di Pier Luigi Leoni
In un denso articolo, Igino Garbini riporta i dettami etici di grandi culture non cristiane per dimostrare che il principio del non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te ha carattere universale. E ne deduce che la sostanziale omogeneità di tali enunciati e “la perenne conflittualità tra umani” mostra che la complessità della ‘persona’, nei diversi vissuti, non può essere mai contenuta nella sola appartenenza religiosa”. Per concludere che “forse il male non sta nell’una o nell’altra religione, nemmeno nell’ateismo, è in noi stessi”.
Nulla da eccepire. Vorrei solo invitare Igino e i lettori a dialogare su un fatto ineludibile, che è la “pretesa” del cristianesimo nei confronti delle altre dottrine, chiedendo scusa se mi rifaccio al saggio “Sopportare pazientemente le persone moleste”, che ho recentemente scritto con Mario Tiberi.
In tale opuscolo si rileva che la dottrina insegnata da Cristo “delinea il quadro di un’etica che può essere accettata come etica universale (e infatti come tale viene sempre piú accettata, almeno teoricamente, anche dai non cristiani e dai non religiosi) tranne per un aspetto: il dovere di amare e perdonare anche i nemici. Questo precetto etico non esiste nelle culture pre-cristiane. Ma, se Cristo non fosse risorto, sarebbe passato alla storia solo per aver dato compiutezza all’etica universale. Invece Cristo è risorto. Lo hanno visto e rivisto e ci hanno convissuto i suoi seguaci che erano tutt’altro che dei creduloni e degli allucinati. Erano persone deluse dalla fine ingloriosa del loro Maestro, nel quale avevano riposto le speranze del riscatto morale e politico d’Israele. Erano persone sbandate e impaurite, ma soprattutto deluse. La prima notizia della risurrezione gli amici di Gesú l’ebbero da Maria di Magdala, la prima persona che lo aveva visto vivo e ci aveva parlato nei pressi del sepolcro vuoto. Gli Ebrei si fidavano poco delle donne, perciò gli amici di Gesú, di colui che li aveva delusi, ci misero un bel po’ a rassegnarsi all’evidenza. Uno di loro insistette che si trovava di fronte a un fantasma fino a quando non gli ebbe ficcato le dita nella ferita del costato. Hans Küng, il teologo cattolico che non può soffrire Roma, il Papa e la dottrina tradizionale della Chiesa la mette cosí: «La fede nella risurrezione non è un complemento della fede in Dio, ma una “radicalizzazione della fede in Dio”: una fede in Dio che non si ferma a metà strada, ma che va radicalmente fino in fondo. Una fede in virtú della quale l’uomo, senza prove rigorosamente razionali, ma con una fiducia del tutto ragionevole, vive nella certezza che il Dio dell’inizio è anche il Dio della fine, che il Dio creatore del mondo è anche il Dio creatore dell’uomo e anche il Dio che li porta a compimento».”