“APRIRE IL FUTURO”. CON QUESTO SLOGAN MATERA VINCE LA CANDIDATURA A “CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2019”
Caro Leoni,
alle 17,50 di venerdì scorso è finito il sogno di Perugia e Assisi. Sarà infatti Matera, insieme alla bulgara Plovdiv, la “Capitale europea della cultura 2019”. Bello e significativo lo slogan che ne riassume il significato. Ha vinto il coraggio di una comunità che ha saputo riscattarsi dal condizionamento di un passato sofferente. Occhi puntati sul futuro senza rinnegare le proprie antiche radici. Una visione che lega città e territorio e si apre al mondo. Con protagonisti i suoi giovani studenti. Ha ottenuto 7 voti su tredici, Ravenna e Siena ne hanno avuti tre ciascuna, Perugia-Assisi nessuno. Nei prossimi giorni capiremo meglio, ma le due città umbre hanno agito con la mentalità chiusa tipica di questa regione, bella ma incapace di esser unita almeno per le grandi occasioni. Non si è stati capaci di proporre l’Umbria intera e la sua alleanza con le terre di confine, immaginando un modello di territorio attrattivo per l’Europa e il mondo. Non si è capito che non basta l’alleanza con la città di San Francesco per competere al più alto livello. Un peccato. Nel frattempo ad Orvieto si disquisisce di cultura con idee che al massimo possono entusiasmare un circolo di amici sparsi tra Baschi e Grotte di Castro. Se ne trarrà qualche insegnamento? Lei che dice?
Anselmo A.
Caro Anselmo,
ho l’impressione che la scelta di Matera non dipenda solo dalla strategia di chi ha presentato la candidatura, ma anche dalla singolarità del sito dei Sassi. Si tratta di un fenomeno sconvolgente anche per chi conosce altre città rupestri sparse qua e là per il mondo. Avevo letto la drammatica descrizione dei Sassi in “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi. Nel 1964 m’entusiasmò il “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, in buona parte girato nei Sassi”. Nel 1966 visitai Matera con curiosità quasi religiosa: la città moderna sul pianoro ancora strideva con l’abbandono dei Sassi. Sono ritornato più volte e ho verificato la rinascita progressiva dei Sassi nella quale sono stati impiegati tanti capitali, ma anche tanto amore e tanta sensibilità culturale. Spero che Orvieto sappia impostare un strategia convincente per concorrere a capitale della cultura. L’idea di Claudio Margottini per il riconoscimento della fascia settentrionale del distretto vulcanico volsino (da Orte a Pitigliano, con Orvieto al centro) come sito UNESCO del Patrimonio dell’Umanità mi sembra da approfondire anche per proporre Orvieto come capitale della cultura. Altro tema da approfondire e valorizzare mi sembra la ormai quasi certa individuazione del Fanum Voltumae.
ORVIETO, UNA CITTÀ FUORI DAL TEMPO
Caro Leoni,
sfogliando i giornali online di Orvieto mi sono imbattuto in cose come questa: “La felicità è ancora di questo mondo? Dov’è finito il tempo per la vita, per la persona, per la condivisione?”. Si parla della presentazione prossima del libro “Un’idea di felicità” scritto da Luís Sepulveda e Carlo Petrini. Io non sono orvietano, ma mi piace la vostra città perché mi appare fuori dal tempo, come se il mondo non la riguardasse. Altri si arrabattano con problemi di sopravvivenza o affrontano i disastri ambientali, altri ancora cercano di sventare la chiusura delle fabbriche. Voi invece discutete di felicità e di tempo della vita. Mi date un’emozione indicibile. Sono tentato di stabilirmi da voi, ma non è che appena mi trasferisco da dove si corre dalla mattina alla sera poi cacciate via Carlin Petrini e vi mettete a correre anche voi!
Ménego P
Lei venga ad abitare qualche giorno a Orvieto e si renderà conto che il pianoro tufaceo è abitato da una tribù che finge di parlare italiano e di vestire come ci si veste in Italia. In realtà è convinta di possedere la verità e guarda il mondo come se fosse popolato da esseri inferiori, compresi quelli che abitano nel sottostante suburbio. Non glie ne frega niente delle periodiche alluvioni, che contemplano senza emozione dalla Rocca dell’Albornoz, e tanto meno di Luís Sepulveda e Carlo Petrini.
PROCURATO ALLARME
Caro Barbabella,
nel corso di una giornata di forti piogge, un tizio ha telefonato ad alcuni orvietani spacciandosi per dipendente comunale e avvertendo che si stava per chiudere il ponte dell’Adunata. Secondo Lei, si tratta di una mascalzonata da perseguire con un processo penale, di un simpatico scherzo o di una voluta ridicolizzazione della pretesa del servizio di protezione civile di salvarci dalle catastrofi con le telefonate?
Alvaro T.
