di Fausto Cerulli
Una terrazza affacciata su un panorama senza limiti, per bellezza ed ampiezza. Una terrazza improvvisamente affascinante per una semplice e insieme complessa intuizione di Valentina Satolli: una serie di sedute che sembrano nuvole, tanto sono leggere ed insieme avvolgenti e rassicuranti, impreziosite dalle ceramiche di Marino Moretti, ma già di per sé al limite, se posso dirlo, del capolavoro di architettura, di idee fresche e nuove, e nello stesso tempo sapienti e frutto di una sapienza antica. Sedere su quella sorta di nuvole, sognare, sentirsi liberi, e insieme uniti a tutti ed a tutto: ecco l’intelligenza, secondo me, dell’idea di Valentina, attenta come suo costume ai particolari più minuti, ed insieme scrupolosa e geniale nell’idea complessiva. Una piazza nuova per Orvieto, e del tutto inimitabile, dove studio ed idea fulminante si incontrano e si fondono. Io, che non sono scarso di parole più o meno azzeccate, sono rimasto come ammutolito. E non ho fatto i complimenti a Valentina, perché non avrei saputo da dove cominciare, anche se conosco Valentina da sempre: ma spesso mi fa soggezione per le idee che pre-sento in lei. Idee che le assomigliano, in un misto di silenzi loquaci, e di slanci improvvisi ma mai casuali. e quel suo lavoro sulla terrazza affacciata sul tutto del nulla che è poi l’infinito, assai le assomiglia. Avverti per un attimo il lavoro preciso e curato poi sei trascinato nella leggerezza incantata ed incantevole. Quelle panchine che non sono solo panchine, ma anche sogni, idee immateriali ed insieme corpose; c’ è tutta, Valentina, in quello che ha saputo inventare: la sua minuziosa precisione quasi di miniatura, e la leggerezza quasi improvvisa del suo crearsi nell’ atto di creare: la sua riservatezza e i suoi slanci , la sua capacità di star sola, in certi silenzi impetrati, e la sua capacità, strana e mai calcolata, di darsi e di dare. Così è di quella sua ultima indimenticabile creazione: che unisce la durevolezza del materiale, alla leggerezza in cui quel materiale si invola. Non so se Valentina avesse in mente tutto questo, ma so che tutto questo le appartiene come la pelle al corpo, come la preghiera al sacro- profano. Valentina ha inventato la piazza più libera di Orvieto dopo averla forse a lungo meditata: ma il suo pregio sta tutto nell’aver risolto e quasi sciolto la precedente meditazione, nella leggerezza completa del risultato. Era modesta e insieme orgogliosa di tutta quella gente che si affollava per vedere quello che lei aveva fatto. Ed io, anonimo tra tutta quella gente, riflettevo su quanto e come quella magica invenzione rappresentasse l’essere di Valentina.. Ed io la conoscevo ora come fatta diversa in una maggiore nuova serenità, quasi greca, ellenizzante. Dicevo di una piazza nuova, e di un nuovo modo di concepire la piazza: raccolta ed insieme aperta a tutto ed a tutti; una sorta di sito antico, un’arena aperta alle orazioni di un rétore, ad uno spettacolo teatrale, ad una pubblica assemblea ed ad un luogo di incontro per innamorati romantici. Il tutto delimitato ed insieme teneramente esasperato da quelle magiche poltrone in pietra. Sentivo che Valentina aveva voluto esprimere qualcosa di arcano, o semplicemente esprimere la vera Valentina. E la caratteristica che ho chiamato ellenizzante era accentuata dalla fuga di prospettive, da quel magico affacciarsi su un panorama vasto, e da una erta di attesa che incombe su tutto. Quasi che da quella invenzione architettonica stiano per emergere le serene divinità di un’arte antica e insieme rivoluzionaria: si avverte come una attesa sacra in quello spazio riempito di vita e insieme in attesa di una vita da ricominciare. Valentina, per quello che so, ha molto lavorato su quel progetto: e la bellezza insolita di quello che Valentina ha realizzato consiste forse nell’aver trasformato il lungo lavoro preparatorio in qualcosa di artisticamente improvvisato. Come sempre accade nelle intuizioni generose e geniali: Grazie dunque, Valentina per quella piazza che non è solo una piazza, per quello spazio in cui possiamo spaziare in una olimpica calma di riflessione, o di una totale immersione in una folla che partecipa e sa partecipare. Se poi pensiamo che accanto a quelle sedute, nel progetto di Valentina, dovranno realizzarsi prati verdi e roseti, l’idea di una creazione in qualche modo rivoluzioriamente ellenizzante, si accresce di un fascino ulteriore.
Io ho letto tutto questo in quella realizzazione che ho ammirato: e Valentina, e soltanto lei, potrà dirmi se ho compreso quello che lei voleva dirci. .