di Mario Tiberi
L’incontro con il Santo Padre mi ha sì purificato da molteplici scorie interiori, però non è servito a depurarmi completamente dalle “tossine renziane” che, purtroppo per me, pervicacemente insistono nel tormentarmi. E vediamo il perché.
La Legge di Stabilità, nelle scorse settimane, ha assunto per il governo nazionale le forme di un enorme imbuto nel cui cavo terminale sarebbero stati individuati i rimedi risolutivi a tutti i problemi e a tutti i mali italiani. Ma la panacea di tutti i mali si sta trasformando, con il passare dei giorni, in un dannato incubo per i milioni e milioni di connazionali sempre più vicini alla soglia dell’indigenza assoluta. Lo stesso stiracchiato “semaforo verde” della Unione Europea riveste le fattezze di un atto formale più che sostanziale, tanto è vero che il commissario alle politiche economiche comunitarie ha immediatamente tenuto a precisare che l’Italia resta comunque una sorvegliata speciale.
A sentire l’inquilino di Palazzo Chigi, con la predisposta legge di stabilità troveranno soluzione le questioni relative ai precari della scuola, agli operai in fase di licenziamento, alla ripartenza delle grandi opere pubbliche e, magari, si reperiranno anche le risorse finanziarie per mantenere e possibilmente allargare la platea dei beneficiari dei famigerati “ottanta euro”, totem per eccellenza del verbo renziano.
Mi sorge il dubbio, però, che detta legge sia stata scritta seguendo codici tecnicistici se non tecnocratici, prima che politici, vieti ed anacronistici secondo la logica e la filosofia della furbizia sottesa al gioco delle tre carte. Giocare per rinviare “sine die”!
Per convincersi di ciò, basta dare un’occhiatina allo stato in cui versa la nostra economia, disastrata e ben lungi da un suo significativo rilancio. Infatti, delle due l’una: o la legge di stabilità diventa il presupposto di quell’innumerevole elenco di riforme sistemiche che Renzi finora ha solo enunciato, il che però significa varare un provvedimento severo e impopolare, oppure lo si trasforma in un ribollito minestrone nel quale il prestigiatore fiorentino mescola scompostamente promesse, sogni, desideri, impegni assunti e non ancor attuati in una confusa melassa inodore e insapore, sommando disordine a disordine. Inutile affermare che l’ipotesi più probabile si rivelerà la seconda!
Tutti i principali protagonisti della politica italiana, estimatori o meno del premier, su un dato si trovano incondizionatamente d’accordo: il capo del governo non persegue una strategia chiara o, ancor peggio, non la possiede proprio. Così si sono espressi di recente sia Bersani che Berlusconi i quali, uno da fallito smacchiatore e l’altro da ferito giaguaro, comunque concordano nel ritenere le proposte renziane ben al di sotto della tragica crisi che si sta vivendo.
Non la pensa diversamente anche il “detestabile” Sergio Marchionne: “Invece di sparare una riforma al giorno -ha dichiarato l’ineffabile rottamatore della FIAT- basterebbe che il primo ministro si concentrasse su tre temi non più eludibili e, cioè, lavoro, certezza del diritto, sburocratizzazione”. Ma il chiamato in causa è nelle condizioni di farlo?…
Probabilmente no: l’autunno caldo sottoporrà il PD al richiamo della foresta da parte del sindacato e della piazza e, quantunque Renzi non voglia trattare con i rappresentanti dei lavoratori ed ascoltare il grido di dolore proveniente dalle piazze stracolme di manifestanti, alla fine non potrà non tenerne conto. E se non sarà in grado di praticare valide ed efficaci misure anticongiunturali, reagirà nell’unico modo che gli riesce meglio: rilancerà sul piano dell’immagine e del prestigio personale seppur declinante, ma nella sostanza si vedrà costretto ad adottare la deprecabile politica del rinvio.
Pur volendo apparire il contrario, alla fin fine il “pinocchietto di Firenze” non si sta dimostrando altro se non un inguaribile sanfedista al quale, è giocoforza, consegnare una pagella tappezzata di nitide e chiare insufficienze!