di Igino Garbini
Negli anni scorsi, l’impeto dell’informazione rabbiosa ed odiosa di Oriana Fallaci nei confronti dell’Islam fu accolto con benevolenza nel comune sentire delle fasce più deboli. Niente di nuovo in verità, dopo l’anno mille, Pietro l’Eremita, proprio alimentando la cultura dell’odio, riuscì ad entusiasmare ed a promuovere la funesta Crociata dei pezzenti.
Oggi l’argomento Islam, è affrontato anche negli sconsiderati discorsi di Salvini, sempre fulgida espressione di sciacallaggio di consensi anche in tema Europa, migrazione in genere ed ordine pubblico. Tutto questo nello sfondo di un sentimentalismo connesso al senso di appartenenza etnica, a valori tribali, identità nei balletti folcloristici della Padania, atteggiamenti “no global”, fino ad arrivare al ridicolo della sacralità dell’ampolla con l’acqua dal Po.
Il successo della inconsulta cosiddetta “cultura del nemico” potrebbe anche però intendersi come una comprensibile reazione all’imperante stucchevole buonismo dei cattocomunisti.
I neo comunisti in realtà, sempre meno credibili agli occhi dell’elettorato indigeno, cercano da qualche anno soltanto di lusingare i migranti per ottenere preziosi consensi elettorali aggiuntivi.
I cattolici, quando non cercano di difendere soltanto la loro appartenenza al “più Grande Franchising del mondo” lottando per mantenere il crocifisso appeso negli uffici del registro, rischiano però di confondersi nel groviglio dei valori evangelici.
Problema è che le tre religioni monoteistiche, pur derivando dallo stesso padre, reclamano ognuna in modo diverso di essere depositarie di una verità unica. Inoltre queste difformi verità esclusive sono state inoltre trasmesse in culture diverse, in latitudini e secoli diversi, insomma in diverse condizionalità storiche anno dato vita alle diverse civiltà che conosciamo o che crediamo di conoscere.
Il nostro modo di rapportarci con Dio è anche un modo di rappresentare il cosmo ed è un sistema operativo che ci indica come l’uomo debba stare su questa terra. Il punto debole di questi software adottati dalle tre religioni abraminiche è che ogni tradizione, ogni cultura, pretende di vantare un primato sulle altre in forza della verità assoluta a proprio fondamento. In presenza del “non negoziabile”, della superiorità del proprio modello, il conflitto è inevitabile.
Pertanto la diversità non è intesa come ricchezza, è percepita piuttosto come un attentato ai nostri valori, un inquinamento, comunque qualcosa che mina le nostre certezze. “Nell’altro” ognuno di noi in realtà non riconosce il volto di Cristo ma il serpente maligno che vuole distruggere la nostra civiltà occidentale di tradizione giudaico cristiana.
La massima espressione di arroganza monoteistica si esprime soprattutto nei programmi di integrazione culturale, sempre conditi in salsa cattosinistrese e proposti come auspicabile soluzione finale di tutti i problemi. Questi sottintendono la necessità di fare adeguare gli altri al modello nostro, quello giusto, quello superiore. Una specie del battesimo obbligatorio dei missionari in America latina, una adesione incondizionata al nostro “noi”.
Purtroppo anche i monoteisti mussulmani vogliono anche loro “battezzare” noi, integrarci, aiutare quelli come noi che non capiscono, sottomettere gli infedeli che all’ombra della bandiera a stelle e a strisce adorano Satana.
L’unica crociata degna di essere combattuta fino all’ultimo sangue è quella contro l’arroganza di coloro che si credono detentori dell’unica verità. Soltanto in questa consapevolezza è possibile estirpare la radice della violenza e si può sperare in uno sviluppo armonico tra le diverse tradizioni.