I DILEMMI DI NATALE: CHE FARE DEI PARCHEGGI DEL CENTRO?
Caro Leoni,
leggo che monta la polemica su come regolamentare i parcheggi nel periodo natalizio: c’è chi, secondo tradizione, li vuole gratis; e c’è chi invece i parcheggi li vuole a pagamento ma vuole gratis i pollicini. Si sente poi parlare di una Piazza del Popolo libera dalle macchine. Per farci cosa? Boh! Discussioni apprezzabili, ma a me viene un dubbio, che giro anche a lei: non saremmo tutti più contenti se si facesse un torneo di briscola e si litigasse sulla giocata?
Pasquale T.
Proprio in questi giorni mi sto occupando delle contese tra muffati e mercorini che fiaccarono Orvieto nei decenni a cavallo fra il XIV e il XV secolo. Quando la città fu ridotta al lumicino, fecero la pace perché non c’era più nulla su cui litigare. Forse finiremo ancora così.
LAURA TRIPPETTI CHI?
Caro Leoni,
una certa Laura Trippetti è stata nominata coordinatrice di Forza Italia Orvieto dal coordinamento provinciale di quel partito, con il consenso del club Forza Silvio Orvieto, ma a quanto pare senza aver consultato gli esponenti orvietani più in vista come Roberta Tardani. Lei che di queste cose se ne intende di sicuro più di me, che sono solo una casalinga ammiratrice di Tardani, mi può spiegare che succede? Arrivano i commissari? Ci governano da Terni? Che cosa ha fatto Laura Trippetti per avere voce nelle cose di Orvieto?
Maria F.
Non sono un esperto del club Forza Silvio. Non so che sta succedendo là dentro e non sono curioso di saperlo. So però che quem Deus perdere vult dementat prius, quando Dio vuole rovinare qualcuno, lo priva del senno.
CASE DI SVOLTA
Caro Barbabella,
le scrivo da Acquapendente. Vorrei acquistare per mia figlia che lavora a Roma una casa non troppo lontana dalla stazione di Orvieto. Ho trovato una occasione alla Svolta di Ciconia. Ma parenti e amici mi sconsigliano perché il nuovo ponte della complanare favorirebbe l’esondazione del Paglia verso quella zona. Lei che se ne intende cosa mi consiglia? Non le chiedo tante spiegazioni, ma ciò che farebbe lei al posto mio.
Alvaro P.
Caro Alvaro,
non ho nozioni precise sull’argomento come potrebbe averle un esperto (di che?), ma mi risulta che dopo l’ultima esondazione è stato deciso che il ponte sarà più alto. Il tutto comunque sarà messo in sicurezza con le opere previste e in fase di progettazione, che peraltro dovrebbero essere rese note in Comune a giorni. Perciò, se l’occasione è buona, compri pure casa alla Svolta e magari si trasferisca anche lei, così facciamo crescere la popolazione residente nel nostro Comune.
LA CONFUSIONE BERLUSCONISTA, COME QUELLA DEGLI ALTRI, NON È CROMOSOMICA
Caro Barbabella,
a lei di Forza Italia e del Club Forza Silvio di Orvieto probabilmente interessa poco, ma la confusione che c’è in quell’ambiente non le ricorda qualcosa? Del resto i forzisti vengono in prevalenza dall’ex democrazia cristiana e dal vecchio partito socialista.
Anna R.
