MA CHE COS’È QUESTA FAMIGLIA?
Caro Leoni,
leggo che i consiglieri della sua parte politica hanno presentato una mozione a difesa della “famiglia naturale” con la richiesta all’Amministrazione Comunale di “un impegno serio su questo argomento oltre che all’individuazione di una data per la celebrazione della Festa della Famiglia Naturale e l’introduzione del “Fattore Famiglia” quale criterio di sostegno alle politiche attive e passive al reddito delle famiglie di Orvieto”. Io non discuto la serietà della questione, ma non sopporto che in nome della difesa della “famiglia naturale” si dimentichi che esistono altre forme di famiglia e soprattutto persone singole che spesso sono in grave difficoltà non avendo nemmeno il conforto di un nucleo al quale appoggiarsi nel bisogno. Lei, che mi sembra molto attento ai bisogni delle persone, che ne pensa di questa continua dimenticanza?
Alberta G.
Cara Alberta, non c’è niente di più ambiguo, abusato e contestato dell’aggettivo “naturale” e del suo parente “normale”. La natura ha molta fantasia; produce esseri umani destri e mancini, eterosessuali e omosessuali, fecondi e sterili, sani e ammalati, intelligenti e stupidi, belli e brutti. Credo che se ne debba prendere atto con la maggiore serenità e misericordia possibili. Così come si deve prendere atto della necessità che gli esseri umani si diano delle leggi che tengano coesa la società ed evitino il regresso allo stato ferino. Perciò il dibattito sulla politica della famiglia è fondamentale, dato che investe il nucleo dentro il quale l’essere umano riceve la sua prima formazione e che sovente lo sostiene anche nella maturità e nella vecchiaia. Le utopie ostili alla famiglia sono sistematicamente fallite. Si dovrà quindi trovare una sintesi adeguata all’attuale contesto sociale e culturale. Confesso che la mia maggiore preoccupazione è l’educazione di bambini affidata a coppie di omosessuali, anche se riconosco che è difficilmente evitabile per i figli di donne omosessuali. E questo perché le tendenze omosessuali sono latenti anche negli eterosessuali e considero un’infamità stimolarle e coltivarle. Mi sembra che i vizi “naturali” degli eterosessuali bastino e avanzino.
I CONSIGLIERI REGIONALI LEGHIAMOLI AL TERRITORIO!
Caro Leoni,
Danilo Buconi ha proposto una soluzione per la nuova legge elettorale regionale che mi sembra interessante: invece del collegio unico regionale voluto dal PD, collegi uninominali; invece del turno unico, il doppio turno di ballottaggio. Secondo lei non sarebbe bello che i consiglieri regionali fossero legati alle loro zone e non ai loro capi?
Giovanni S.
Caro Giovanni,
se dipendesse da me non ci sarebbero le Regioni e le relative elezioni regionali. Ma, visto che questa disgrazia ce la dobbiamo tenere ancora per un po’, l’idea del collegio uninominale mi sembra buona, anche perché è congruente con la formazione di comprensori coesi che superino l’eccessivo frazionamento comunale.
BASTANO LE MANUTENZIONI PER PARLARE DI SVOLTA NEL GOVERNO DELLA CITTÀ?
Caro Barbabella,
dopo la sistemazione della scala mobile della stazione, l’amministrazione Germani sta ripulendo il cimitero. Fumo negli occhi o segnale di una nuova era?
Roberta S.
No, cara Roberta, non credo che questi interventi siano fumo negli occhi, ma la presa di coscienza che la manutenzione ordinaria, la pulizia e la tenuta corretta degli ambiti pubblici rappresentano semplicemente la normale, normalissima, condotta di una buona amministrazione. O almeno me lo auguro. E da questo elementare punto di vista credo che ci sia da fare molto (basti vedere come è ridotto il centro storico e molte zone delle periferie) ed è importante che si sia incominciato ad agire. Se però questo bastasse a far parlare di una svolta vorrebbe dire non solo che la precedente amministrazione era come minimo inadeguata rispetto ai compiti fondamentali (d’altronde il giudizio lo hanno dato i cittadini), ma che con la nuova siamo già al top solo con questo. Ciò che francamente non credo: sarebbe la fine di ogni prospettiva. Ci vorrà infatti ben altro (che non è l’orrido benaltrismo veltroniano, ovviamente) per far parlare di svolta, e cioè fare ciò che da tanto tempo le amministrazioni non fanno: avere un’idea di città e di territorio e su quella impostare una coraggiosa politica di rilancio della crescita economica e culturale. Restiamo in fiduciosa attesa.
