di Marco Morucci
Alla ricerca del dio perduto, sembra il titolo di un film, invece da centinaia di anni si sta cercando di individuare il sito del Fanum Voltumnae.
Il primo problema da risolvere è sapere chi era veramente Voltumnae, un nominativo latino che può essere usato anche al plurale: ma quale era il suo vero nome e come lo chiamavano gli Etruschi?
Chi era in verità Voltumna?
Di lui poco si sa, la sua statua fu portata a Roma insieme alle altre razziate dopo la distruzione del Fanum, ma non fu fusa come le altre ma fu collocata e adorata in un tempio.
La sue feste furono smembrate, duravano diversi mesi e nella lettura dei testi degli storici romani si legge che veniva venerato insieme alla dea fortuna e in giugno si sacrificavano dei pesci in suo onore durante i festeggiamenti, i cui più grandi si svolgevano il mese di agosto.
I romani lo chiamavano in molti modi Volturno, Voltumna, Velchans oppure Vulcanos, ma
bisogna tornare indietro diversi secoli per scoprirne il ceppo iniziale, i nomi variano ma quello principale corrisponde con quello inciso sul fegato di Piacenza Velch, la cui provenienza si dice abbia origine dal sanscrito luce.
Ma la sorpresa non finisce qui infatti i nomi in quel settore sono due, Velch e Lusa o Urcla o Norzia la dea madre dell’abbondanza e la traccia finora seguita si rivela giusta, questi sono i nomi della sacra Diade, coloro che diedero vita Tinia.
La vera natura di Velch viene tradita da un altro dei nomi con cui veniva chiamato infatti sul lino della mummia di Zagabria vi si legge Velthe che viene tradotto in Volta e questo riporta alla memoria la leggenda tramandata da Plinio.
Volta, il mostro, l’essere soprannaturale che sconvolgeva le campagne di Volsinia e ne faceva tremare le mura camminando sotto le campagne.
Il vulcano era il mostro che Porsenna riuscì a dominare raffigurato come un essere che esce da un puteale.
Questo è un altro elemento che aiuta ad identificare il sito del Fanum Voltumnae.
Il tempio di Volcanus a Roma era legato ai fulmini e su una moneta, il puteal Scribonianum c’è rappresentato il simbolo del dio Vulcanos: un puteale, con due lire e sotto il martello e le tenaglie.
Samotracia, Creta, Delfi, Roma, luoghi in cui si adorava Vulcanos/Efesto, siti in cui si praticavano riti con vapori vulcanici, dove era venerato l’omphalos l’ombelico del mondo, analogamente anche in Etruria esisteva uno di questi templi, dove? La risposta è facile, basta ricercare gli elementi.
Doveva avere accanto il bosco sacro degli Etruschi, essere posto in alto dove tutti lo potevano vedere ma soprattutto temere.
Vicino a larghi spazi usati per i giochi, essere fornito di acqua e cibo per migliaia di persone.
Locato in un luogo neutro ma ritenuto da tutti sacro.
Esiste un solo luogo con tutte le caratteristiche richieste ed è il lago di Bolsena.
Al tempo degli etruschi era diviso in tre grandi spazi, tra Tarquinia Vulci e Velzna.
Avevano scelto il territorio con cura seguendo i segni di quello che consideravano il loro dio superiore Velch, è una mia teoria che le principali città erano costruite seguendo un flusso vulcanico sotterraneo che da Volterra scende fino al Vesuvio il cui centro è il lago di Bolsena.
Il centro risultante da queste congetture, tenendo conto del pensiero Etrusco, può essere un solo luogo il monte Landro, un antico vulcano che aveva sulla sua sommità dei fumaioli attivi fino ai primi anni del 1960.
Le prove:
* i templi dedicati al dio vulcanos erano considerati l’ombelico del mondo e nel tempio del monte Landro al centro si trova un ornitos una rara rosa di pietra creata da una eruzione vulcanica un Omphalos naturale che sicuramente aveva colpito l’immaginazione Etrusca.
* la radura creatasi sulla cima di circa 4 ettari ospita un secondo tempio non ancora indagato che dovrebbe appartenere alla dea Lusa la controparte celeste dell’infero Velk insomma la sacra Diade.
Un’altra insolita testimonianza è data da una grande vasca considerata romana, ma il luogo scelto, incastrata nel temenos del tempio ne suggerisce un uso sacro anche perché risulta difficile capire come è stata concepita.
Infatti quello che si considera lo scarico dell’ acqua è una piccola cavità naturale profonda solo trenta centimetri e la vasca è stata scavata intorno al foro.
Un altro reperto, considerato solo la véra di un pozzo romano, si ritrova nelle diverse testimonianze del dio Vulcanos; in Samotracia e a Delfi se ne usava uno simile con un coperchio per regolare l’uscita dei vapori vulcanici.
Ma non bisogna dimenticare che il puteale era anche il simbolo del dio in questione e quando a Roma nel III /II secolo a.C. si iniziò a costruire il foro romano per segnare il punto d’incrocio tra cardo e decumano dell’area sacra, colpito da un fulmine, vi si collocò un puteale divenuto famoso per essere impresso poi su di una moneta romana del 62 a.C. un denario il Puteal Scribonianum.
Singolare è la notizia che quando nel III secolo A.D. si è abbandonato il culto di Vulcanos il punto d’incrocio è stato indicato ponendo al centro una statua della sua controparte, la dea fortuna; si può ancora ammirarne un esempio pratico a Firenze in piazza della Repubblica.
C’è da considerare poi le diverse leggende che aleggiano sui Volsini, il mostro Volta l’essere soprannaturale ucciso con un fulmine da Porsenna, si è scoperto che leggendo il nome riportato sul Liber Linteus le bende della mummia di Zagabria che si trattava ancora del dio Velthe.
Nei primi mesi dell’anno è stata trovata pure un epigrafe di pietra in cui è inciso il nome del dio e un simbolo solare, la croce uncinata, da considerare anche essa come un ennesima prova che Velch, Volta, Voltumna, Vulcanos era sempre lo stesso dio.
Il suo tempio era lì sopra il monte Landro!