di Cinzia Catalucci
Si è svolto presso l’Hotel Rilarosi di Ficulle, nella mattinata di sabato 18 ottobre, il convegno medico divulgativo “Alzheimer: una lotta contro la disabilità” promosso dalla residenza protetta Casa della Divina Provvidenza per il riposo della vecchiaia e dal Comune di Ficulle, in collaborazione con A.M.A.T.A. Umbria (Associazione Malati Alzheimer e Telefono Alzheimer), Regione dell’Umbria, USL Umbria 2, Istituto di gerontologia e geriatria dell’Università di Perugia e Aip (Associazione Italiana Psicogeriatria). L’iniziativa, realizzata nell’ambito della Giornata Mondiale Alzheimer, ha coinvolto dirigenti sanitari, medici e associazioni al fine di delineare il complesso e quanto mai attuale tema delle malattie cronico degenerative dell’anziano, con particolare riferimento alla demenza e alla sindrome di Alzheimer. Un excursus che ha toccato gli aspetti della gestione sociale della malattia e gli approcci diagnostici e terapeutici, passando per le testimonianze dirette del mondo associativo e del volontariato.
Un tema, quello della demenza da Alzheimer, di cui non si parla ancora a sufficienza e di cui le famiglie, e a volte gli stessi medici, conoscono ancora troppo poco nonostante la malattia sia sempre più socialmente rilevante in virtù dell’aumento costante della vita media e del conseguente allungamento della condizione di anzianità e delle cronicità a essa connesse. Una folta platea composta da medici e operatori, ma anche e soprattutto da cittadini desiderosi di comprendere più da vicino una problematica sempre più diffusa e trasversale, ha partecipato con interesse alle tre diverse sessioni del convegno che si è aperto con i saluti del Presidente della residenza protetta Casa della Divina Provvidenza per il riposo della vecchiaia, il Cav. Silvio Topo, del Parroco di Ficulle Don Piero Brancaccia e di Gian Luigi Maravalle, Sindaco di Ficulle.
Il direttore regionale della salute e della coesione sociale, Dr. Emilio Duca, ha inaugurato la prima sessione delineando un puntuale orizzonte socioeconomico delle malattie cronico degenerative dell’anziano e sottolineando come le condizioni di lavoro e di benessere sociale siano la prima vera prevenzione delle malattie croniche. Il Dr. Duca ha poi evidenziato che, sia pur nelle stringenti necessità di riduzione della spesa, la Regione Umbria presenta una buona concentrazione di centri di valutazione, centri diurni, laboratori di stimolazione cognitiva, residenze protette e RSA per i malati di Alzheimer e che, per questo, l’obiettivo primario nel prossimo futuro sarà quello di riconvertire l’assetto ospedaliero superando la vecchia visione centristica e abbracciando il concetto di rete di servizi sia esterni, sia interni.
Fa eco il Dr. Giovanni Giovannini, responsabile della programmazione socio-sanitaria dell’assistenza distrettuale e ospedaliera, il quale sottolinea come la cronicità vada trattata in primis sul territorio piuttosto che negli ospedali, dove prevale la diagnosi e la terapia degli episodi acuti. È fondamentale, secondo Giovannini, che si instauri una sinergia tra componente sanitaria e sociale al fine di predisporre piani personalizzati di trattamento a cura sia del distretto sanitario, sia delle amministrazioni comunali. L’obiettivo è dunque quello di promuovere una vita quanto più possibile autonoma e la permanenza del paziente nel proprio nucleo famigliare.
La seconda sessione del convegno ha affrontato invece l’aspetto terapeutico della demenza con una particolare attenzione agli aspetti non farmacologici. Ad aprire la seconda parte degli interventi la Prof.ssa Patrizia Mecocci, direttore della Scuola di Specializzazione in Gerontologia e Geriatria presso l’Università degli Studi di Perugia. La Mecocci ha evidenziato come, quando si parla di terapia della malattia di Alzheimer, morbo cronico dal quale allo stato attuale delle conoscenze non è possibile guarire, l’obiettivo principale diventi il rallentamento della malattia al fine di preservare il più a lungo possibile le capacità cognitive, fisiche e comportamentali del paziente. Risulta fondamentale una diagnosi precoce della demenza che, se intercettata allo stadio iniziale dal medico di base, può essere rallentata di 4 o 5 anni rispetto al decorso di un Alzheimer non trattato. Esistono dei farmaci in grado di inibire e tamponare i meccanismi cerebrali alla base della demenza, ma non vanno dimenticati gli approcci non farmacologici, come ad esempio la musicoterapia, spesso fondamentali nella gestione famigliare dei disturbi comportamentali del malato.
Quando, però, il grado di avanzamento della demenza diventa importante tanto da minare l’autosufficienza del paziente, è il ruolo delle residenze protette a diventare cruciale. A tal proposito il Dr. Antonio Cherubini, direttore del reparto di Geriatria e accettazione geriatrica d’urgenza dell’IRCCS-INRCA di Ancona, ha presentato i risultati del rapporto Ulisse: un progetto di valutazione multidimensionale applicato alle residenze per anziani sul territorio nazionale.