Caro Alvaro, non credo che le telefonate del servizio di protezione civile alle famiglie orvietane in previsione di eventi atmosferici minacciosi sia da giudicare una pretesa. Esse sono semplicemente un mezzo per allertare la popolazione in attesa di ulteriori istruzioni relazionate all’evoluzione della situazione. L’altro ieri passava il banditore, ieri giravano le auto con l’altoparlante, oggi la moderna tecnologia consente di fare in contemporanea seimila telefonate ad altrettante famiglie. E veniamo al tizio che ha fatto le false telefonate. Impossibile sapere che cosa è passato per quella mente, ma è certo che in essa c’è qualcosa che non va. Spero dunque che vi siano indagini rapide e serie, che si scopra l’autore e che la magistratura proceda secondo codice. Nessuno può prendere sottogamba il reato di procurato allarme, né si può sottovalutare la pericolosità di chi per caso non si rendesse conto delle conseguenze delle proprie azioni. Il termine scherzo non si attaglia a cose di questo tipo. È ben vero che Orvieto ha conosciuto anche nel passato episodi che venivano chiamati, come oggi, scherzi e che però nei fatti erano veri e propri atti delinquenziali, perché ci sarebbe potuto scappare anche il morto. Si sapeva chi erano, ma non furono toccati: cattivo insegnamento! Mi auguro che oggi non si adotti questo tipo di comportamento, che oggettivamente sarebbe, come è stato nel passato, una colpevole complicità.
VIVA LA MUSICA
Caro Barbabella,
il sindaco di Orvieto ha nominato Gabriele Anselmi presidente della Scuola di musica che vive, anzi sopravvive, grazie alla contribuzione della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. Niente da eccepire sulla persona, anche se il suo principale merito è di appartenere al partito del sindaco. E niente da eccepire sul contributo della Fondazione CRO, anche se non mi spiego perché la Fondazione insista nel salvare la Scuola di musica e nel lasciar affogare il Centro Studi. Lei se lo spiega?
Piera Q.
Gentilissima Piera, conosco Gabriele Anselmi come giornalista, dirigente locale del PD e candidato sindaco di Castelgiorgio alle ultime elezioni. Non so se ha anche altre competenze che ben si attagliano all’incarico in questione. Lo saprà sicuramente il sindaco, che a richiesta potrà fornire le necessarie informazioni sui criteri adottati per tale nomina. Quanto alla Fondazione Cassa di Risparmio e alle sue scelte, mi permetto solo di far notare che nessun obbligo essa ha, nemmeno di far vivere la Scuola di musica. Ma, detto questo, le differenze tra Scuola di musica e Centro Studi sono rilevanti. Una in particolare: la prima non ha maturato oltre ottocentomila euro di debiti come ha fatto il secondo. Chi ha portato sull’orlo del burrone il Centro Studi non è stata dunque la Fondazione Cassa di Risparmio, quanto piuttosto una lunga amministrazione diciamo piuttosto allegra, riorientata tuttavia nella fase più recente con opportune iniziative di stabilizzazione del bilancio. Io mi auguro vivamente che il sindaco nomini un CdA all’altezza del compito per conclamate competenze dei suoi componenti, che esso lanci un credibile programma di attività funzionale al ruolo che una città come Orvieto può e deve avere, e infine che su queste basi si stabiliscano rapporti di fiducia con tutti i soggetti pubblici e privati capaci di collaborare. In questo quadro di credibilità mi auguro che la Fondazione compartecipi da protagonista alla svolta che, oltre ad essere necessaria, è anche inevitabile. La scelta è tra una stanca sopravvivenza, che farebbe incamminare il CS verso una rapida morte, e un suo rilancio in grande stile, che però non potrà esserci se non a condizione di un ampio sforzo unitario, competente e lungimirante. Dunque dentro una politica generale, della città e del territorio.
Papa Francesco: il bello deve ancora venire
di Pier Luigi Leoni
Per alcune centinaia di anni (dal secolo XII al XVII) la polemica tra la Chiesa di Roma e i sovrani cattolici, da una parte, ed eretici, apostati e scismatici, dall’altra, assunse un aspetto violento che si concretizzò in disordini, arresti, torture, esecuzioni capitali, stragi e guerre di religione. La Chiesa di Roma, in contraddizione con la dottrina della grazia, della misericordia e del perdono, si lasciò dominare dalla paura della dispersione della comunità ecclesiale e della privazione del proprio potere spirituale e temporale e, con la connivenza dei sovrani cattolici, dominati dalla stessa paura, organizzò un sistema giudiziario speciale per la repressione degli eretici (ma anche degli scismatici e degli apostati). Si tratta della Santa Inquisizione, che costituisce una macchia demoniaca sulla storia della Chiesa di Roma e che, grazie a Dio, appartiene ormai al passato, pur se continua la polemica tra chi, con opposti obiettivi, cerca di attenuare o di aggravare la portata di quel fenomeno. Ma quel tipo di paura è ancora latente nella comunità cattolica, anche se la mancanza di carità fraterna e di misericordia si sfoga con la violenza delle parole. È il maledetto sadismo di cui è intriso il DNA degli esseri umani, quello che la Chiesa chiama peccato originale. In ambito cristiano, il sadismo è attualmente ritualizzato in polemiche verbali, mentre in ambito musulmano si praticano quotidianamente torture e spargimenti di sangue. Il sinodo dei vescovi e il richiamo del Papa alla misericordia verso categorie di persone che vivono in situazioni familiari e con abitudini sessuali non conformi all’ordine personale e sociale propugnato dalla Chiesa, hanno scatenato la reazione di una parte dei vescovi e di una parte degli intellettuali cattolici. Un bravissimo scrittore cattolico di successo ha persino affermato che l’elezione di Papa Francesco sarebbe illegittima. Eppure il cardinale Bergoglio non si è messo da solo sulla cattedra di Pietro, e nemmeno per decisione di una autorità temporale. È stato eletto da un assemblea di anziani cardinali che sapevano benissimo come la pensava. Aspettiamoci, se questo Papa campa, che il Vaticano venga trasformato in un museo e che i relativi introiti vengano destinati ai poveri, compresi il Papa e tutta la gerarchia cattolica.