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Home Corsivi

A proposito di zingari e mendicanti: la radicata coesistenza di mentalità contrapposte

Redazione by Redazione
16 Novembre 2014
in Corsivi, Archivio notizie
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di Pier Luigi Leoni

In ogni grande società coesistono, si confrontano e si scontrano varie mentalità che appartengono a filoni diversi scaturenti dalla profondità della storia. Esaminiamo alcuni casi.

Il “medicante valido” appartiene al filone della tradizione giudaico-cristiana del lavoro come pena inflitta da Dio agli esseri umani per non essersi accontentati del paradiso terrestre; fuor di metafora, per non essersi accontentati di cogliere i frutti pendenti spontaneamente dagli alberi e delle nutrienti larve degli insetti che abbondano ovunque. Il mendicante s’insinua nei luoghi bazzicati da gente che possiede un surplus derivante dal lavoro o dalla fortuna e chiede l’elemosina per sostentarsi e possibilmente per arricchirsi, oppure (come è il caso degli ordini mendicanti) anche per sostentare i poveri, oppure solo per ricambiare con le preghiere (come è il caso dei monaci e delle monache). In fondo egli sente di fare ciò a cui gli esseri umani erano originariamente destinati da Dio: prendere dove c’è senza violenza. Per questo il mendicante valido è ben visto da una parte della Chiesa cattolica, quella che non è stata condizionata dalla mentalità moderna. Papa Francesco fa arrabbiare anche molti cattolici che non tengono conto del fatto che egli ha assunto il nome di uno che mandò a quel paese il padre capitalista e fondò il più grande degli ordini mendicanti. È chiaro che il cuore di questo Papa non batte per Luca Cordero di Montezemolo.

Lo “zingaro” invece, anche se cristianizzato, appartiene a un filone diverso, esterno alla tradizione giudaico-cristiana, quello delle etnie dedite alla rapina di altre etnie. Questa pervicacia nel furto, essendo l’elemosinare solo un metodo per distrarre la vittima, è sostenuta da un senso di superiorità nei confronti delle etnie stanziali, considerate inferiori per la loro insensatezza manifestata nello stordirsi col lavoro e nel baloccarsi con cose inessenziali. Costui è inviso a tutti gli stanziali, che ovviamente lo temono, tranne agli anticapitalisti d’ispirazione ideologica o religiosa. E a parte i sociologi, gli psicologi e gli assistenti sociali che ci campano.

Per una spiegazione di questo quadro, animato da diatribe tra persone per bene che si scontrano sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei “mendicanti validi” e degli “zingari”, bisogna risalire alla nascita del capitalismo nel basso medioevo. Si forma allora, accanto alla mentalità tradizionale, una mentalità di sacralizzazione del lavoro, poi assolutizzata dal protestantesimo. Rinascono le città e la ripesa delle produzioni e dei commerci si basa sul lavoro. Secondo questa mentalità, chi, avendo le forze per lavorare, non lavora, è un parassita da emarginare e possibilmente da schiacciare. Così il povero è sempre più visto come un incapace e uno svogliato che non sa o non vuole profittare delle opportunità che offre una economia dinamica. Questa mentalità non comprende più l’avvertimento evangelico “beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli”, nemmeno nella forma edulcorata “beati in poveri in spirito”. Per questa mentalità il giovane uomo nero che chiede un euro è un inammissibile parassita, il Papa che raccomanda di salvare i migranti africani, è un buonista incosciente e chi vuole tentare di integrare gli zingari è un pazzo pericoloso.

È inutile cercare una soluzione che vada bene per tutti; le differenti mentalità hanno radici profonde e non è possibile estirparle.

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