Caro Barbabella,
il Comune di Orvieto ha 13 cimiteri e 2 addetti. La nuova amministrazione si sforza di dare ad essi una sistemata. Ma non sono troppi 13 cimiteri per 20.000 abitanti? Già D’annunzio aveva notato che da queste parti c’è troppo odore di morte: “Orvieto, su i papali bastioni / fondati nel tuo tufo che strapiomba, / sul tuo Pozzo che s’apre come tomba, / sul tuo Forte che ha mozzi i torrioni, / su le strade ove l’erba assorda i suoni, / su l’orbe case, ovunque par che incomba / la Morte, e che s’attenda oggi la tromba / delle carnali resurrezioni”.
Egisto E.
Caro Egisto,
l’odore di morte – lo dice lei citando D’Annunzio – lo dà eventualmente la città dei vivi, quando tutto sembra degradare verso la rinuncia al pensiero e all’azione, e non certo quella dei morti, dove anzi, gli affetti ricomposti nella pace delle passioni e i ricordi depositati a terra e nella pietra, se letti con spirito attento e libero, possono alimentare meditazioni e slanci di nuova vita. Non è questione di numero, se non per gli impegni di manutenzione e gestione, che sono comunque risolvibili. È questione di civiltà, meglio, di senso della vita. Va detto con rudezza: una città dei vivi che trascuri la città dei morti è una città già morta. No, 13 cimiteri non ci sembran troppi! Genova ne ha 34. Piccoli cimiteri ci sono in tante grandi città dell’Europa centrale e orientale. Da noi ci sono tanti cimiteri sparsi perché sono parte dei borghi, delle pievi, dei villaggi, in cui sono piantate le nostre radici. Lì c’è la storia del territorio, la nostra storia. Per favore, che non venga in mente a nessuno di fare la fusione dei cimiteri. È andata a monte quella dei piccoli comuni. Quella dei cimiteri andrebbe anche peggio, farebbe scoperchiare le tombe.
ZINGARI LADRI?
Caro Barbabella,
giorni fa sulla metropolitana di Roma sono stata oggetto di un tentativo di scippo. Una zingara con un bimbetto sulle braccia cercava di distrarmi, mentre una zingarella frugava nella mia borsa. A Orvieto non abbiamo la metropolitana, ma gli zingari sì, e anche i furti. Molti pensano che gli zingari siano dediti al furto più di altre etnie. Io comincio a convincermi che è proprio così. Lei, che è uomo di mondo e molto più maturo di me, a quali conclusioni è arrivato?
Sara S.
Cara Sara,
provo anch’io disagio nel respirare quest’aria di insicurezza che dalle grandi città si diffonde in periferia e nelle realtà tradizionalmente lontane dai fenomeni di degrado sociale e che si fa sempre più pesante. Non siamo più immuni da niente e dobbiamo attrezzarci, spiritualmente e praticamente, per garantire a noi e ai nostri figli condizioni normali di vita. La mano lesta dà fastidio, crea problemi di vario tipo. Ce l’hanno gli zingari, ma ce l’hanno anche altri. Sono in tanti a rubare, dalle piccole alle grandi cose. Tutti costoro generano un clima sempre più teso e pericoloso, che tende a farci percepire la vita collettiva non come opportunità ma come pericolo e di conseguenza ci fa diventare sospettosi, respingenti e chiusi in cerchie ristrette. Io non ce l’ho né con gli zingari né con altre categorie di persone, ce l’ho però con tutti coloro che non fanno il loro dovere e che lasciano che la convivenza civile ogni giorno scenda più in basso.
MA CHE IDEA HANNO DELLA SCUOLA LE NOSTRE ISTITUZIONI?
Caro Leoni,
mentre in tutta Italia si discute, magari senza troppa convinzione, di come dare una sana scossa al torpore che connota la nostra scuola, la Conferenza provinciale (assemblea inutilmente consultiva) approva praticamente all’unanimità il piano triennale dell’organizzazione scolastica e dell’offerta formativa nel territorio provinciale, quasi per passare dal torpore al sonno. Infatti, unica novità è l’istituzione di due nuovi Istituti Comprensivi a Terni. Per il resto tutto immutato. Anche per l’area orvietana, dove la cosiddetta razionalizzazione di due anni fa ha creato ad Orvieto due mega istituti con criterio “geografico” (polo su e polo giù) e un indirizzo professionale agrario a Fabro staccato dall’Istituto professionale di Orvieto e di fatto in contrapposizione con esso. Lei, caro Leoni, che si interessa non da oggi di buona amministrazione, che cosa pensa di questo modo di amministrare le cose essenziali della comunità? Secondo lei verrà mai il tempo in cui non dovremo più assistere ogni anno a discussioni vane su come cambiare qualcosa per non cambiare niente o per cambiare sempre in peggio?
