di Mario Tiberi
Riprendiamo il filo del discorso da dove lo si era lasciato nella prima puntata.
L’oggetto dell’indagine, il linguaggio, esiste sia come entità proveniente dal mondo esterno (una raccolta, ad esempio, di simboli in combinazioni ammissibili e quindi comprensibili), e sia come incorporazione nel cervello umano di quei simboli e dei princìpi che ne strutturano le varie articolazioni e combinazioni.
Per rappresentare il linguaggio, il cervello utilizza gli stessi meccanismi impiegati nei confronti di qualsiasi altra sua funzione. Non vi sono ancora certezze assolute ma, quando si riusciranno finalmente a comprendere le basi anatomo-fisiologiche delle rappresentazioni cerebrali di oggetti esterni e di eventi e delle loro relazioni, allora si potranno comprendere appieno le rappresentazioni del linguaggio nel cervello e i meccanismi ad essa sottesi.
Ad oggi, gli studiosi della materia sono giunti alla provvisoria conclusione che l’encefalo umano elabora la capacità espressiva verbale attraverso tre organismi strutturali interagenti tra di loro.
In primo luogo, una cospicua quantità di sistemi neurali, alcuni posizionati nell’emisfero destro ed altri in quello di sinistra, consente di costruire le categorie pre-linguistiche frapposte tra il nostro corpo fisico e l’ambiente che ci circonda, usufruendo della mediazione di processi sensoriali e motori: in altre parole, tutto ciò che una persona pone in essere lo percepisce, lo pensa e lo sente nello stesso momento in cui agisce nel mondo ad essa esterno. Il cervello non soltanto classifica nelle predette categorie codeste rappresentazioni “pre” o “non ancora” linguistiche (suoni, colori, forme, emozioni et cetera), ma crea anche un secondo livello di rappresentazione per gli esiti finali della sua classificazione. In questo modo gli esseri umani, a differenza degli animali, organizzano in strutture oggettive realtà materiali ed immateriali, eventi e relazioni così come, attraverso stadi successivi di rappresentazioni simboliche, arrivano a costruirsi le basi dell’astrazione e della metafora.
In secondo luogo, un numero più ridotto di sistemi neurali, localizzati prevalentemente nell’emisfero sinistro, articola e dirige i fonemi, le combinazioni fonetiche e le regole sintattiche per la individuazione delle parole appropriate a ciò che si vuole esprimere e, in successione, la logica costruzione di frasi compiute. Stimolati da segnali provenienti dall’interno del cervello, questi sistemi assemblano forme di parole, generando frasi che verranno poi pronunciate e/o scritte.
Quando, invece, sono stimolati dall’esterno, o da un discorso parlato o da un testo scritto, i medesimi sistemi eseguono l’elaborazione fondamentale dei segnali linguistici, in arrivo, attraverso l’udito o la vista.
E’ inoltre collocato, in prevalenza nell’emisfero sinistro, anche il terzo comparto di strutture cerebrali deputato alla mediazione tra i primi due: può, ad esempio, afferrare un concetto e stimolare la produzione endogena di forme di parole così come, all’opposto, può ricevere forme di parole esogene e far sì che il cervello ne evochi i concetti corrispondenti.
L’esistenza di queste strutture di mediazione è stata ormai pressoché individuata con l’ausilio di tecniche ad ultrasuoni le quali, otto volte su dieci, hanno provato che le fattezze morfologiche di parole e frasi sono generate dalla elaborazione-esternazione di concetti con la mediazione, appunto, di una componente aggiuntiva da denominarsi, mi sento di dire, “lemma”.
L’anello di congiunzione è dunque il lemma, cioè la voce esponente la proposizione.
Un ottimo esempio di tale organizzazione tripartita è fornito dai concetti e dalle parole che riguardano i colori. Infatti, anche chi è afflitto da cecità congenita è in grado di immaginarsi la gamma dei colori dell’iride qualora, da interlocutori validi ed attenti, siano pronunciate precise parole illustrative al riguardo.
Per converso, individui nati sani nell’organo della vista e che, nel corso della vita, abbiano subito lesioni alla corteccia cerebrale che presiede al fisiologico funzionamento dell’organo visivo e, quindi, siano divenuti portatori di acromatopsia (non daltonismo che è di origine genetico-ereditaria), pur continuando ad esprimere parole corrispondenti alle varie tonalità dei colori, li confondono scambiando un cromatismo con un altro: usano, per esempio, le parole “blu” o “rosso” davanti ad un oggetto “verde” o “giallo”.
I nomi dei colori restano impressi nel bagaglio verbale di tali pazienti e le parole sono perfettamente formate dal punto di vista fonologico, anche se si riferiscono ad immagini errate. Il sistema dei concetti di colore resta cioè intatto, e lo stesso vale per il sistema di attuazione delle forme di parole, mentre quello che va “in tilt” è proprio il sistema neurale che funge da mediatore fra il primo e il secondo livello di costruzione del linguaggio.
L’appuntamento ulteriore è fissato per il prossimo terzo frammento o particella, che dir si voglia!