MA IL SINDACO GERMANI RISPONDE AL POPOLO O AL PD?
Caro Leoni,
Ho letto su Orvietosi questa frase del sindaco Germani: “Senza un partito unito, me ne vado” e il successivo commento: “L’affaticamento del sindaco che trapela in queste settimane dai silenzi e dalle indiscrezioni che circolano attorno al palazzo comunale, è sfociato apertamente, forse per la prima volta in un’occasione pubblica, nel coordinamento straordinario del Pd che si è riunito mercoledì sera”. Siamo ancora al punto che un sindaco eletto dal popolo decide di mantenere o no la sua carica e quindi di costringere a nuove elezioni in rapporto a quello che fa o non fa il suo partito? E gli alleati stanno zitti? E l’opposizione è d’accordo? Lei che ne pensa?
Francesco F.
Caro Francesco, non si preoccupi di queste scaramucce tutte interne a quel che resta del Pd. Le poltrone della politica sono dotate di un collante che ha una fortissima tenuta. Resta il fatto che oggigiorno amministrare un Comune come Orvieto non è facile né piacevole e occorrono nervi d’acciaio, non certo le idee che possono venir fuori da via Pianzola.
LA MENTALITÀ SU MENDICANTI E ZINGARI È LA SOLA CHE NON CAMBIA MAI?
Caro Leoni,
lei, a proposito di zingari e mendicanti, ha scritto che “è inutile cercare una soluzione che vada bene per tutti; le differenti mentalità hanno radici profonde e non è possibile estirparle”. Eppure la storia dimostra che anche la mentalità sia delle persone che delle collettività è sempre cambiata. La regola non vale solo per mendicanti e zingari?
Antonia C.
Cara Antonia, con quella frase mi riferivo alle possibilità concrete di superare, in un ragionevole lasso di tempo, mentalità molto radicate. In altri termini, credo che lascerò su questa terra gli zingari e i mendicanti pressappoco così come sono, e spero che lei sia abbastanza giovane da poter assistere a qualche significativo cambiamento. Ciò non toglie che ci si deve adoperare, secondo ciò che la coscienza detta e le circostanze consentono, per agevolare il cambiamento in meglio.
SORCI A SCUOLA
Caro Barbabella,
la scuola di Piazza Marconi è stata derattizzata, e ciò ha comportato un giorno di chiusura. Ma non c’è un modo per prevenire l’invasione dei topi? Lei ha presieduto per molti anni un istituto scolastico; ha dovuto combattere guerre coi topi? Come si regolava?
Giuseppe S.
Caro Giuseppe, sicuramente saprà che di topi ce ne sono varie specie, di campagna, di appartamento, di giardino, di fogna. E in tutto il mondo, e da secoli e secoli. Si ricorda?, la peste del trecento fu portata e diffusa dai topi. Pensi, nel luglio scorso i giornali di tutto il mondo hanno riferito di un’invasione di topi nei giardini del Louvre, sì proprio il Louvre, il museo dove è custodita la Gioconda di Leonardo, la Venere di Milo, la Nike di Samotracia, ecc. ecc.. Mi creda, i sorci a piazza Marconi, come in altre zone, non sono né una novità né qualcosa di raro ed eccezionale: sarà magari qualche coppia che nottetempo ha deciso di andare in cerca di un po’ di cibo, visto che le fogne di una volta sono state risanate con i lavori della rupe e che per giunta gran parte delle caditoie sono otturate a raso. Naturalmente tutto ciò che previene e che contrasta il fenomeno, pericoloso per la salute, va fatto e mi pare si stia facendo. Io esperto di lotta ai roditori scolastici? No, non lo sono, non mi è stata data occasione di diventarlo. Perciò, quando nelle mie diverse funzioni pubbliche mi sono trovato di fronte il problema, mi sono limitato a far intervenire gli incaricati della derattizzazione. Per il resto preferisco i romanzi che in qualche modo hanno anche i topi come coprotagonisti: “Uomini e topi” di John Steinbeck o “La peste” di Albert Camus, che consiglio anche a lei.
DOV’È FINITA LA SINISTRA?
Caro Barbabella,
sono tra coloro che si trasferirono nel territorio orvietano per effetto della promozione che ne ha sempre fatto Toni Concina, anche prima di essere eletto sindaco, negli ambienti dell’alta borghesia, a lui ben noti. La non rielezione di Concina credevo che avesse portato al potere, se non dei proletari (specie in via d’estinzione), dei borghesi con idee progressiste. Stavo progettando di riandarmene, ma mi sono reso conto che la nuova maggioranza rappresenta la quintessenza del moderatismo. Mi sono tranquillizzato, ma lei, che è sempre stato un uomo di sinistra, non è preoccupato?
