CAOS TARIFFE. PAURA DI GNAGNARINI?
Caro Leoni,
M5s attacca e dice: “Dopo il caos tariffe bus, gli aumenti dei biglietti del Pozzo di San Patrizio, la questione dell’imposta di soggiorno, il rifiuto del mantenimento degli sgravi mensa, il rifiuto dell’Isee come strumento di certificazione patrimoniale per le tariffe ai cittadini ci si mette pure la capacità d’inanellare errori tecnici come questo della Tari a far dubitare della capacità della Giunta di affrontare l’amministrazione della nostra città”. Lei invece non dice niente. Pizzo tace. Siete tutti diventati complici di Gnagnarini?
Assuero S.
Lo scodinzolare agli amici e l’abbaiare agli avversari sono istinti canini che non mi appartengono. Gli intoppi della nuova amministrazione ci sono e sono evidenti, ma i fatti fondamentali su cui esprimere una valutazione positiva o negativa devono ancora arrivare.
PARE CHE A LETTO SI STUDI MEGLIO
Caro Leoni,
ho letto in questi giorni su un giornale online questo titolo: “Ripetizioni hard a Vicenza, prof a letto con studente di 16 anni per ‘premio’.” Francamente non mi sono stupito più di tanto, giacché rapporti “affettivi” tra docenti e studenti sono nati in tutte le epoche. Qui però non si tratta di semplice innamoramento, ma del fatto che una prof., per stimolare il miglioramento scolastico di un suo studente, gli promette un premio in natura che si concretizza a letto e ottiene un risultato strabiliante: lo studente passa in poco tempo da 4 a 7 e viene promosso. È stato inventato così il “letto educativo”. Lei che dice, sarà una nuova strategia da diffondere? Sarà stato trovato finalmente il modo per interessare allo studio la parte sempre più consistente di gioventù italiana svogliata? Le autorità ne capiranno l’importanza?
Giuseppina B
Cara Giuseppina, è convinta che i tempi siano cambiati in peggio? Ai miei tempi c’era qualche professoressa che portava a letto il preside. Badava al suo vantaggio più che a quello degli alunni.
AHI LE TASSE, CHE DOLOR!
Caro Barbabella,
la smarronata delle mille cartelle sbagliate della tassa per i rifiuti è imputabile, in misura diversa, alla giunta, al personale e al fornitore del programma informatico. Ma chi fa leggi astruse e le cambia continuamente ha pure la sua parte di colpa. Non sarà che i parlamentari sono troppi e s’impicciano di troppe cose?
Ada B.
Cara Ada, sì, bisogna ammettere che si tratta di una cosa antipatica che si sarebbe dovuta evitare. E le responsabilità sono sicuramente diffuse, come giustamente lei dice. Però proprio per questo io non me la sento di mettere la croce addosso a qualcuno in particolare, soprattutto al personale dell’Ufficio tributi del Comune, gente seria e capace, a partire dal vertice. La verità è che la confusione parte dall’alto, con un intrico di norme che cambiano continuamente e sembrano fatte apposta per non farci capire niente, però con l’intento di spremere le nostre tasche il più possibile. Così gli uffici, mentre sono compressi tra le richieste di chiarimento dei cittadini e quelle pressanti degli amministratori di far presto rendendo operative decisioni quasi sempre dell’ultimo momento, magari devono anche lavorare con sistemi obsoleti e rapportarsi ad agenzie esterne che spesso viaggiano per conto loro. No, guardi, è proprio questo sistema che non funziona. La responsabilità di ciò che accade è sempre personale, ma guai a trasformare questo sano principio giuridico nella ricerca del capro espiatorio verso il basso.
AHI LA PIAVE, CHE PASSION!
Caro Barbabella,
la recente iniziativa di volontariato per ripulire l’ex caserma Piave la considera un atto demagogico, un esempio da imitare o l’anticipazione di un futuro ineluttabile?
Giovanni S.
