di Mario Tiberi
La Vostra attesa è terminata: proseguiamo la disamina affrontando la quinta porzione, attinente la determinazione delle corrispondenze uditive, cinestesiche e motorie dei fonemi.
E’ probabile che, nell’elaborazione del linguaggio, i due sistemi, quello “per abitudine” e quello “associativo”, operino pressoché in parallelo: predominerà l’uno o l’altro a seconda della storia da esporre, se generica o specifica. Si è infatti ipotizzato, ma trattasi di un ipotesi più che fondata, che il maggior numero degli esseri umani acquisisca il passato dei verbi irregolari per apprendimento associativo mentre, per converso, quello dei verbi regolari per il mezzo dell’apprendimento per abitudine o consuetudine. Tutto ciò nelle persone perfettamente normali e che eloquiscono con apprezzabile e corretta padronanza oratoria.
Quando, invece, ci si trova di fronte a portatori di “handicap cerebrali” essi, per lo più, parlano con tono piatto, con lunghe pause fra una parola e l’altra e con ripetuti errori di grammatica. In particolare, essi tendono ad eliminare congiunzioni e pronomi, hanno maggiore dimestichezza con i sostantivi piuttosto che con i verbi, considerato che le coniugazioni sono di gran lunga più complesse delle declinazioni ed, infine, trovano enorme difficoltà a comprendere il significato trasmesso dalle strutture sintattiche.
A riprova di ciò, depone il fatto che codesti pazienti non sempre afferrano frasi passive cosiddette “reversibili” come, ad esempio, “il ragazzo è stato baciato dalla fidanzata”, nella qual frase è ugualmente probabile che sia il ragazzo e sia la ragazza possano essere il soggetto o l’oggetto dell’azione. Cionondimeno, riesce loro più agevole assegnare un corretto significato ad una frase passiva “non reversibile” come, altro esempio, “la mela è stata mangiata dal ragazzo” o alla frase attiva “il ragazzo ha baciato la ragazza”.
In definitiva, e così torniamo da dove si era partiti, fra i sistemi di elaborazione concettuale e quelli che generano parole e frasi si pongono, fungendo da anelli di congiunzione, strutture neurali di intermediazione che potremmo definire, con espressione non propriamente scientifica ma efficace, “le madri di ogni vocalizzazione e di ogni sillabazione”, fino ad arrivare a selezionare le parole più appropriate per esprimere un determinato concetto e a governare, anche e di più, la produzione di frasi capaci di interconnettere relazioni dirette tra molteplici concetti.
Quando una persona parla, questi sistemi agiscono su quelli responsabili della formazione delle parole e dell’osservanza delle regole sintattiche come, allo stesso modo, di quando la stessa persona capisce il significato del parlato in quanto, in quel mentre, sono interattivi sia i sistemi formativi dei concetti che quelli mediativi tra fase concettuale e fase espressiva. Per meglio comprendere, è necessario ancora una volta bussare alla porta patologica per ben individuare quella fisiologica.
Si prendano due ipotetici craniolesi che, per comodità, chiameremo Tristano ed Isotta. Pur disabili neurologicamente, entrambi non incontrano particolari difficoltà nel richiamare concetti acquisiti stabilmente nel tempo: se vengono loro mostrate immagini di volti umani, di segmenti corporei, di piante e/o di animali, di veicoli, di edifici, di strumenti e di utensili, Tristano ed Isotta sanno perfettamente quello che vedono così come, in egual misura, sono in grado di riconoscere gli elementi medesimi attraverso l’audizione di suoni ad essi associabili, qualora bendati.
Benché le loro conoscenze si mostrino in tutta evidenza, emergono però evidenti ostacoli a recuperare i nomi di molti oggetti che, incredibile a dirsi, conoscono benissimo.
Se, per esempio, viene loro mostrata l’immagine di un lupo selvatico, diranno che è riferita ad un animale feroce e sanguinario ma, pur sforzandosi, non ne sapranno proferire il nome comune. In sostanza, i loro sistemi concettuali funzionano egregiamente, ma non possono accedere in modo affidabile e continuativo alla forme di parola che distinguono gli oggetti da essi conosciuti.
Il descritto fenomeno di deficit neurologico emerge più marcatamente nell’assegnare un nome comune ad animali, frutti o piante, di origine naturale, piuttosto che a strumenti ed utensili, di origine artificiale, anche se di frequente si osservano soggetti che mostrano pari difficoltà sia con l’identificazione e la definizione identitaria di esseri viventi e sia con quelle di oggetti inanimati.
In breve, i nostri Tristano ed Isotta in virtù di regola generale stentano, e di molto, a recuperare i nomi comuni riferibili a le più svariate categorie di entità esterne, indipendentemente dall’appartenenza o meno di esse a particolari e diversificate elaborazioni concettuali.
Nell’ultima e conclusiva particella, si cercherà di trarre delle logiche risultanze da tutto quanto esposto e, ad essa, Vi rimando.