di Mario Tiberi
“…La costruzione dei concetti avviene in modo simultaneo in ben individuate porzioni del cervello…”, così si era conclusa la terza particella del tema di cui ci stiamo occupando. Proseguiamo oltre, andando ad analizzare i deficit cognitivi e, di conseguenza, i limiti di espressione verbale a seguito di morbi o traumi cerebrali.
Il danneggiamento di parti del cervello producono difetti apprenditivi tali da generare confusione nella scala delle categorie del lessico ordinario e ciò, inevitabilmente, influisce in negativo sul processo di registrazione e archiviazione dei concetti. Chi, ad esempio, non è più in grado di registrare, e poi recuperare, i concetti per i cosiddetti “enti unici”(una particolare persona, un particolare luogo o evento), con cui in precedenza aveva invece larga familiarità, perde quasi sempre anche la dominanza dei concetti riferiti ad “enti plurimi”, quali le specie del regno animale, quelle vegetali e quelle minerali. A riprova, a quel chi divengono del tutto estranei numerosi generi di animali pur mantenendo inalterato, quando più quando meno, il livello concettuale che gli permette di avere contezza che si tratta comunque di esseri viventi ed animati. Se gli viene mostrata la fotografia di una volpe, esclama che è un animale, ma non ha la più pallida idea delle sue dimensioni, del suo “habitat” naturale o dei suoi comportamenti tipici.
E’ ciò che accade di frequente sentendo parlare politici, economisti, sociologi i quali, per difetti di conoscenza, non sanno nemmeno loro quel che stanno dicendo!
Una menomazione, quindi, del sistema dei concetti incide sfavorevolmente nella formazione di parole e frasi comprensibili, tanto da determinare una vero e proprio cortocircuito del linguaggio umano: prima, dunque e sempre, il pensiero concettuale e poi, solo poi, i vocaboli per esprimerlo e renderlo di dominio pubblico.
Altra storia è quella dell’afasia (perdita totale o parziale della capacità di parlare) e che, su versanti antinomici, influisce sia sull’uso della parola e sia su quello dei gesti. I sordomuti congeniti, infatti, che subiscono, oltre alla iniziale sventura, anche quella di lesioni cerebrali successive alla nascita, perdono pure, spesso e volentieri, la capacità di usare il linguaggio gestuale e/o di capirlo. Non è annullata o ridotta, cioè, la capacità di vedere i gesti, ma più semplicemente quella di interpretarli.
Al contrario, un’altra tipologia di sordomuti lesi meno gravemente o per nulla nell’emisfero sinistro dell’encefalo, depositario e fautore della formazione di parole e periodi, possono perdere la cognizione di oggetti e persone e delle relazioni temporo-spaziali (cronotoponomiche) intercorrenti tra di essi/e, ma non restano privi della capacità di comunicare con il linguaggio gestuale e di capirlo. In sostanza e indipendentemente dai canali sensoriali attraverso cui viaggia l’informazione linguistica, un cervello sano e perfettamente funzionante è alla base dei sistemi che realizzano e mediano il linguaggio.
Per converso, è stato possibile tracciare una mappa dei sistemi neurali, coinvolti direttamente nella formazione di parole e frasi, anche attraverso lo studio delle cause che possono condurre alla incomunicabilità in pazienti afasici. I danni cerebrali, in codesti pazienti, scardinano molto spesso i meccanismi di assemblaggio dei fonemi e quelli di selezione di intere e compiute forme di parola e, nella pratica, limitano la capacità di costruzione di un linguaggio spaziante ed articolato.
Può accadere, inoltre, che non vengano alterati i ritmi dell’eloquio e la sua struttura sintattica mentre, invece, ne esce menomata la possibilità di elaborare i suoni del linguaggio tanto da impedire una completa comprensione di ciò che viene pronunciato. La comprensione uditiva fallisce non perché i ricettori di archiviazione dei significati delle parole siano disattivati, bensì perché le ordinarie e fisiologiche analisi acustiche delle forme di parole sono troncate sul nascere.
Quando nulla di patologico interviene, la produzione effettiva dei suoni linguistici si connatura in due principali fasi successive: un primo elementare livello di “apprendimento per abitudine” e, subito dopo, un secondo più elevato, più cosciente, più elaborato livello di “apprendimento associativo”.
Per esempio, quando un bambino impara la forma espressiva del colore “giallo”, automaticamente mette in moto le regioni cerebrali responsabili dei concetti di colore e della mediazione tra concetti e linguaggio cosicché, dall’immagine archiviata in misura permanente, scaturisce la comunicabilità della parola”giallo” ai suoi potenziali interlocutori.
Dall’apprendimento iniziale per abitudine o consuetudine all’apprendimento per associazione di concetti, il passo è davvero breve!
Non avrete che di attendere il quinto episodio.