Le immagini riproducono esattamente la medaglia che dopo anni di ricerca un collezionista orvietano è riuscito a portare a Orvieto. È la medaglia che commemora la costruzione del Pozzo di san Patrizio.
Esistono esemplari della medaglia presso i Musei Vaticani (in oro), una è esposta al British Museum di Londra, altre due nel Museo Nazionale di Firenze «un esemplare di bronzo… ed uno di bronzo dorato»; presso il Museo Nazionale di Firenze è conservato anche il conio (vedi figure).
“Ritengo un onore ed un dovere- ricorda il collezionista in possesso della medaglia– mettere a disposizione della città di Orvieto la medaglia e quindi di eventi culturali e turistici che potrebbero essere organizzati”.
Una prima iniziativa potrebbe essere l’organizzazione di un evento con protagonista il pozzo di san Patrizio e la medaglia che lo ricorda, magari riprodotta come gadget turistico.
Breve nota storica.
Papa Clemente VII per la costruzione del Pozzo di San Patrizio incaricò Benvenuto Cellini di coniare una medaglia con la scritta “UT BIBAT POPULUS” , dove è rappresentato Mosè che colpisce con la verga una roccia da cui sgorga l’acqua davanti al popolo ebreo in fuga, mentre uno di essi ne attinge con una conchiglia. Sull’entrata del pozzo la scritta “quod natura munimento inviderat industria adiecit” celebra la potenza dell’ingegno umano capace di sopperire le carenze della natura.
A questo punto occorre fare un breve cenno ad alcuni importanti avvenimenti accaduti nel terzo decennio del XVI secolo. Con l’entrata a Roma dei Lanzichenecchi scesi al seguito di Carlo V, il pontefice miracolosamente scampato al sacco della città (1527), lasciò in fretta e furia Castel Sant’Angelo e si rifugiò nel Palazzo Apostolico di Orvieto. Durante il soggiorno venne a conoscenza dello stato di degrado in cui versava l’acquedotto medievale dell’Alfina e dei disagi arrecati alla popolazione dalla carenza di acqua. Per ovviare all’inconveniente che avrebbe potuto compromettere le sorti della città e mettere a rischio la sua incolumità in caso di assedio, il papa, come novello Mosè, ordinò che si costruissero quattro cisterne e che venisse scavato un pozzo (1528) presso i bastioni della fortezza dell’Albornoz, in un punto strategico compreso tra la rupe e il fossato. Il compito di redigere il progetto e di seguire i lavori della costruzione venne affidato ad Antonio da Sangallo il Giovane, architetto fiorentino impegnato in quegli anni al rinnovamento del palazzo apostolico della città e al completamento della fortezza da Basso a Firenze.
“Tutto in pietra…largo venticinque braccia con due scale a chiocciola intagliate nel tufo l’una sopra l’altra…” il Pozzo comportò uno scavo profondo 255 palmi che venne arginato per metà con il tufo e per metà con 30.000 mattoni. “…Cosa ingegnosa, di capriccio e di meravigliosa bellezza…” come ebbe a definirla Vasari nel suo trattato sull’Architettura, l’opera presentava un carattere insolito e quanto mai originale dal momento che “…la salita è per una scala deversa dalla discesa; poiché due sono le scale montate a spira intorno al vuoto del pozzo, per le quali possono passare senza incontrarsi quei che salgono con quei che discendono”.
Il Sangallo che in altre occasioni aveva dato prova di saper unire a un senso pratico per l’architettura fantasia e genialità nella ricerca di nuove soluzioni, anche in questo caso non rinunciò a dare dimostrazione delle sue qualità ideando un’architettura che al di là delle ardite soluzioni lascia intravedere intenzioni e caratteri di ben altra portata. Clemente VII non vide mai realizzata l’opera, che fu portata a termine quando sul soglio pontificio sedeva Paolo III Farnese.