Arthur S.
Gentile Mr Arthur, lei non mi pare uno sprovveduto, uno che è capitato per caso, vista la sua perspicacia nel valutare gli orientamenti politici prevalenti oggi in città. Ma proprio per questo mi meraviglia il suo timore non solo dei proletari orvietani, ma anche dei borghesi progressisti. Forse Toni Concina non le aveva spiegato bene la storia della nostra città, non aveva sottolineato abbastanza il diffuso orientamento conservatore quasi quasi più della sinistra che della destra, o almeno di certa sinistra rispetto a certa destra. E anche il fatto che i pochi borghesi progressisti vengono visti, di qua e di là, come il fumo negli occhi. Comunque buon per lei che è rimasto qui: visto il suo orientamento, ne trarrà sicuramente ottime soddisfazioni. Quanto a me, non sono certo preoccupato della moderazione della maggioranza, anche perché non mi pare questa la sua caratterizzazione prevalente. Semmai mi preoccupo di altro. Auguri.
La natura: “Dio perdona, io no”. E questioni connesse.
di Franco Raimondo Barbabella
Avvenimenti recenti mi spingono a continuare la riflessione di due settimane fa sulle possibili chiavi di lettura del nostro presente per un orientamento che non sia solo di giornata.
Gli avvenimenti sono, nell’ordine: i disastri ambientali di quasi tutte le regioni messi a nudo dalle alluvioni e dalle frane (non governo del territorio o speculazione governata); la sentenza della Cassazione che annulla per prescrizione la condanna a diciotto anni di reclusione dell’industriale svizzero Stephan Schmidheiny, proprietario di Eternit, che solo a Casale Monferrato ha fatto fino ad oggi circa tremila vittime tra morti e malati di cancro (ingiustizia di Stato) e altri purtroppo ne farà nei prossimi anni; l’arresto di dodici pediatri, insieme ad altre sei persone, con l’accusa di aver prescritto latte artificiale ad alcune mamme che stavano allattando i propri bambini al seno (corruzione che non risparmia niente e nessuno); la scoperta che l’imprenditore edile savonese Vito R., e la relativa denuncia a suo carico per falsificazione di comunicazioni al pm, si era inventato tutto sulle chat con la povera Elena Ceste al solo scopo di andare in tv (mitomania indotta dalla tv spettacolo). Credo necessario un breve commento dei 4 avvenimenti.
- I disastri ambientali. Sembra che sia stato detto già tutto, ma in realtà non si è insistito abbastanza sul fatto che quando i fenomeni sono di lungo periodo, come è il caso del dissesto idrogeologico e dell’uso dissennato del territorio, certamente non si può dire che le responsabilità sono anonime, ma altrettanto certamente, essendo esse così diffuse, sfiorano la natura di fenomeni di costume. Al punto che chi quei fenomeni ha osato contrastarli anni fa con azioni chiare e coerenti, quando la cultura della prevenzione non era di moda, come minimo è stato trattato come nemico del popolo e suo potenziale affamatore. E nessuno, ovvio, ha promosso una sollevazione popolare a suo favore. Si potrebbe forse sostenere che una delle regole non scritte ma largamente praticate è stata la selezione delle classi dirigenti in funzione del lasciar fare ad ognuno il proprio interesse, prima e indipendentemente dall’interesse collettivo. Si potrebbe forse parlare di “liberismo collettivista”, nel senso che ognuno fa quello che più gli interessa fermo restando che i danni li paga la collettività. Ancora, si potrebbe forse addirittura sostenere che in tante realtà diverse si è preferito lasciar correre tutto ciò che al momento occorreva, sapendo che gestire l’emergenza è per certi aspetti occasione “più interessante” sia della manutenzione ordinaria che di quella straordinaria, che è comunque e sempre gestione programmata. Situazione diffusa.
