzione del centro storico, coordinata appunto con quella dei quartieri della città nuova. Ma bisognava fare un vero iper fuori e della ex Piave quel centro multifunzione motore di un nuovo sviluppo che invece è stato combattuto proprio da coloro che avrebbero dovuto sostenerlo, politici e operatori, gli uni per interesse generale, gli altri per l’interesse proprio. E oggi non vedo segnali di inversione di tendenza, anzi, mi pare che come sempre si attendano incerte soluzioni miracolistiche, in nome peraltro di quel “famo presto” che si sente dire da almeno dieci anni e che è stato sempre l’alibi per non fare bene. Ma si potrebbe fare questa inversione? Certo si sarebbe dovuta già fare, però si può comunque sempre iniziare. Ci sono interessanti novità in giro per l’Italia, per cui basterebbe girare un po’, farsi qualche domanda, avere il coraggio di rompere con il conservatorismo diffuso, mettere di brutto le mani nella pianificazione. Piccole politiche danno piccoli risultati o preparano e incentivano crisi strutturali lunghe. Ma queste cose le ho dette tante volte. Non credo nemmeno che valga la pena ripeterle.
POLITICA TURISTICA AD ORVIETO: “VOLEMOSE BENE”?
Caro Barbabella,
l’amministrazione comunale di Orvieto auspica la sinergia con albergatori e commercianti per il rilancio del turismo. Ma dove stanno le energie per fare sinergia?
Francesco P.
Sì ho letto, caro Francesco, un intervento in questo senso dell’assessore Gnagnarini. Che vuole che le dica? Credo senz’altro legittimo che l’Amministrazione desideri una convergenza di intenti con gli operatori turistici della città. Ma a mio modesto parere non è con l’appello al nostrano “volemose bene” che si otterrà un buon risultato. Bisogna proporre una visione per cui valga la pena produrre uno sforzo unitario, un progetto ambizioso e credibile di futuro che parta dall’oggi e sia organizzato in modo che i privati vi si ritrovino in vista di un domani possibile e non perso in un mare di nebbia. Peraltro non solo gli autoctoni. Ma ho tanto l’impressione che si sia invece in attesa di un non so che, un quid, qualcosa che di per sé sia in grado di sbloccare lo stallo e fare da start. Bah, mi lasci per ora convinte perplessità. Lei manifesta il dubbio che in giro per la città ci siano energie per fare operazioni ambiziose del tipo da me auspicato. Non è detto, trent’anni fa con il Progetto Orvieto non andò così. Orvieto è si malata di scetticismo, ma quando vede che le cose possono funzionare ci si misura, seppure mantenendo una prudente distanza. Oggi si ha paura, c‘è sfiducia, e per di più le risorse sono scarse. Di conseguenza tutto sembra doversi ridurre a piccole diatribe. In realtà il tema di governo è sempre lo stesso: la capacità di mobilitare forze con la forza delle idee e la capacità di realizzarle. Auguri
FEMMINISMO FUORI TEMPO CON I SOLDI DI TUTTI ?
Caro Leoni,
abito in un piccolo paese del circondario di Orvieto e le scrivo per un consiglio su un’attività dell’associazione “L’Albero di Antonia” che, come ho letto in questi giorni, si svolgerà dal prossimo gennaio. È un corso di autostima con un programma che si adatta bene alle mie esigenze. Però ho una perplessità e per questo le chiedo un consiglio. Si tratta di un “Corso di Autostima al femminile”. Mi chiedo: perché solo al femminile? A Orvieto c’è ancora una rigida separazione di genere nel trattare i bisogni della crescita umana? E poi nel manifesto si dice anche che il corso è gratuito in quanto realizzato con il contributo del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Allora, se si agisce per le pari opportunità, perché non è aperto anche ai maschi che hanno anche loro bisogno di autostima? Se saremo solo donne io penso che mi troverò a disagio. Lei che cosa mi può consigliare?
Giuseppina C.