Guardi, cara Anna, anche a rischio di deluderla non posso risponderle come forse lei vorrebbe, avendo conosciuto solo indirettamente la vita interna della DC e del PSI. Naturalmente sono noti anche a me, come a tutti coloro che conoscono la storia e partecipano attivamente alla vita della nazione, i fenomeni negativi (la turbolenza delle correnti, le lacerazioni e i personalismi, le lotte fratricide) che hanno generato il percorso di autodistruzione di quei partiti. Penso però che si possa dire che gli altri, che si presentavano più disciplinati, come ad esempio PCI e MSI, non erano per questo tanto più virtuosi, anche se per ragioni diverse. In ogni caso, ritengo del tutto errato e assolutamente fuorviante spiegare la confusione che regna nell’area berlusconiana con le antiche ascendenze partitiche dei suoi militanti, anche perché in diversi gradi analoga confusione regna nelle altre aree. Mi pare piuttosto questione di vision, cultura politica attuale, capacità e coerenza progettuale, selezione della classe dirigente. La realtà parla da sola, basta volerla leggere. Quando la crisi dei partiti tradizionali ha generato la voglia dell’uomo solo al comando ed è cominciata l’età del leader maximo, che può fare e disfare, cambiare opinione al massimo ogni ora e lo stuolo dei seguaci lì a corrergli dietro, non poteva non seguirne la corsa al leaderismo diffuso, ognuno per sé e dio per tutti. E via al tifo politico: berlusconismo e antiberlusconismo. E i danni eccoli qua, tutti dietro e davanti a noi. Quando poi il leader maximo invecchia (ma che sorpresa, pensate, le persone invecchiano!) e si capisce che prima o poi dovrà essere sostituito se non altro perché la natura prima o poi farà il suo corso, allora ognuno che si sente leader cercherà di fare le scarpe agli altri potenziali o attuali concorrenti. Così al centro e così in periferia. Il tempo di dimostrare le qualità adatte al compito, o almeno di intuirle in qualche modo, una sana lotta con un minimo di durata, il tempo di verificare che sai fare qualcosa, tutto questo diventa ininfluente. Basta essere un po’ giovani, simpatici a qualcuno, parte di qualche cordata, et voilà. Interesse generale, regole condivise, selezione della classe dirigente, che strane espressioni! Roba vecchia, da nostalgici, anche ovviamente ignorando che, se non ci fu mai un tempo in cui tutto ciò ebbe popolarità, almeno ce ne fu uno in cui di tutto ciò si ebbe nozione e speranza di avvento. Male più vasto dunque, quasi virus pandemico. Ma non si tratta di un perverso regalo di una provvidenza al contrario, né di una tara cromosomica come sembra pensare Bruno Vespa quando parla di “Italiani volta gabbana”. Si tratta di scelte, perciò anche di responsabilità. Non di pochi di una sola parte. E, com’è evidente, non lo dico certo per consolazione.
Qualche riflessione sui fatti e sulle loro interpretazioni
Di Franco Raimondo Barbabella
Nel mio peregrinare tra accadimenti fattuali contingenti e letture filosofiche mi accade di collegare gli uni alle altre alla ricerca di spiegazioni di senso. Alcune volte il senso emerge con immediatezza, altre volte bisogna scavare, riflettere, collegare, e però il senso di ciò che accade o non si trova o se si trova non soddisfa. Conviene domandarsi dunque con quale attrezzatura di pensiero possiamo orientarci nel mondo di oggi. Ovvio che si tratta solo di riflessioni personali senza pretesa di scoprire la verità e senza voler insegnare qualcosa a qualcuno.
Per esempio capisco subito il senso degli 8000 palloncini bianchi che a Berlino segnano il percorso dello storico muro abbattuto 25 anni fa e che tra qualche giorno saranno lasciati volar via contemporaneamente. Si capisce che essi simboleggiano una libertà conquistata che è patrimonio della coscienza collettiva della nazione unificata.
Non capisco invece subito (né mi soddisfano le troppe spiegazioni facili) come possa accadere che nel civile Messico 43 studenti vengano fatti arrestare per vendetta da un sindaco corrotto, siano venduti ai narcos e da questi fatti ammazzare in modo atroce. E allo stesso modo non capisco subito come possa accadere che persone inermi possano essere sgozzate e donne e bambini venduti impunemente dai fanatici dello stato islamico dell’ISIS. Non che non siano possibili spiegazioni, ma lo sono solo scavando sotto la corteccia delle persone e della storia.
Ci sono poi questioni che appartengono al quadro dei grandi problemi intorno ai quali si arrovella il pensiero umano almeno da ventisei secoli a questa parte, ossia da quando Anassimandro di Mileto mise in questione la cosmogonia di Esiodo e per la prima volta spiegò i fenomeni del mondo senza ricorrere ad interventi divini.