- L’annullamento della sentenza Eternit. È stato detto che la riforma della giustizia è la prima riforma economica, giacché un Paese che non fa funzionare la giustizia non dà sicurezza a nessuno, imprenditore, lavoratore, o cittadino che sia. Affermazione sacrosanta. Ma allora com’è possibile che ci si accorga solo ora che esiste il problema della prescrizione e che su di esso si appunti tutta l’attenzione, del governo, del parlamento, e naturalmente degli organi di informazione? Non è che si vorrà nascondere qualcosa che mette a nudo prolungate sottovalutazioni e diffuse inadempienze, quelle congiunte della politica e della magistratura per essere da più di vent’anni l’una contro l’altra armata al fine di nascondere o affermare un ruolo esclusivo e privilegiato? E poi è evidente che da qualche parte il problema riguarda direttamente la magistratura, perché, non potendo non conoscere le norme, o il procuratore ha sbagliato capo d’imputazione, o nei diversi passaggi si è andati a passo di lumaca, o la Cassazione ha scelto una delle due interpretazioni possibili della prescrizione del reato. Non si capisce infatti come si possa affermare che c’è prescrizione del reato per essere state a suo tempo rimosse le cause che lo hanno generato (la chiusura degli impianti) quando le cause del danno alle persone chiaramente restano attive giacché le persone continuano ad ammalarsi e a morire. In ogni caso il sistema è lontano dal suo compito, che è di dare giustizia, cioè di dare garanzie di diritti e di doveri al cittadino. Situazione diffusa.
- L’arresto di dodici pediatri. Qui siamo di fronte allo scatenamento dell’avidità senza limiti e alla conseguente stupidità di professionisti che, pur essendo di per sé privilegiati dal sistema sociale, non riescono ad accontentarsi di quello che hanno e vogliono di più, sempre di più, disponibili per questo a fare carta straccia di leggi e deontologia professionale. Di sicuro non riguarda tutti i pediatri e di sicuro riguarda gente di diverse altre categorie. Situazione diffusa.
- Il caso dell’imprenditore savonese Vito R. Non ci si può più stupire di nulla, e quindi tanto meno del fatto che un tizio decida di inventarsi uno scambio di messaggi con la signora Elena Ceste, trovata morta lo scorso mese di ottobre, al solo scopo di essere invitato nei talk show che da settimane discutono sul caso ed avere così anche lui quel quarto d’ora di celebrità a cui pare che tutti abbiano diritto. Si potrebbe ripetere l’aforisma che Ennio Flaiano attribuiva a Giacomo Devoto: “Fra 30 anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione”. Penso che oggi dovremmo correggerlo, nel senso che l’Italia è diventata anche come l’hanno fatta i governi, governando o sgovernando, ma certo la televisione per quello che è l’Italia e per quello che sono gli italiani ha avuto un ruolo importante, amplificando i fenomeni al servizio del potente di turno. Dunque non si può dimenticare quanto scriveva Karl Popper (“Cattiva maestra televisione”), ma credo si possa anche dire che gran parte degli italiani ci si ritrovano piuttosto bene. Altrimenti non si capirebbe perché tutte le trasmissioni, quale più quale meno, dedichino tutti i santi giorni uno spazio ai delitti e alle varie disgrazie. Se non si è già andati in tv è perché si aspetta di andarci. Situazione diffusa.
Che cosa può legare tutto questo? Con brutta parola direi la “presentizzazione”, la scomparsa della relazione tridimensionale delle vicende naturali e umane, che hanno origine nel passato, si svolgono nel presente, ed hanno conseguenze nel futuro. Tutto si riduce al solo presente; la norma è approfittare del qui ed ora. Con Leo Longanesi potremmo dire: “Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione”, e soprattutto: “La virtù affascina, ma c’è sempre in noi la speranza di corromperla”. In altre parole, fermarsi al qui ed ora è la norma dei furbi e l’Italia ne è invasa.
Dunque abbiamo un Paese da ricostruire, e per farlo dobbiamo uscire dalla logica del qui ed ora come unica dimensione del fare. Bisogna fare, ma con visione e progetto, sapendo che il cambiamento reale richiede durata, una cultura lungimirante e comportamenti quotidiani coerenti. È ingannevole far passare l’idea che basti per questo cambiare le sole élites, classi dirigenti definite, per molti versi a ragione, oltre che vecchie (prima che anagraficamente, culturalmente) e conservatrici, anche incapaci. Il cambiamento deve essere diffuso, come diffusi sono i problemi, e deve riguardare il popolo.
Come ha scritto Antonio Polito, l’errore di Renzi “non sta nel fatto che la nostra élite è effettivamente vecchia e da cambiare; sta nel lasciar credere agli italiani che non ne fanno parte che le cose siano così facili, e che loro non vi abbiano nessuna colpa e dunque nessuna necessità di cambiare. Esattamente ciò che vogliono sentirsi dire”. Se dunque vogliamo davvero ricostruire un Paese che è arrivato ad un punto avanzato di autodistruzione dobbiamo pensare e agire per un cambiamento che penetri nelle viscere delle persone e della società.