Caro Barbabella,
il Sindaco di Orvieto non riesce a nominare i nuovi amministratori del Centro Studi per carenza di soggetti disponibili. Certo, non è divertente gestire un ente carico di debiti. Ma una commissione di cui lei faceva parte, non aveva fornito al Comune una relazione con la quale si spiegava come e perché doveva essere salvato il Centro Studi?
Alvaro M.
Caro Alvaro, non credo che le difficoltà nella nomina del nuovo CdA del centro Studi dipendano dalla carenza di soggetti disponibili ad accollarsi i rischi della gestione di un ente fortemente indebitato. Quando si fa qualcosa tentando di farla bene i rischi ci sono sempre, e a maggior ragioni nelle condizioni in cui si trova oggi il Centro Studi, seppure essi si siano molto attenuati a seguito di un’azione sensata di transazioni con i creditori operata dal CdA appena scaduto. E mi picco di ricordare, come d’altronde anche lei fa, che l’opera della commissione chiamata dal sindaco Concina a indicare una via possibile di salvataggio, consistette proprio nel proporre sia le azioni immediate per la messa in sicurezza dei conti sia il piano di medio e lungo periodo per il rilancio e il consolidamento del Centro, evidenziando molte (non certo tutte) potenzialità non sfruttate. Dunque, ripeto, non credo che si tratti di mancanza di soggetti disposti a rischiare. Forse piuttosto ancora non c’è chiarezza sul ruolo del Centro, se esso deve essere solo un ente da salvare, e che di conseguenza nei fatti ha solo un compito di sopravvivenza, o se invece deve diventare un soggetto che partecipa ad una coraggiosa e ambiziosa operazione di rilancio della città a valere su una delle sue fonti principali di possibile sviluppo, la cultura. Cosa che richiede un CdA composto su professionalità conclamate e non su equilibri e dosaggi. Dall’esito delle nomine, che certo prima o poi ci saranno, capiremo quale direzione è stata scelta.
L’elzeviro della settimana
Di Franco Raimondo Barbabella
Mi ero ripromesso di riprendere questa settimana il discorso sulla scuola, ma la tragica inondazione di Genova mi ha convinto che è prioritaria una riflessione su questo evento, essendo esso certamente la metafora dei mali del nostro Paese. Sabato Gian Antonio Stella in un articolo intitolato “Il fango di Genova vergogna del Paese” descriveva da par suo il groviglio di ragioni, fatto di tormentoni giudiziari, liti e ricorsi, pastoie di ogni tipo, lentezze e inadempienze, che alla fine hanno prodotto l’incredibile esito della ripetizione di quanto avvenuto solo tre anni fa, senza che nel frattempo sia stato fatto nulla di quanto allora promesso, nonostante lo stanziamento di ben 35 milioni di euro.
Ho provato un misto di dolore e di rabbia, la rabbia del cittadino che sa che questi accadimenti sono la conseguenza di tre fattori: un uso sconsiderato del territorio di lungo periodo; un cambiamento climatico che rende normale ciò che un tempo era eccezionale (le bombe d’acqua); una classe dirigente incapace di uscire dalla gestione emergenziale per abbracciare la logica degli interventi lungimiranti di prevenzione. Il secondo fattore non è nella nostra disponibilità di controllo, ma il primo e il terzo si. Dunque non si può invocare solo l’eccezionalità delle precipitazioni; bisogna parlare di responsabilità, che per essere diffuse non vuol dire che sono inesistenti. E soprattutto non vuol dire che non si può cambiare rotta. Né vuol dire che non si possa fare alla svelta, con leggi, provvedimenti amministrativi e comportamenti adeguati.
Ho pensato al nostro Paglia e all’alluvione del 12 novembre di due anni fa. Anche qui gestione del territorio miope e approssimativa, sottovalutazione del rischio e cedimento agli interessi spiccioli. Anche qui fastidio ed emarginazione di chi nel tempo, andando controcorrente, ha cercato di impostare un uso razionale delle risorse territoriali. E una volta accaduto l’inevitabile, fatica immensa per l’adozione di un metodo razionale di programmazione e gestione degli interventi, per coordinare i compiti secondo una linea progettuale e conseguenti priorità, per contrastare lentezze e distrazioni. Fatica si, ma anche qualche risultato già visibile, lentezze e ritardi si, ma anche una gran voglia di uscirne, piccolezze e gelosie si, ma anche finalmente una logica progettuale ambiziosa e lungimirante ormai accertata come imprescindibile.
