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Home Politica

LETTERE PROVINCIALI n° 7 del 29 settembre 2014

Redazione by Redazione
30 Settembre 2014
in Politica, LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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aereaorvieto400MIRACOLO AD ORVIETO SCALO, FUNZIONA UNA SCALA MOBILE!

Caro Leoni,

ma non le pare che siamo un po’ esagerati? In questi giorni si leggono raffiche di dichiarazioni e di interventi, di politici e di cittadini, per la riattivazione dopo anni di fermo della scala mobile del tunnel delle FFSS, come se la nuova amministrazione avesse fatto un miracolo. Mi chiedo che cosa succederà quando puliranno un po’ meglio le strade, riattiveranno altre scale mobili, chiuderanno qualche buca, toglieranno qualche bruttura. Si invocherà il “santi subito”? Non sarà che l’amministrazione precedente aveva fatto così poco e male che basta un niente per sembrare meglio? Grazie

Gerardo

L’apertura della scala mobile nel tunnel delle FF.SS. è un segnale di buona volontà. Non mi sento di condividere i commenti benaltristi. Certamente non si tratta della salvezza di Orvieto, e nemmeno dell’inizio della salvezza di Orvieto. Ma si tratta di un atto doveroso che la precedente amministrazione fece male a trascurare. Ma adesso, dopo aver ascoltato la fanfara, pretendiamo che venga fuori la banda, altrimenti la festa si ammoscia.

 

GNAGNARINI HA GIÀ LA RENZITE ACUTA?

Caro Leoni,

avevo letto con piacere il suo corsivo sulle scelte del suo amico Gnagnarini e mi sembrava tutto chiaro. Ora però, dopo l’approvazione del bilancio da parte del consiglio comunale, questa polemica tra Gnagnarini e Pizzo sul “fisico bestiale” mi confonde di nuovo le idee. Le dico chiaro chiaro che a me come a tanti normali cittadini interessa poco chi dei due ha ragione, mentre mi interessa capire se alla fine usciremo da questa pagando nel frattempo prezzi salatissimi non solo con le tasse. E poi, anche se avesse ragione lui, non le sembra che Gnagnarini fa e parla come se fosse lui Sindaco, Giunta e Consiglio tutti insieme? Non è che gli sarà già venuta la renzite acuta, malattia più nota come “sindrome della dichiarazione compulsiva”?

Torquato

 Evidentemente Piergiorgio Pizzo, che tanta passione e tanto impegno aveva profuso nella sua attività di assessore al bilancio, è amareggiato dall’insuccesso elettorale, e ancora non si è rasserenato. Massimo Gnagnarini si trova nella situazione psicologica diametralmente opposta, e ancora non si è calmato. Certo, il presenzialismo di Gnagnarini, se non sarà ridimensionato dal superamento della fase della manovra fiscale e dell’approntamento del bilancio, diventerà pericoloso. Sindaco e assessori non potranno sopportare di essere quotidianamente messi in ombra. Spero per Massimo che non abbia ragione Freud quando raffronta il rapporto tra l’Io e l’Es a quello del cavaliere col suo cavallo, nel senso che il cavaliere, se non vuole essere disarcionato, è costretto spesso a ubbidire al suo cavallo. E lo spero anche per Matteo, altrimenti o si disarcionano da soli o li disarcionano gli altri.

 

GL’INSUCCESSI DI CONCINA

Caro Barbabella,

sono convinto che la sconfitta, benché dignitosa, di Concina è stata causata, più che dalla defezione di alcuni settori del centrodestra, dalla mancata soluzione della destinazione del casermone e dell’ex ospedale. Lei ritiene che tale insuccesso fosse inevitabile?

Tito C.

Guardi, i successi e le sconfitte si somigliano: sono frutto di elementi oggettivi e soggettivi, un mix in parte razionale (comprensibile ex post) e in parte irrazionale (incomprensibile anche ex post e però illusoriamente comprensibile ante). Non sono stato chiaro? Lo so, non lo sono stato. Ma, mi scusi, è lei che pretende una risposta con riferimento a precise scelte o non scelte da cui sarebbe dipesa la sconfitta di Concina. Io le posso dire la mia senza i vincoli che lei mi pone. Penso semplicemente che Concina abbia rappresentato quella novità che la società orvietana genericamente intesa (e ormai ansiosa di abbandonare i vincoli dell’appartenenza rigida) attendeva, stanca di lotte tra individui e gruppi molto attenti alle proprie carriere e molto poco ai problemi reali dei normali cittadini. Concina e i suoi però credo che non si siano ben resi conto del compito che loro di fatto era stato affidato. Si sono concentrati, anche con qualche successo, sul risanamento dei conti disastrati da un modo incosciente e protervo di amministrare e però hanno del tutto trascurato di fare la svolta che avevano promesso, a partire naturalmente dalle questioni che lei dice, ma soprattutto dalla mancata interpretazione del momento storico che Orvieto viveva e vive nel contesto regionale e nazionale. Hanno continuato l’amministrazione della sopravvivenza, con i vizi di sempre, senza un’idea portante, senza progetto, senza il coraggio dell’immaginazione e della sfida razionale. L’ex ospedale e l’ex Piave sono semplicemente (sic!) la cartina di tornasole della capacità di chi governa di preparare il futuro della città e del territorio. Finora si è giocato a fare i furbi facendo finta di voler risolvere il problema, forse anche portandosi dietro il senso di colpa di aver impedito la sua risoluzione quando era il momento. Ma comunque la cosa chiara è che non c’era la capacità di farlo perché la conditio sine qua non della soluzione è avere un’idea di città, una visione forte e insieme realistica del suo possibile ruolo nel più generale contesto delle trasformazioni in atto. E quest’idea non si è vista perché non c’era. L’amministrazione Concina doveva sfidare e invece si è arresa alla logica della sopravvivenza, in cui tutti possono avere l’illusione di essere protagonisti almeno per un giorno. Tutto qui, ma non mi pare poco.