L’analisi ha evidenziato una frequente sottodiagnosi del paziente anziano demente che, affetto spesso da una polipatologia, risulta essere poco trattato o trattato con farmaci non appropriati al suo stato generale. Lo studio è stato condotto sulla base di schede incentrate sul metodo VAOR (Valutazione Anziano Ospite Residenza) che consente un inquadramento e un monitoraggio personalizzato del singolo paziente e, conseguentemente, una più efficace ed efficiente assistenza dell’anziano non autosufficiente, il quale, se seguito e trattato nel modo opportuno, vede diminuire la sua concreta disabilità e la probabilità di ricoveri ospedalieri nel corso della permanenza in strutture protette.
È proprio un caso concreto di riabilitazione all’interno della residenza protetta Casa della Divina Provvidenza di Ficulle a fare da sfondo all’intervento della Dr.ssa Viviana Nicosia, direttore sanitario della struttura e promotrice del convegno. La Dr.ssa Nicosia ha messo in evidenza come l’approccio assistenziale da riservare a un malato di Alzheimer è profondamente diverso da quello utile a un anziano non affetto da demenza. Il malato di Alzheimer è incapace di comunicare le proprie esigenze e le proprie sensazioni e spesso, quella che sembra un’impossibilità di gestire il comportamento dell’anziano, si rivela essere una semplice mancanza di ascolto empatico dei suoi bisogni. È necessario dunque porsi in una condizione di accoglienza nei confronti del paziente malato di Alzheimer cercando, da un lato, di mantenerlo in contatto con la realtà e con sé stesso attraverso percorsi di ri-orientamento temporo-spaziale (R.O.T.), dall’altro di adattare la comunicazione e la riabilitazione alla particolare visione della realtà del paziente e non viceversa.
Ascolto e comprensione sono dunque alla base dell’assistenza ad un anziano colpito da Alzheimer che vede via via affievolirsi non solo le proprie capacità mentali, fisiche e relazionali, ma anche la percezione consapevole di sé stesso e del suo ambiente famigliare. È per questo che, come hanno ricordato la Dr.ssa Annalisa Longo, presidente dell’associazione A.M.A.T.A. Umbria, e l’Avv. Adelaide Aguzzi, volontaria e famigliare di un malato di Alzheimer, questa malattia fa sempre due malati: chi ne è affetto e chi principalmente l’assiste. L’associazione A.M.A.T.A. ha dunque lo scopo di “fare quadrato” formando, ascoltando e sostenendo psicologicamente chi si prende cura di un malato di Alzheimer, il cosiddetto caregiver. Viene scongiurato così l’isolamento sociale e la profonda paura di chi vede i propri cari “allontanarsi” giorno dopo giorno.
L’ultima parte del convegno ha infine affrontato il ruolo interconnesso degli Ospedali e dei Distretti nell’ambito della gestione della demenza e dell’Alzheimer.
Il Dr. Giovannino Marchino, responsabile del Centro di Salute n.1 del Distretto di Orvieto, ha in particolare auspicato un’implementazione in questo senso dei servizi del Distretto di Orvieto dove mancano laboratori di stimolazione cognitiva e Residenze Sanitarie Assistenziali. La Dr.ssa Maria Antonella Annulli, neurologa, ha poi evidenziato come il pronto soccorso di un ospedale, dove pure giungono numerosi anziani nel momento in cui manifestano una demenza, non è un luogo adatto per valutare il reale stato del paziente. Il pronto soccorso è un luogo dove l’anziano affetto da Alzheimer sperimenta la solitudine e il caos, dove le esigenze di una diagnosi rapida impediscono l’adeguato ascolto di un paziente che non riesce a riferire i propri sintomi e spesso neppure il proprio dolore fisico. È per questo che accanto alla necessità di implementare i test di valutazione della demenza e degli stati di delirium di un paziente anziano è opportuno, anche secondo il Dr. Stefano Federici, Direttore Sanitario del Distretto di Terni, avere un approccio diffuso che abbia alla base l’integrazione tra ospedale e distretto socio-sanitario territoriale. A tal proposito il Dr. Alessandro Ruina, medico di famiglia e coordinatore del nucleo di assistenza primaria Orvieto nord, ha parlato del concetto di medicina proattiva, ovvero seguire il paziente anziano prima che si manifestino i segni eclatanti di una demenza, cercando di individuare con anticipo gli eventuali indizi e poter così attivare un percorso di equipe che coinvolga i Centri di Salute, l’assistenza sociale e domiciliare. Questo consente di rallentare il decadimento delle condizioni del paziente e allontanare la necessità di ricovero.
Ruolo dell’assistenza sanitaria ospedaliera, percorsi terapeutici e riabilitativi nelle residenze protette e associazionismo a sostegno delle famiglie. Sono questi, riassumendo, i nodi emersi nell’ambito del convegno “Alzheimer: una lotta contro la disabilità”, nodi che, sia pur nella loro complessità e delicatezza, meritano di avere occasioni come questa di essere portati alla luce e approfonditi, per contribuire sempre più puntualmente alla creazione di un nuovo, e sempre più urgente, concetto di “cura”.