Ho letto più volte e con attenzione il testo della mozione presentata dai consiglieri Sacripanti, Tardani, Luciani, Meffi, a partire dal titolo: “tutela della Famiglia naturale: Padre è maschio e Madre è femmina”, proseguendo con le premesse e le conclusioni, per cercare di comprenderne i presupposti, il significato e gli obiettivi.
Ho cercato di “depurare” la mia riflessione dall’avversione epidermica verso la violenza culturale e l’impostazione anacronistica di cui percepisco essere impregnata la mozione ed i suoi contenuti.
Si parte dall’assunto che la Famiglia che i Nostri definiscono “naturale” sia quella fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna e che questa rappresenti l’unico adeguato ambito sociale idoneo alla crescita amorevole dei minori (in special modo quelli in difficoltà).
Alla ricerca di un appiglio normativo che legittimi il concetto giuridico definito di “famiglia naturale” corrispondente al modello univoco che i consiglieri propongono (o impongono), sono partita dalla Costituzione della Repubblica italiana che all’art. 29 recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” e prosegue nell’affermare al secondo comma che “Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”.
Nessun accenno si fa al sesso di costoro.
La parola “naturale” dell’art. 29 non si riferisce infatti al sesso bensì è usata nel significato di qualcosa che precede lo Stato ed esiste indipendentemente da esso e dalle sue leggi, perché tutti gli esseri umani aspirano «naturalmente» – cioè indipendentemente dalle concessioni dei loro governanti – a costruirsi una famiglia. Non sono io a dirlo, ma lo hanno scritto nel 1947 Padri costituenti come Giorgio La Pira, Umberto Merlin, Camillo Corsanego e Aldo Moro. Non tutta gente proprio di sinistra…
Piero Calamandrei sottolineò come fosse “un gravissimo errore, che rimarrà nel testo della nostra Costituzione come una ingenuità, quello di congiungere l’idea di società naturale – che richiama al diritto naturale – con la frase successiva «fondata sul matrimonio», che è un istituto di diritto positivo. Parlare di una società naturale che sorge dal matrimonio, cioè, in sostanza, da un negozio giuridico, è una contraddizione in termini”.
E Aldo Moro affermò (udite, udite!) “che, pur essendo molto caro ai democristiani il concetto del vincolo sacramentale nella famiglia, questo non impedisce di raffigurare anche una famiglia, comunque costituita, come una società che, presentando determinati caratteri di stabilità e di funzionalità umana, possa inserirsi nella vita sociale”.
Il successivo art. 30 sancisce il dovere e diritto dei genitori a mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio ed anche qui senza riferimenti a ciò che è “naturale” e ciò che non lo è.
Ma si può andare oltre, leggendo ognuno di questi articoli in combinato disposto con l’art. 2 dove si garantiscono “…i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge a sua personalità” e con l’art. 3 dove è sancito il divieto di discriminazioni per motivi di “sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
E’ bene ricordare inoltre che la nostra Costituzione formale (ovvero così come codificata) è entrata in vigore oltre 60 anni fa e che a questa fa eco la Costituzione materiale, ossia quella vivente, frutto dell’evoluzione dei costumi, della società, dei paradigmi culturali, delle mutate sensibilità.
E ancora, in questa linea evolutiva, la Carta Europea dei diritti fondamentali ha individuato in capo ad ogni persona “l’universale diritto a sposarsi e a formare una famiglia” optando per un’espressione volutamente diversa da quella della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo citata dalla mozione in oggetto e della Convenzione Europea del 1950 sui diritti dell’Uomo e le libertà fondamentali.
Superato l’assunto per cui sarebbe “ontologicamente presupposta” la nozione di famiglia come unione di uomo e donna, ho cercato di individuare, non senza qualche difficoltà, il senso ultimo di questa mozione, che mi sembra da ravvisare nella volontà di salvaguardare “una comunità di affetti e di solidarietà in grado di insegnare e trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri” (cito testualmente).
E qui trovo l’altro aspetto profondamente discutibile. Da quando l’atmosfera di solidarietà, amore e comprensione è legata al sesso di chi la compone? Da quando sani valori di comunione sono preclusi a forme di convivenza diverse da quelle matrimoniali? Siamo certi che se “Padre è maschio e Madre è femmina”, come sentenziano gagliardamente i Nostri, allora tutto è risolto o risolvibile? Se i dati allarmanti dell’Osservatorio Nazionale Violenza Domestica e la cronaca giornalistica, ahimè nera, individuano proprio nelle famiglie tradizionali (naturali?) i casi più rilevanti di maltrattamenti nei confronti dei soggetti più deboli (donne e minori), non sarebbe preferibile parlare della qualità della famiglia, indipendentemente dalla composizione, nella quale il rispetto per i componenti del nucleo rappresenti il principale obiettivo?
E vengo all’ultimo aspetto, il terrore per i consiglieri proponenti di una deriva garantista che preveda un sistema scolastico capace di insegnare agli adulti di domani il valore della propria identità ed il rispetto per quella altrui (tralascio alcuni passaggi sessuofobi della mozione che accennano ad una presunta “propaganda omosessualista” perché sembrano usciti dalle pagine di Mein Kampf).
Concludo: questa mozione, dal sapore stantio, si dichiara “per” la valorizzazione di principi culturali, educativi e sociali ma appare sfacciatamente “contro” quelli costituzionali di eguaglianza e non discriminazione oltre che cieca rispetto alla crescente richiesta di riconoscimento di diritti civili del nostro Paese.