Dal locale al globale e viceversa
Orvieto, città eternamente bambina?
Caro Franco,
ti invito a rileggere alcuni stralci di un intervento di Silvio Manglaviti in cui il nostro amico esprime la propria indignazione per la mancata valorizzazione di Orvieto come città del Corpus Domini. Il sentimento che anima Silvio è latente nella nostra comunità e si riaccende, cambiando oggetto, in occasione di ogni delusione storica. I più vecchi ricordano la semi-insurrezione popolare quando fu trasferito a Viterbo il Distretto Militare, e poi seguirono l’illusione e la delusione del Festival dei Due Mondi, la soppressione del Tribunale e, quel che più preme a Silvio, l’illusione e la disillusione del Giubileo Eucaristico. Illusione e disillusione, quest’ultima, anticipata dall’idea del Duomo Santuario prospettata dal vescovo Giovanni Scanavino. Personalmente non credo e non spero che il Corpus Domini sia suscettibile di una valorizzazione fortemente incisiva sulla vita e sull’economia della nostra città. L’Eucarestia è un mistero fondamentale per la fede cristiana, in particolare per le confessioni cattolica e ortodossa, ma è un mistero che impegna le coscienze dei credenti e non anima le masse dei turisti. Altra cosa sono i grandi Santi, ma San Francesco e Santa Rita non erano di Orvieto. Nell’attesa che Orvieto produca un grande Santo, non è meglio pensarne un’altra?
Pier
“Non voglio esser complice di chi ha contribuito a ridurre Orvieto ad una miserrima realtà marginale territoriale. Griderò sempre (chi vuole è libero di non ascoltare) che l’istituzione del Corpus Domini non può essere considerata e trattata come fattuncolo locale: tale è semmai in tutti gli altri luoghi del mondo in cui si celebri, da Roma stessa (dove Urbano IV mai mise piede, avendo trasferito la sede apostolica in Orvieto) ai mille centri delle tradizionali processioni ed infiorate. Il nostro è il Luogo in cui quella solennità è stata ufficialmente istituita: dov’è allora la copia esposta, pubblica, della Transiturus? Chi vuole ricordare la decretazione dello Studium medioevale orvietano (dove insegnavano Tommaso e Bonaventura), più antico persino di quello perugino? Come ho già detto in altri interventi, le molte iniziative promozionali, egregiamente progettate e realizzate, sono forme intelligenti di applicazione del sentimento di servizio alimentato dal senso di dovere civico. Queste però non possono e non devono costituire alibi (per quanti ne abbiano mandato e siano investiti delle responsabilità) al disimpegno di istruire e gestire, sensu manageriale, la policy culturale e dunque anche turistica orvietana e dell’Orvietano. Mi riferisco alla diffusione globale degli elementi caratteristici culturali che contraddistinguono la nostra città, che sono a monte e supportano pianificazioni e programmazioni di gestione delle risorse culturali, dunque anche turistiche. Mai come ora c’è bisogno urgente di riprendersi in mano la gestione delle proprie risorse culturali e turistiche, ancora stancamente arpionate agli interessi ed umori perugini ed umbri, in generale; è inevitabile che questa città che fu paritetica al capoluogo regionale attuale, dall’epoca etrusca, al Medio Evo e fino ad appena soltanto un secolo e mezzo fa, con tutto il bendidio che si ritrova gratuito dalla sorte, da Madre Natura e sorella Storia, possa esser guardata con sospetto, forse invidia e gelosia. Di sicuro, riportarne alla memoria i caratteri culturali quale centro più in vista dell’antica Etruria e tra i santuari universali del cristianesimo, scontenterebbe più di qualcuno. Così, chiunque ritenga di averne titolo ha gioco facile nello sputar addosso a questa nostra terra orvietana abbandonata e maltrattata ogni genere di disconferme. Orvieto è terra di nessuno. Orvieto è riserva di caccia in balìa di bracconieri della Cultura. Orvieto, che il Santuario lo ha già, il Corporale. Che Paolo VI ha decretato “civitas eucharistica supra montem posita”, e che ha esaltato il Messaggio di Orvieto. Chi fa finta di non sapere che Orvieto è stata per secoli sede pontificia: “Città dei pontefici”; almeno tanto quanto Viterbo, della quale ultima si può leggere sulle strade “Città dei papi”.
Commento di F.R. Barbabella
A leggere questo intervento, debbo dire bello, del nostro amico Silvio ti senti salire su dal profondo dell’anima un misto di stupore e rabbia, che però si scioglie in speranza quando la riflessione ti porta nella complessa e intrigante dimensione del possibile che nasce dalla storia. Cerco di essere più chiaro.
Non mi stupisce il fatto che qualcuno ancora si stupisca, mi stupisco sul serio. Mi stupisco che ogni volta che scompare un pezzo di funzione urbana (nel 1956 il Distretto Militare; nel 1998 la AUSL n. 4; nel 2013 il Tribunale) vi sia al momento una qualche folata di protesta (quasi per salvare la faccia) e poi tutto si cheti e si torni, come se nulla fosse accaduto, alla calma piatta di sempre. E mi stupisce corrispettivamente anche che se qualcuno denuncia un’occasione perduta (a suo tempo – si dice – il Festival dei Due Mondi; più di recente – e di questo sono sicuro, avendolo denunciato io stesso dalle pagine di questa rubrica – il progetto “Peruga Assisi Capitale europea della Cultura 2019” e quello della “Dodecapoli etrusca”) produce una gara del silenzio appunto stupefacente.