Francamente non saprei dire se il futuro ci riserverà solo la possibilità di dedicarci ogni tanto alla ripulitura degli spazi degradati dell’ex Piave. Ovviamente mi auguro di no, ma certo la piega che ha preso la vicenda di questo importante complesso immobiliare preoccupa e genera un’infinita tristezza. A distanza di una diecina d’anni da quando prese avvio l’operazione di riuso produttivo, e a sette anni da quando essa fu bloccata dallo stesso Comune che l’aveva avviata, si deve prendere atto che fa notizia un’iniziativa di pulizia straordinaria ad opera di volontari. Guardi, va bene il volontariato, va bene il sindaco che chiama i beneficiari ai loro doveri civici, va bene l’estetica della responsabilità, va bene la soddisfazione di sentirsi utili alla comunità, va tutto bene, ma perdindirindina a quando una bella chiamata per discutere operativamente di un’idea strategica di messa a reddito senza svendita? Mi auguro vivamente, ed auguro alla città, che non sia penetrata nella mente di chi decide, con l’aggravante della rassegnazione popolare, la convinzione minimalista che ciò che conta è solo dimostrare di muoversi, poco importa come, in quale direzione e con quali conseguenze. Mi auguro, ed auguro alla città, che non si dimentichi nemmeno per un momento che l’ex Piave, così come l’ex Ospedale, non sono immobili qualsiasi, perché sono le fonti della ricchezza della città e del territorio. Sono beni strategici e come tali sono da utilizzare secondo una visione, un progetto, un modo di ragionare e di fare che investe tutta la città. Non si possono svendere, non si possono affidare a mani ignote, non si può rinunciare ad un controllo sul loro uso. Non si può rischiare che mettendole in mani insicure diventino altro da ciò che al momento viene promesso. Sappiano gli amministratori che aver perso tempo e opportunità è grave, ma ancor più grave è accettare che un’occasione di crescita generale si trasformi in problema di cui liberarsi. Sappiano perciò gli amministratori che non saranno bravi perché sapranno liberarsi di qualcosa che è stato fatto diventare artatamente un problema, ma solo se sapranno affrontare tale problema facendolo di nuovo diventare occasione di crescita generale, futuro della città, concepita necessariamente come bene unico ed irripetibile insieme al suo territorio.
Ancora sulla scuola. Visto come è stato ridotto, il sistema scolastico davvero potrà essere riformato?
di Franco Raimondo Barbabella
Riprendo la riflessione sulla scuola iniziata quattro settimane fa nello stesso giorno in cui si svolge il seminario “OpenSchool ADi Umbria 2014” (già allora annunciato), organizzato appunto da ADi Umbria per riflettere sul documento governativo “La buona scuola”, assumendo come metro di paragone delle innovazioni possibili le esperienze in atto in diverse scuole della nostra regione.
Nel primo intervento ho cercato di rispondere alla domanda ineludibile se ancora oggi la scuola abbia un senso socialmente condiviso. Assodata sul punto una risposta positiva, voglio in questo secondo passaggio affrontare l’altro tema parimenti ineludibile: se il nostro sistema scolastico, dato il suo stato attuale, può essere in condizione di essere riformato in un tempo ragionevole per rispondere alle esigenze di formazione dei nostri giovani.
Ad un primo sguardo sembrerebbe, più che difficile, impossibile, per almeno due ragioni fondamentali: la prima è che la scuola italiana da tempo non è più un sistema, ma un coacervo di situazioni così disparate da far oscillare il pendolo dei risultati dai livelli finlandesi a quelli turchi e oltre; la seconda è che da decenni riforme assolutamente necessarie restano confinate nell’angolo delle buone intenzioni e non si traducono, come sarebbe necessario e urgente, in una sistematica, coraggiosa, coerente, politica. Ciò che, inevitabilmente, genera in gran parte degli operatori uno stato di rassegnata sfiducia.
Colpisce in sostanza il costante ripetersi di una distanza abissale tra il dire e il fare. Si pensi da una parte al programma elettorale di Romano Prodi del marzo 1996 e dall’altra al “Quaderno Bianco sulla Scuola” di Giuseppe Fioroni del settembre 2007. I titoli da libro delle buone intenzioni sono emblematici: “Una scuola migliore per tutti” (Prodi); “Una scuola di qualità per tutti” (Fioroni). I testi lo sono ancor più. Diceva il programma di Prodi: “Investiremo sulla scuola per aumentarne la qualità. Libereremo le famiglie dall’obbligo di scegliere precocemente il percorso scolastico e il posto nella società dei propri figli. Favoriremo il rilancio dell’istruzione tecnica anche con l’istituzione di scuole tecniche superiori post-diploma e rafforzeremo l’istruzione scientifica. Ridurremo i costi sostenuti dalle famiglie, favoriremo l’inclusione e la valorizzazione dei talenti, ridaremo dignità e ruolo agli insegnanti”. E diceva il Quaderno di Fioroni: “Ora è il tempo di dare risposte concrete ai problemi della scuola, accorciare le distanze e promuovere il merito e le eccellenze. Risposte capaci di valorizzare le esperienze positive accumulate e di ridurre i molti squilibri che ancora caratterizzano il nostro sistema di istruzione. Puntare sulla qualità non è semplice. Richiede capacità nuove di programmazione degli interventi, la formazione e il reclutamento di una nuova leva di docenti e dirigenti scolastici, un più efficace sistema di aggiornamento in servizio. Presuppone strumenti raffinati e diffusi di valutazione, richiede la fissazione di obiettivi e l’individuazione delle corrispondenti responsabilità”.
