di Laura Calderini
La malattia, come si sa, non conosce orologi e calendari.
Per cui può succedere di aver bisogno di un primo soccorso anche durante le festività natalizie.
Tuttavia, lasciamo correre Natale e S. Stefano, “ché aspettiamo, che non mi fa proprio male; ché è Natale poi, dove vado a dare fastidio!?”
Ma quando il dolore diventa insopportabile, non c’è niente da fare; bisogna proprio andare al Pronto Soccorso.
Così sabato mattina, intorno alle sette, una donna anziana, caduta la sera della vigilia di Natale, senza dire niente ai figli per non allarmarli, approda coraggiosamente, da sola, al Pronto Soccorso, con un braccio dolorante.
La dottoressa, in perfetto spirito natalizio, non trova di meglio da fare che cantarle una vecchia filastrocca: “Din don dan! Ma signora, lei viene a quest’ora di mattina? Din don dan! Lo sa che i tecnici non arrivano prima delle nove e mezzo? Din don dan! Torni più tardi! Din don dan! E, comunque, come mai non è venuta quando è caduta invece di aspettare tutto questo tempo? DIN DON DAN!!!”
La signora anziana, col braccio pendulo, pur ammirata dalla bella voce della dottoressa, rifiuta, ringrazia e va avanti.
Quando la signora anziana mi ha raccontato questa storiella, il pensiero è immediatamente volato all’aprile di due anni fa, allorché anch’io, di domenica mattina, più o meno alla stessa ora, arrivai al Pronto Soccorso, con una caviglia fratturata ed ebbi il privilegio di ascoltare un’analoga filastrocca, intonata da una dottoressa assonnata, che omise, accidenti, i din don dan: “Guardi, i tecnici non arriveranno prima di mezzogiorno; sa non possiamo chiamarli così presto per una cosa così … senza essere certi … . Torni lunedì, ché tanto: se non è rotta, meglio così, se è rotta non cambia niente un giorno di più!”
Anch’io riuscii a sottrarmi alla malìa di quelle belle parole e mi arroccai sulla sediola dove mi ero sistemata con la gamba pendula, anch’essa.
A questo punto, omettendo il racconto di una prima volta, ben più tragica, in cui ascoltai la filastrocca, non posso più non rivelare le argute considerazioni cui sono approdata, dopo lunghe riflessioni.
Ritengo di poter affermare che la conoscenza di questa filastrocca, forse studiata all’Università, venga richiesta come requisito deontologico dell’attività medica.
Mi permetto, tuttavia, di dare un modesto suggerimento: solleviamo i professionisti da tale performance teatrale, essendo paradossalmente sufficiente che un “addetto” alla salute delle persone, si limiti a svolgere il servizio per il quale ha prestato un certo giuramento, senza necessità di infiorettarlo con esibizioni che non gli competono.
Recitare certe filastrocche è compito di saltimbanchi e buffoni.
Lasciamolo fare a loro.