 

OTTIMISMO GIUSTIFICATO?

 Caro Barbabella,

il Direttore Dante Freddi scrive: «Fa ben sperare l’affermazione [di Gnagnarini] che “abbiamo il compito di disegnare uno scenario possibile sulla base delle informazioni disponibili, senza che ciò significhi legarsi indissolubilmente le mani con scelte irreversibili”. Una miscela di decisione, modestia e buonsenso». So che lei è molto affezionato al Direttore di Orvietosì, però, mi dica sinceramente, “ben spera” anche lei?

Riccardo Z.

Si, è vero, sono molto affezionato al nostro Direttore, ma questo non mi impedisce di avere idee diverse dalle sue e franchi scambi di opinione quando se ne creano le condizioni e ve ne è la necessità. In questo caso, mentre lui si è nettamente sbilanciato a favore di Gnagnarini e dell’amministrazione Germani forse per coerenza con il suo impegno a favore del cambiamento alla guida del Comune, io, che pure mi sono impegnato nella stessa direzione, in questo momento sento il dovere di maggiore prudenza. E spiego rapidamente perché. Innanzitutto il motto che ho scelto nelle mie attività pubbliche è ben noto, almeno agli amici, ai collaboratori e ai compagni di strada: amicus Plato, sed magis amica veritas, che tradotto liberamente significa “tu sei amico mio, ma più di te è mia amica la verità”. Ne ho pagato sempre tutti i prezzi, ma non me ne pento. Non so se per loro è la stessa cosa, ma io non nascondo di considerare amici sia Gnagnarini che Germani, e proprio per questo a maggior ragione dico a loro quello che ho detto prima a Toni Concina: non fate l’errore di considerare prioritari gli equilibri di potere, perché questo crea solo l’illusione del consenso di un giorno, e invece affrontate di petto i problemi di fondo che sono a tutti noti. Il primo è definire un’idea guida, perché ad oggi non si è vista. Senza di essa si annaspa. Ma mi fermo qui, perché sennò come minimo mi accuseranno di voler dare consigli non richiesti. In particolare però a Gnagnarini mi pare doveroso dire, e in tal senso non mi calza l’entusiasmo di Freddi, che il suo modo di esprimersi è troppo cerchiobottista, uno stile democristiano che non so quanto può essere adeguato al bisogno di scelte nette e coraggiose che anche da questa amministrazione ci si attende dopo diversi quinquenni di navigazione sotto costa. Io non sottovaluto né le buone dichiarazioni di intenti né i segnali di buona volontà, ma certamente più di tutto attendo i fatti.

barbabella 200L’elzeviro della settimana

La scuola nell’epoca della conoscenza come risorsa sociale è più importante che mai. Ma ci vuole una rivoluzione

di Franco Raimondo Barbabella

Ho deciso di dedicare la riflessione di questa settimana alla scuola, l’istituzione che, nonostante tutti ne abbiano una nozione, diretta o indiretta, resta per lo più sconosciuta nella sua natura, peraltro soggetta a inevitabile cambiamento, e nei suoi compiti. E la prima questione alla quale ritengo sia necessario dare risposta è se la scuola ancora oggi abbia un senso socialmente condiviso. Questione essenziale, perché ciò che è assodato è che tutti parlano di scuola ma poi nei fatti la discussione sulle linee strategiche e sulle scelte operative viene lasciata agli addetti ai lavori, che a loro volta prevalentemente hanno cura di uscire dalle difficoltà del momento piuttosto che di guardare lontano, come al contrario in settori come questi bisognerebbe sempre fare.

Dunque vediamo di dare una risposta all’essenziale questione se la scuola abbia ancora un senso socialmente condiviso, non qui soltanto, ma nel mondo. Rispondo con tre citazioni.