Buone intenzioni, certo, ma risultati troppo deludenti (li ho citati nel primo intervento) per non far pensare, da una parte a colpevole inerzia e incapacità, e dall’altra come minimo ad una sottovalutazione quando non ad un perverso disegno di sistematica svalutazione della scuola pubblica. Il fatto comunque incontrovertibile è che non si è voluto o non si è stati in grado di affrontare il groviglio di problemi che si è creato nel tempo: piano per la sicurezza e la modernizzazione degli edifici; banda larga e uso sistematico delle tecnologie digitali; didattica interattiva; autonomia reale delle scuole; nuovo stato giuridico dei docenti e governance preparata e moderna; formazione obbligatoria periodica, valutazione di risultato e carriera del personale. Insomma, un vero salto di qualità e finalmente la conquista di una logica di sistema.
Ora ci prova il Governo Renzi. Il documento “La buona scuola” è ancora una volta una straordinaria carrellata di buone intenzioni, rese però se non altro con linguaggio e soluzioni grafiche accattivanti. Si riuscirà questa volta a vedere un po’ di luce in quello che è, e sempre di più sarà, uno dei settori nevralgici della nazione, forse il più nevralgico? Difficile dire. Pesano molto i due elementi detti sopra. Pesa anche il modo di fare di Renzi, sbrigativo, teso più al consenso che al funzionamento duraturo, asistematico, scenografico. Non è questo elemento secondario, perché la scuola va si riformata in profondità, ma una volta prese le decisioni di fondo (e vanno prese bene) bisogna fare un lavoro lungo, paziente e insieme deciso, perché il cambiamento diventi corpo attivo del fare quotidiano. Infine pesano i limiti e le contraddizioni di cui il documento è farcito: un’infornata di più di centoquarantamila docenti, che contraddice i pur proclamati criteri di qualità del sistema di assunzione e riproduce di contro la ben nota logica delle sanatorie periodiche; un’autonomia delle istituzioni scolastiche che resta ancora sospesa a metà tra affermazioni di principio e strumenti insufficienti; la promessa di un nuovo stato giuridico del personale docente e però contemporaneamente una troppo timida prospettazione di carriera professionale così come una progressione economica ancora su 35 anni e contingentata a priori (aumento ogni tre anni limitato al 66% dei docenti e non basato su una verifica individuale del merito, al di sotto o al di sopra di un astratto limite percentuale); la modifica dei curricoli solo mediante il consueto aumento di materie e di ore e non invece, come in molti paesi, oltre all’uscita a 18 anni, con la flessibilità e l’opzionalità; la conservazione di un’organizzazione rigida delle cattedre e dell’orario al posto di un orario di servizio onnicomprensivo e incentivato individualmente per l’apporto aggiuntivo di ognuno, per di più nello stesso momento in cui si proclama in ogni paragrafo il passaggio a comportamenti flessibili; e poi nessun cenno ad una modernizzazione degli edifici in direzione di spazi aperti per un uso flessibile, né fissazione di tempi, investimenti e modalità certe, per le dotazioni di banda larga sufficiente e di tecnologie adeguate; non un cenno alla decentralizzazione del sistema con conferimento di poteri e responsabilità alle regioni; né un cenno alla cura degli aspetti relazionali e dell’assistenza psicologica mediante figure specialistiche da inserire in dotazione organica, come avviene nei paesi avanzati.
Si potrebbe anche andare oltre. Tuttavia, uno spiraglio di riflessione si è aperto, anzi, per la prima volta su alcuni punti strategici si può registrare la rottura con le incrostazioni di una persistente tradizione conservatrice. Diciamo allora che un cambiamento costruttivo sembra iniziare anche dall’alto, dopo che dal basso per anni e anni le esperienze di rinnovamento ci sono state (e sono state anche molto significative), ma più che essere apprezzate e incentivate sono state lasciate deperire, quando non esplicitamente o subdolamente combattute quasi fossero fastidiosi corpi estranei.
Con il seminario di ADi Umbria si vuole contribuire a questo necessario e urgente rinnovamento del nostro sistema scolastico perché diventi un servizio capace di dare speranza di futuro ai singoli e alla nazione. L’approccio ai problemi educativi non può essere pessimista. Cambiare per migliorare sul serio è difficile, ma non si può rinunciare. Noi vogliamo fare con determinazione la nostra parte.