“Volano contro vento” i giovani umbri per entrare nel mondo degli adulti: secondo la ricerca dell’Aur “Diventare grandi in tempo di crisi – Il passaggio alla vita adulta in Umbria e in Italia”, presentata ieri al Teatro Morlacchi di Perugia, per le nuove generazioni, il cammino verso il raggiungimento della piena maturità è un percorso ad ostacoli in cui “il contesto dell’oggi ha ben poco in comune con i riferimenti del passato, anche prossimo”.
Dalla ricerca emerge come nei giovani umbri convivano vecchi e nuovi desideri mescolati con rinnovate prospettive, abilità, opportunità. Il navigare a vista in mare aperto, per loro è una condizione naturale che apre a possibilità altre.
Quella dei giovani umbri di età compresa tra i 18 e 34 anni è una generazione consapevole, forse più generosa di quelle passate, che la consuetudine all’adattamento, alla fatica per raggiungere le piccole tappe della vita, al difficile confronto con un ambiente refrattario, quando non ostile, hanno plasmato e reso più propensa a giocare in campo aperto e a misurarsi con il mondo. L’organizzazione e il governo delle cose stanno loro stretti: in un sistema costruito da altre mani e pensato da altre menti, i nostri giovani, più che impegnarsi collettivamente per cambiarne le regole, cercano di trovare individualmente una via per integrarsi e assumere il proprio ruolo. Nondimeno, sono proprio loro gli inevitabili protagonisti, pur inconsapevoli, di un mondo che, ad oggi, parrebbe orientato ad escluderli.
Le domande di fondo da cui l’analisi ha preso le mosse sono: “In che modo, tra le giovani generazioni, si sta trasformando la percezione di quel passaggio verso la condizione di adultità, collegabile in senso oggettivo al raggiungimento di alcuni traguardi cruciali quali trovare un lavoro, creare una famiglia, diventare genitore, e allo stesso tempo riscontrabile, in una dimensione più soggettiva, nel sentirsi individui attivi, abilitati e protagonisti della propria vita?”.
A rispondere a questi quesiti è stato un campione formato da giovani dell’Umbria (500) e del resto d’Italia (1.000), attraverso un questionario mirato, somministrato dalla società Swg i cui risultati hanno permesso approfondimenti di analisi e, soprattutto, di cogliere affinità o dissonanze tra l’Umbria e il contesto nazionale.
L’indagine rivela che la maggior parte degli intervistati, “prevalentemente” lavora (il 45per cento degli umbri e il 50per cento del resto degli italiani), poi “prevalentemente” studia (33per cento contro 27 per cento). Dunque, come era nelle attese, i giovani umbri studiano di più.
In un contesto dove la separazione tra tempi di studio e tempi di lavoro ha perso la sua rigida sequenzialità, la condizione personale relativa alle attività che occupano il tempo di vita dei 18-34enni intervistati risulta più articolata: capita spesso che i nostri giovani continuino a studiare anche se non lo fanno in via prevalente, quindi la percentuale di chi studia inevitabilmente sale, nel campione umbro come in quello del resto d’Italia.
Le differenze di genere, trascurabili nel resto d’Italia, in Umbria risultano invece rilevanti: le giovani umbre studiano più dei loro coetanei regionali (35 per cento contro 31 per cento), al contrario di quanto emerge su base nazionale, dove le – più basse – percentuali si invertono (25 per cento, contro 28 per cento). Le donne sono meno presenti sul mercato del lavoro sia come occupate (38 per cento), sia nella ricerca di un lavoro (13 per cento) e sono relativamente più numerose come NEET, più dei giovani umbri e più anche degli intervistati e delle intervistate che vivono nel resto d’Italia.
In sintesi, la presenza femminile umbra sul mercato del lavoro (tra occupate e alla ricerca di un lavoro, pari a circa il 50 per cento), è di circa una ventina di punti più bassa di quella delle coetanee italiane intervistate.
I tempi di attesa dal completamento “ufficiale” degli studi alla conquista di un lavoro di tipo continuativo sono più lunghi tra gli umbri rispetto agli italiani: il 66 per cento degli intervistati umbri con un lavoro continuativo lo ha trovato entro un anno dalla fine degli studi, nel resto d’Italia la percentuale sale al 71 per cento e al Nord al 74 per cento.
A fini lavorativi il titolo di studio conta: infatti, al crescere del livello di istruzione aumenta la probabilità di trovare un impiego. Tuttavia il vantaggio competitivo rappresentato da un alto titolo di studio, tra gli umbri si esplica in forma più attenuata rispetto al resto d’Italia, il tasso di occupazione degli intervistati umbri sale dal 63 per cento tra chi ha una licenza di scuola media inferiore al 74 per cento tra i laureati. Nel resto d’Italia si passa dal 58 per cento all’ 81 per cento e al Nord dal 53 per cento all’ 84 per cento.
In Umbria, i giovani – pur relativamente più istruiti – hanno profili lavorativi maggiormente tarati verso il basso, per un’accentuazione locale del problema tutto italiano del sottoinquadramento giovanile. Pertanto, i giovani umbri che lavorano alle dipendenze sono, rispetto a quelli del resto d’Italia, più concentrati verso le qualifiche più basse: più operai, meno impiegati e molto meno dirigenti e professionisti (5 per cento contro 18 per cento). Lo dimostra il fatto che, relativamente al tenore di vita, l’appagamento dichiarato dagli intervistati umbri mostra una correlazione inversa rispetto al titolo di studio, ovvero si è istruiti meno si è soddisfatti. (fonte agenzia umbria notizie)