Cara Angelica,
il tono sconsolato della sua lettera mi fa supporre che lei sia una persona che vive (o ha vissuto) nell’ambiente scolastico. Non sono un esperto della materia, anche se sono figlio di un direttore didattico e figlio e marito di insegnanti; quindi non posso che manifestare opinioni sommarie. Ma ho l’impressione che quel che avviene a Terni sia una modesta sfaccettatura di ciò che avviene in tutta Italia. La scuola italiana annaspa, perché non riesce a staccarsi dalla tradizione statalista del Regno d’Italia, rafforzata genialmente da Giovanni Gentile in regime fascista, inquinata dal clientelismo elettorale in regime democratico. Insomma abbiamo ancora paura dello Stato autenticamente liberale e della conseguente abolizione del valore legale dei titoli di studio. I diplomi con valore legale per decisione autoritativa dello Stato, ovunque e comunque siano stati conseguiti, impediscono una vera riforma improntata alla sana competizione tra scuole pubbliche (statali o di altri enti pubblici), semipubbliche (fondazioni) e private. Lei, allora, si meraviglia che la conferenza provinciale sia un gingillo impaniato nella carenza di fondi e di fantasia?
IN COMUNE È TORNATO IL “VECCHIO CHE AVANZA”?
Caro Leoni,
l’ex assessore Pizzo torna a parlare e va giù duro con la nuova amministrazione comunale sul bilancio 2014, sulla Piave, sui viaggi a spese del Comune e denuncia l’assunzione di un geometra con bando riservato a chi ha già lavorato nell’Ente. Lei, che di amministrazione se ne intende, pensa che la Giunta Germani abbia già dimostrato di essere, come dice Pizzo, “il vecchio che avanza”?
Rinaldo C.
Caro Rinaldo,
l’ex assessore è convinto (secondo me a ragione) di aver dato un grosso contributo alla bonifica delle finanze comunali e forse è deluso dal fatto che la sua azione sia stata disconosciuta in sede elettorale. Perciò i suoi toni possono essere un po’ sopra le righe. Da parte mia sono convinto che amministrare bene un comune non è facile, che amministrare bene un comune italiano è molto difficile e che amministrare bene il comune di Orvieto è quasi impossibile. Ho l’impressione che i nuovi amministratori di Orvieto abbiano sottovalutato i loro predecessori e si siano sopravvalutati. Non è che cominciano a essere incazzati col popolo che li ha eletti? Qualche segnale, come quello della tassa rifiuti, me lo fa sospettare.
L’elzeviro della settimana
La pigrizia della classe politica frena l’unione dei Comuni dell’Orvietano. Il ruolo di stimolo della stampa.
di Pier Luigi Leoni
La fusione dei piccoli Comuni ha avuto sempre scarsa fortuna in Italia. Ultimo esempio il fallimento della fusione dei cinque comuni dell’Alto Orvietano, bocciata dal referendum popolare. Ma non si tratta di un fenomeno tipicamente italiano, anzi, nella nazione a noi più affine come ordinamento giuridico, la Francia, il municipalismo è ancora più radicato. Il fatto è che la semplificazione dei trasporti e delle comunicazioni, da una parte, e la complicazione delle funzioni pubbliche, dall’altra, ha reso sempre più indispensabile la collaborazione fra i Comuni. La forma che ha preso corpo in Italia, e che sta per essere ulteriormente affinata dal parlamento è l’unione dei comuni. Vale a dire che i Comuni si associano per svolgere in modo più razionale le loro funzioni; in determinasti casi per obbligo di legge, in altri casi per scelta autonoma. La legislazione in materia, tra competenze nazionali, regionali e comunali, è complessa e convulsa: c’è sempre all’ordine del giorno in parlamento un disegno di legge che cambia le carte in tavola. Ma, pur nella incertezza legislativa, sono evidenti in determinate realtà quali sono gli interessi delle popolazioni. Uno di questi casi è Orvieto e il suo comprensorio. Il Comune di Orvieto, nonostante rappresenti la metà degli abitanti del comprensorio, è isolatamente troppo debole per permettersi politiche di relazioni con altri territori, a cominciare da quelli del Lazio e della Toscana, in vista di una programmazione turistico-culturale, agricola, commerciale e industriale di ampio respiro. Gli altri comuni del comprensorio sono di una debolezza demografica ed economica prossima all’insignificanza. In questa situazione, perché si sono persi mesi preziosi per fondere cinque comuni deboli in un comune debole e non si sta lavorando per l’unione dei comuni dell’Orvietano? La spiegazione è la pigrizia della classe politica e di tutta la classe dirigente del comprensorio. Ma i pigri vanno stimolati e il compito di stimolare spetta anche alla stampa. Ad essa mi appello.