La prima e più importante (perché si basa su dati) è ciò che emerge dall’indagine internazionale OCSE-PISA (Programme for International Student Assessment), che rileva ogni tre anni le competenze dei quindicenni in lettura, matematica, scienze e problem-solving, e consente di fare paragoni e trarre insegnamenti per il miglioramento delle prestazioni degli studenti sia al livello delle nazioni che delle regioni e delle scuole. Ebbene, l’indagine dimostra che i paesi a più elevato sviluppo sono quelli nei quali la scuola gode di grande considerazione, ciò che vuol dire investimenti per la modernizzazione di sistema, cura della qualità del personale, prestigio sociale di docenti e dirigenti, clima di istituto stimolante ed efficacia dei metodi di insegnamento, controllo dei risultati perseguiti e raggiunti, misurati anche in rapporto all’equità sociale. Le prestazioni migliori le ottengono gli studenti di Shanghai, Corea del Sud, Giappone, Finlandia, Estonia, Olanda, Polonia. L’Italia è il paese più singolare per estrema varietà di risultati, sia di area geografica che di scuola: si possono trovare colori corrispondenti ai livelli medi di ben 14 paesi del mondo (ad esempio: Trentino, Friuli e Veneto come l’Olanda; Lombardia come la Polonia; Umbria come l’Islanda; Calabria come la Tailandia; Sicilia come la Turchia). Tutto questo ci dice che si può e si deve migliorare, ma intanto è evidente che la scuola serve, anzi, è un servizio pubblico essenziale.

La seconda citazione è il libro di Ken Robinson, guru mondiale dell’educazione, “The element”, pubblicato anche in italiano con il titolo “L’elemento”, in cui l’autore sostiene che la cosa importante nella vita di ogni persona è che si riesca a trovare il proprio “elemento”, cioè il punto di coincidenza tra le cose che amiamo e quelle che sappiamo fare bene. Il talento è questa capacità. Il fatto grave è che la scuola spesso è più un ostacolo che uno stimolo per lo sviluppo del talento di ognuno. Questa situazione però può essere rovesciata: la scuola può essere il luogo in cui il talento naturale viene coltivato ed esaltato a beneficio della società. Dunque la scuola serve, naturalmente se fa bene il suo mestiere.

La terza citazione è ancora un libro, anch’esso di uno studioso americano. Si tratta di “Age of Opportunity” di Laurence Steinberg, psicologo della Temple University di Philadelphia. In esso si sostiene che non è affatto vero che l’“adolescenza prolungata” è un danno, giacché questo spostamento in avanti dell’età adulta (con tutto ciò che significa in termini di scelte e di assunzione di responsabilità) consente di acquisire con lo studio molte competenze e abilità che poi possono essere opportunamente utilizzate nelle professioni. Non solo, ma soprattutto alimenta la “plasticità neurologica”, essenziale in un’epoca nella quale, per dirla con Andreas Schleicher, diminuisce la richiesta di lavori sia manuali che cognitivi di routine e per converso cresce sempre più sia quella di “competenze analitiche non di routine”, cioè “di capacità di utilizzare le conoscenze in maniera creativa”, sia quella di “competenze interpersonali: saper interagire, comunicare, collaborare con gli altri”. Conclusione: “chi può prolungare la propria adolescenza ne avrà dei vantaggi, se vive in un ambiente ricco di stimoli e sfide”. E questo ambiente non è solo la scuola, ma non può non essere anche la scuola, dall’infanzia all’università. Perciò anche per questa via si arriva alla convinzione che la scuola serve, se è viva e stimola la vita.

Che la scuola sia istituzione utile e la sua funzione irrinunciabile è dunque convinzione diffusa. Il punto tuttavia è come farla funzionare al fine di creare futuro, ciò che nelle condizioni attuali sembra piuttosto difficile. Come si sa, il tema è balzato in primo piano anche in Italia con il bombardamento mediatico di Matteo Renzi sulla necessità di una riforma radicale, che da qualche settimana si è tradotto nella pubblicazione del documento “La buona scuola”.

Ma questo documento rappresenta davvero l’avvio di un cambiamento reale, di una vera svolta, di quella rivoluzione di cui Renzi sempre più spesso parla? Si può considerare sul serio l’inizio del cammino verso un sistema equo ed efficiente, finalizzato alla crescita intellettuale ed umana dei nostri giovani, dalle Alpi alla Sicilia? In parte si, in parte no, dipende.

Ne discuteremo però il 27 ottobre prossimo qui ad Orvieto mediante un seminario organizzato da ADi (Associazione Docenti e Dirigenti italiani) dell’Umbria, nei locali del liceo Majorana. Ci auguriamo di non essere i soli interessati. Produrremo anche un documento con le nostre proposte di miglioramento. Ne darò qualche anticipazione col prossimo elzeviro, tra due settimane.

 

 

 

 

 

 

 

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