Quando scompare un pezzo di funzione urbana allo stupore si affianca quasi sempre anche la rabbia. In me, come presumo avvenga in altri. La rabbia, che è il sentimento naturale che si prova e si sente quando si capisce che qualcosa si potrebbe fare, o che sarebbe giusto almeno provare a fare, e tuttavia non si fa perché nemmeno ci si prova sul serio. Un sentimento che però in situazioni di questo tipo il più delle volte risulta inutile o addirittura paralizzante, anche e soprattutto quando da individuale diventa collettivo. In tal caso infatti si diffonde si la percezione di una perdita, che renderà più difficile e di fatto impoverirà la vita di ognuno, ma nei fatti nel giro di poco tempo tutto tenderà ad assestarsi in un equilibrio verso il basso, aumentando solo la depressione. Rabbia invece normalmente non c’è nel caso della denuncia di un’occasione perduta, che diventa magari occasione di lamentazione ricorrente, ma mai protesta e/o tentativo di correzione di rotta. Gli esempi citati dimostrano che così è sia nell’una che nell’altra situazione.
Dicevo che lo scritto di Silvio, come altri di questo tipo (debbo dire in verità molto rari), suscitano prima un misto di stupore e di rabbia e poi però spingono verso il territorio della speranza. Il passaggio è solo apparentemente paradossale. In primo luogo, infatti, esso fa emergere l’esistenza di una cultura della cittadinanza attiva che il degrado della dimensione pubblica non riesce a sradicare. In secondo luogo la riflessione ci fa capire che, nonostante tutto, le potenzialità che la storia ci consegna, se fossimo in grado di metterle a frutto con un disegno intelligente, con iniziative appropriate e con sufficiente coraggio e dedizione nel portarle avanti, sono straordinarie. Anche nelle condizioni difficili di oggi. Anzi, nelle condizioni di oggi, le opportunità potrebbero risultare anche maggiori, essendo tutto in trasformazione ed essendo la nostra condizione meritevole di lanciare una sfida sia sul ruolo della nostra area sia per il tipo e la dimensione di un nuovo sviluppo.
Voglio rispondere ora alla tua domanda finale. No, caro amico, non credo che pensare al futuro di Orvieto voglia dire attendere che nasca qui un grande Santo, sia perché possiamo essere benissimo devoti ai grandi santi nati in altre città o in altri paesi e zone del mondo, sia perché possiamo invocare San Pietro Parenzo, coma fa spesso il nostro Direttore, e soprattutto perché immagino che non possiamo in alcun modo prevedere se nel caso dovremmo attendere solo qualche anno ancora (non risulta non solo iniziato ma nemmeno pensato l’avvio del processo di beatificazione di qualcuno) o qualche secolo o qualche millennio (nel qual caso credo che la cosa possa riguardare i posteri). Peraltro gli argomenti di Silvio hanno una grande forza perché affondano le radici in aspetti della storia orvietana che hanno portata universale. Basti il riferimento ad Orvieto come santuario della Dodecapoli etrusca, sede dello Studium dove insegnarono Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnorea, e soprattutto come “Città del Corpus Domini”, che nessuno può contestare. E sinceramente non credo che il mistero dell’Eucaristia e la coscienza cristiana o ortodossa potrebbero avere un qualche nocumento dall’essere la nostra cattedrale Santuario Eucaristico, anche con tutte le conseguenze sull’economia e l’organizzazione della città.
Io penso che tutte le risorse da cui la città può trarre speranza debbono essere prese in considerazione e diventare alimento di una grande utopia che si trasforma in progetti e iniziative coerenti, unisce le generazioni e le impegna in un contratto di futuro possibile. Si può fare. Allora perché non farlo? Altrimenti, tra perdita di funzioni urbane e di ruolo territoriale, tra occasioni perdute e rinuncia volontaria ad usare le potenzialità offerte dalla storia, dovremmo concludere che la vera vocazione della città è quella di rimanere bambina, come peraltro sembrerebbe inevitabile stando alle ricorrenti polemiche su ogni questione, preferibilmente marginale, e alla misura della validità delle idee e del consenso fornita dal livello degli strilli. Non ti pare che in questo senso si siano già fatti troppi sforzi? Non ti risulta che anche i piccoli paesi aspirino ad essere città e che nessuna città vuole perdere volontariamente il ruolo che ha conquistato? Insomma, il nostro Silvio ha ragione da vendere.
La mia opinione è che Orvieto si debba liberare dalla sindrome dell’ “invidia per Assisi”. Sul piano della religione, o meglio della devozione popolare e dei suoi risvolti economici, i cattolici hanno già dato e stanno ancora dando a Orvieto. Non per niente il turismo religioso è la prima voce nella tabella del turismo orvietano. Su questo piano (poiché anch’io sono tormentato dalla mia dose di visionarietà) oso sognare-prospettare-proporre che Orvieto divenga il centro della preghiera e della riflessione ecumenica sul tema dell’Eucaristia. Tutte le confessioni cristiane, con diverse implicazioni dogmatiche, celebrano il rito eucaristico. Non c’è un altro posto nel mondo, dopo Gerusalemme, più titolato di Orvieto per riflettere sul grande mistero del Corpo e del Sangue di Cristo.