Quale è l’elemento di diversità? È certamente il fatto che dal danno subito a dalla tragedia scampata è derivata la convinzione che bisogna cambiare radicalmente rotta e che la gestione corretta del fiume equivale a sicurezza e futuro della città. È nata su queste basi l’Associazione “Val di Paglia Bene Comune”, nel cui ambito è stata ripresa l’idea del Parco urbano, che è diventata il punto focale strategico della progettazione degli interventi sia di messa in sicurezza che di valorizzazione. Una scelta condivisa da ben 15 associazioni, che si sono accordate per ottenere il migliore risultato possibile affiancando e stimolando le istituzioni dalla fase di progettazione a quella di realizzazione. L’importanza di questo modo di operare si è vista anche ieri con la ben riuscita passeggiata lungo le sponde del fiume organizzata appunto dal coordinamento delle associazioni quasi per un assaggio fisico di ciò che può essere il futuro parco civico: “ricucitura urbanistica della città, condizione di miglioramento della coesione sociale e della qualità della vita dell’intera comunità orvietana e prospettiva di sviluppo sociale ed economico”.
Un rovesciamento dunque: da una possibile tragedia ad un progetto di messa in sicurezza e di risanamento e sviluppo. Una speranza di evitare danni per persone e cose e insieme di generare futuro. Lo stesso rovesciamento che fu operato in occasione delle frane della rupe, che erano, come l’alluvione del 2012, anche una denuncia della fragilità della città (in quel caso quella storica) dovuta sia all’usura del tempo che all’incuria umana. Anche allora l’emergenza fu trasformata in intervento organico dello stesso segno: messa in sicurezza, e insieme risanamento e sviluppo. Nacque in tal modo il “Progetto Orvieto”, come oggi è nato il progetto del “Parco civico del Paglia”. Non sappiamo se si riuscirà a portare in porto tutto il risultato, ma è certo che la strada per l’essenziale è stata tracciata. Se la tensione a far bene non diminuirà la speranza di farcela risulterà sufficientemente fondata.
Nel caso della rupe e del Progetto Orvieto gli interventi non furono regali, ma opere faticosamente realizzate con sforzo di ideazione e di volontà. Nel caso del Paglia è la stessa cosa: non regali, ma capacità di iniziativa, idee e volontà, persone che si mettono insieme, vedono lontano e però si sanno calare nella realtà contingente per indirizzarla al risultato. Lo ricordo a quegli amministratori che vorrebbero far iniziare la storia dal punto in cui loro sono comparsi sulla scena, magari dimenticando che senza l’opera di chi li ha preceduti non avrebbero nemmeno le condizioni di base per pensare al futuro.
A Genova, e purtroppo in tante altre parti del nostro disgraziato Paese, non si è tratto insegnamento non da uno ma da una serie impressionante di eventi calamitosi che si sono susseguiti lungo l’arco di almeno mezzo secolo, il più vicino quello di appena tre anni fa con sei morti. A Orvieto le frane del ’77-’78 furono il punto di partenza di una reazione positiva che portò nel giro di poco più di un decennio al rilancio della città, alla sua modernizzazione e internazionalizzazione (chi oggi dice che quella fase è finita ha ragione, ma non lo dica come se le leggi speciali siano state un’usurpazione e una distribuzione arbitraria di fondi, perché ci vuole poco a capire che senza l’intervento dello stato si sarebbe sprofondati forse nella tragedia e comunque nel pozzo senza fine del degrado e dell’emarginazione). E sempre ad Orvieto l’alluvione di due anni fa ha generato anch’essa una reazione che oggi ci consente di vedere una via percorribile verso soluzioni razionali, ancora da conquistare, ma possibili. Nessuno ci ha mai regalato niente. E continuerà così. Ma noi abbiamo imparato che persone determinate con la schiena dritta, insieme ad altre persone dello stesso stampo, possono vincere scetticismi, particolarismi, piccolezze e anche ostracismi. Perciò bisogna dire che quando si può, allora si deve.