Cara Giuseppina, “L’Albero di Antonia” è una iniziativa che reca già nel nome l’impronta del matriarcato. Infatti riprende il titolo di un film del 1956 che narra di una famiglia allargata di stampo matriarcale. Niente di strano che abbia ottenuto finanziamenti pubblici per una attività riservata alle donne. Chi decide come spendere i soldi di tutti si comporta come Totò nella celebre scenetta: «Voglio proprio vedere dove vogliono arrivare!» Infatti il denaro pubblico non è suo, ma di Pasquale; cioè nostro.
L’UMBRIA, TERRA DI SOLI SANTI?
Caro Leoni,
in questi giorni i giornali dell’Umbria erano pieni di dichiarazioni soddisfatte sull’esito della maxi indagine che ha portato all’arresto di oltre sessanta persone e al sequestro di beni per trenta milioni di euro. È come se l’Umbria abbia tirato un sospiro di sollievo per il fatto che tutto dice che l’organizzazione criminale di stampo ‘ndranghetista non ha trovato sponde in nessuno dei gangli della società perugina e umbra. Allora tutto a posto? Possiamo ritenerci al sicuro da certi fenomeni? Lei che dice, ci sta proteggendo San Francesco o abbiamo un buon sistema politico-istituzionale o gli anticorpi della società sono ancora robusti e destinati a restare tali?
Gabriele G.
Accade nelle migliori famiglie. Si cerca di arginare lo sputtanamento. Così la stampa umbra mette in evidenza che la magistratura non è stata ostacolata dall’omertà (perdinci, non siamo mica meridionali!) e che siamo in buona compagnia con altre aree del Nord e del Centro Italia come Varese Bologna, Arezzo, Siena, Ancona, Macerata e Viterbo, e con aree del Mezzogiorno come Crotone, Cosenza e Caserta (anche lì non c’è l’omertà?). Non posso che ancora rifarmi a Totò: «Ma mi faccia il piacere!»
La liquefazione della democrazia
di Pier Luigi Leoni
L’intervento della magistratura sul malaffare romano e sulle attività della ’Ndrangheta in Umbria e in altre regioni del Centro-Nord consegue ovviamente a una complessa ed efficiente attività di polizia giudiziaria. Ma polizia giudiziaria e magistratura intervengono quando si ha la cosiddetta notizia di reato; cioè quando si sa o si sospetta che il reato sia stato commesso. Spetta all’attività di pubblica sicurezza cercare di prevenire i reati; ma, dato che i tribunali sono intasati e le prigioni traboccano, evidentemente di reati se ne commettono a iosa. Si tratta di tendenze delinquenziali troppo diffuse in questo nostro Paese, di inefficienza della pubblica sicurezza o di inadeguatezza delle leggi penali? Gli Italiani non siamo tutti santi, eroi, poeti e navigatori, ma pare che, quanto a delinquenza, ce la battiamo con altri popoli evoluti. La nostra pubblica sicurezza non è la migliore del mondo, ma non è tanto scadente se, quando agisce come polizia giudiziaria, cioè agli ordini dei magistrati, riesce a mettere in atto operazioni di enorme complessità. Le leggi penali sembrano indulgenti solo a chi non le legge, mentre sono severissime e minuziose. Allora sorge il dubbio che ci sia qualcosa che non va nella nostra legge fondamentale, che è la costituzione del 1948, modificata in peggio nei decenni successivi. La democrazia delineata dalla Costituzione vigente sembra fatta apposta per far passare la voglia della democrazia. Prefetti senza poteri nei confronti delle mafie fanno rimpiangere il celebre prefetto Mori, che liquidò la mafia siciliana per conto del governo fascista. Le mafie possono dichiarare guerra allo Stato; ma lo Stato non può dichiarare guerra alle mafie e applicare il codice militare di guerra. I comuni, ormai sciolti da ogni controllo preventivo, costituiscono oltre 8000 soggetti pubblici a rischio di errori, dispendi e veri e propri delitti. Le regioni completano il quadro di un autonomismo sciagurato e privo di controlli, impegnate prevalentemente nel servizio sanitario (che sarebbe nazionale per definizione e per logica) nel quale realizzano una scandalosa disparità delle spese e dei servizi erogati. Una democrazia del genere, in mancanza di una rivoluzione democratica, cioè di profonde riforme, è destinata a liquefarsi in una gestione di maniaci del potere eletti da pochi maniaci delle urne.