Ecco la principale. Di recente, negli stessi giorni in cui avevo iniziato a leggere il bel libro di Carlo Rovelli “Che cos’è la scienza”, mi sono imbattuto nella seguente affermazione pronunciata da Papa Francesco durante la cerimonia di inaugurazione di un busto bronzeo in onore di Benedetto XVI presso la sede della Pontificia accademia delle scienze: «L’inizio del mondo – ha detto il Papa – non è opera del caos che deve a un altro la sua origine, ma deriva direttamente da un Principio supremo che crea per amore. Il Big Bang, che oggi si pone all’origine del mondo, non contraddice l’intervento creatore divino ma lo esige. L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono».
Quale è in questo caso la questione? La formulerei così: a conoscere e interpretare il mondo e i suoi fenomeni bastano gli strumenti autonomi della razionalità umana o c’è bisogno di risalire comunque ad un principio primo di tipo religioso, cioè fondato sulla fede? Nelle parole di Papa Bergoglio si coglie l’eco sia della “teologia antropologica” del gesuita tedesco Karl Rahner (uno dei protagonisti del rinnovamento della Chiesa con il Concilio Vaticano II), che ha spiegato come la verità di Dio si possiede solo “se ci affidiamo al suo continuo progredire”, sia, penso, quella del teologo contemporaneo Vito Mancuso, che nel recente (2013) “Il principio passione” sostiene l’idea della “creazione continua”, di un mondo che tende ad una meta in quanto è teso al suo compiersi.
Si tratta certo di una visione più aperta che nel passato del rapporto tra fede e ragione, Chiesa e scienza, ma non si sfugge alla sensazione di un percorso incompiuto verso il riconoscimento della natura della scienza e del pensiero dell’uomo sul mondo. Lo testimonia un saggio di Telmo Pievani pubblicato sul numero 3/29 di MicroMega intitolato non a caso “Con buona pace dei teologi (‘eretici’ e non)”. Pievani polemizza proprio con Vito Mancuso rimproverandogli il vecchio vizio di sostituire la scienza con la teologia e con ciò di attribuire al mondo e agli esseri viventi finalità non supportate da una qualche evidenza. Si chiede inoltre perché mai la teoria del Big Bang (una specie di fiat lux) dovrebbe essere ritenuta più attendibile ed euristica di quella ad esempio del multiverso, se “il criterio dirimente è ovviamente solo sperimentale e di coerenza matematica. Insomma, dice Pievani, la scienza è un ambito del sapere umano in cui è espunta ogni pretesa di verità ultime e definitive e che agisce secondo regole che non possono essere imposte dall’esterno.
Come ci possiamo orientare allora in un mondo che si caratterizza per eventi così disparati ed estremi e che discute senza soluzione di continuità di questioni millenarie ancora in attesa di soluzioni soddisfacenti? Forse conviene riproporre ciò che Socrate metteva a fondamento del dialogo: “sapere di non sapere”, unica garanzia di una conoscenza mai conclusa costruita sempre con disinteressato amore di verità.
Così d’altronde si orienta anche il pensiero scientifico, che a seguito di un lungo e periglioso cammino si attesta oggi sul punto che “ciò che ci appare ovvio può essere falso” e che “comprendere il mondo significa poterlo ridisegnare” senza definitività, cosicché i presupposti di un atteggiamento saggiamente costruttivo diventano il riconoscimento dell’ignoranza come predisposizione alla ricerca e l’incertezza come alimento del bisogno di conoscenza.
Alla prova dei fatti, storici e attuali, difficilmente si potrà sostenere che questo orientamento (che non è superficiale relativismo) sia meno interessante, produttivo e bello, di quello che pretende di orientare individui e collettività con pretenziose verità assolute, che normalmente si sposano bene con imposizioni, privilegi e fanatismo. Fede e ragione, scienza e filosofia, possono benissimo andare d’accordo purché non si pretenda di ridurre “l’uomo ad una dimensione”.