di Danilo Buconi
Man mano che si conoscono gli elementi della Legge di Stabilità 2015, in corso di preparazione da parte del Governo, alcune considerazioni appaiono semplicemente naturali rispetto a talune scelte in essa previste.
Intanto non appaiono sufficientemente chiari – dalla bozza in circolazione – i saldi dei livelli differenziali da finanziare (cioè il valore complessivo della Legge di Stabilità) e del ricorso al mercato finanziario (titoli di stato posti sul mercato), fattore con forte incidenza sul livello di indebitamento dello Stato nei confronti di privati, nazionali ed internazionali.
In base alle notizie diffuse il valore della Legge di Stabilità 2015 dovrebbe attestarsi attorno ai 36 miliardi di euro, di cui 11 coperti in deficit, cioè con il rischio di un aumento del livello di debito pubblico, quello che dovrebbe scendere al 60 per cento del Pil e che oggi – per l’effetto incrociato e sommato del livello del deficit e della diminuzione del Pil – si trova al 132 per cento (oltre il doppio di quanto dovrà essere entro 5 anni).
A modesto parere di chi scrive si ritiene dunque che la Legge di Stabilità così come predisposta – almeno fino ad oggi, salvo modifiche del Parlamento – appare del tutto inadeguata alle reali esigenze del Paese, sia per il valore che rappresenta (i 36 miliardi), sia per alcune misure in essa contenute, almeno discutibili se non contestabili. Un esempio? Si parla di tagli per 4 miliardi di euro alle Regioni (e ci può anche stare, volendo, se vogliamo ridurre la spesa pubblica e il livello di indebitamento che ne consegue) ma poi si legge dell’aumento – a valere per ciascuno degli anni 2015 e 2016 – delle spese per missioni all’estero per circa 850 milioni di euro per ciascun anno; significa che in aggiunta al danno della profonda discutibilità delle missioni internazionali (per lo più militari) si aggiunge la beffa che le stesse possano essere ulteriormente accresciute e finanziate con circa un quarto del taglio dei trasferimenti alle Regioni!
Potremmo aggiungere, poi, la stabilizzazione dei famosi 80 euro al mese (quella somma che viene riconosciuta ai redditi fino a 24000 euro l’anno, a prescindere dal reddito pro-capite familiare e negata a pensionati e incapienti, cioè tutti i soggetti con reddito inferiore a 8.000 euro l’anno circa). E ricordare l’ultima idea del Governo: il bonus da 80 euro per ciascun nuovo nato, a partire dal 2015, per redditi fino a 90.000 euro l’anno (misura assai discutibile sia sul piano della costituzionalità che su quello del rapporto misura/reddito). Senza dimenticare il paventato taglio dell’Irap che escluderebbe tutte le aziende senza dipendenti (non sono lavoratrici e lavoratori anche tutti i commercianti, professionisti e autonomi che lavorano da soli in proprio???)
Di fatto, siamo davanti ad una Legge di Stabilità priva di prospettiva politica e di progettualità, totalmente avulsa da qualsiasi misura di redistribuzione sociale, vera e reale, del reddito e della ricchezza nazionale. E come tale, profondamente indifendibile nel suo complesso!
Per come è messo il sistema Italia, per la depressione economica in atto, per la necessità di affrontare almeno in parte – anche volendo prescindere dalle richieste dell’Unione Europea – il tema del debito, per la forte necessità di tornare a fare investimenti nel nostro Paese (unico motore di una possibile ripresa economica) 36 miliardi di Legge di Stabilità appaiono totalmente insufficienti mentre servono, per almeno tre anni, Leggi di Stabilità shock: per intenderci in grado muovere complessivamente almeno 45 miliardi di euro nel 2015, 42 nel 2016 e 39 nel 2017.
Una sfida importante, forte, ma in grado rispondere a tutte le tre esigenze a cui il Paese ha fortemente bisogno di dare risposte: riduzione delle tasse per rilanciare l’economia e dare sostegno alle famiglie, rilancio degli investimenti, contenimento del debito.