di Pier Luigi Leoni
L’ignoranza e i pregiudizi creano un circolo vizioso, come avviene in materia di immigrazione. Ma la responsabilità maggiore appartiene a chi ha i mezzi per fornire informazioni e non li usa perché teme che glie ne derivi un danno. Me ne resi conto quando studiavo i tentativi di riforma della pubblica amministrazione e gli studiosi, nell’affrontare il tema della meridionalizzazione della pubblica amministrazione, lamentavano che non esistevano dati sull’origine regionale dei giudici, dei militari e dei burocrati italiani. Evidentemente i meridionali, che surclassavano gli italiani del centro-nord in quelle categorie, usavano il loro potere per impedire che quei dati venissero raccolti e diffusi. Ma sbagliavano, avallando così il pregiudizio che l’inefficienza di magistratura, polizia e burocrazia dipendesse genericamente dalla preponderanza di una più o meno precisata mentalità meridionale. Se si fossero potute approfondire le ricerche si sarebbe forse scoperto che quel personale pubblico era in stragrande maggioranza costituito da soggetti dei ceti medi meridionali che sfuggivano a prospettive di vita condizionate dalla malvivenza organizzata e maldestramente arginata dalla Stato. Quindi non erano mafiosi, ma gente per bene che non voleva avere a che fare con la mafia. E facendo i paragoni fra soggetti di diversa origine regionale si sarebbe forse scoperto che l’attribuzione dei vizi avrebbe dato risultati diversi da quel che si pensava comunemente nel centro-nord. Un fenomeno analogo si sta verificando in materia di immigrazione. Non esistono statistiche chiare sulla provenienza degli immigrati, sulla propensione a delinquere a seconda delle etnie e tanto meno paragoni con la propensione a delinquere degli italiani a seconda della regione dove vivono o dalla quale provengono. Per esempio, in materia penale, non si sente quasi mai parlare di filippini, capoverdiani, eritrei, etiopi, somali, cinesi, bengalesi, indiani, moldavi, ucraini e bielorussi. Forse, se esistessero statistiche, si scoprirebbe che quegli immigrati delinquono molto meno della media degli italiani e quindi contribuiscono a migliorare quella media. Quanto a quelli popolarmente ascritti alla categoria dei negri, non esistono dati sulla loro consistenza in relazione alle varie etnie. Anche perché le etnie sono numerose e profondamente diverse all’interno di ogni stato africano. Quanto ai fenomeni più inquietanti legati all’immigrazione, si constata la propensione a delinquere degli albanesi; ma ciò deriva dal fatto (posso testimoniarlo perché frequentavo all’epoca l’Albania) che i neocomunisti al governo dopo la morte del dittatore Enver Hoxa svuotarono le carceri e spedirono in Italia tutti i delinquenti comuni; mentre i prigionieri politici venivano riabilitati e trattenuti. Ai criminali si univa anche povera gente, ma quella fu un’iniezione di criminalità che ha lasciato il segno. Conseguenza della inettitudine del nostro governo e della nostra diplomazia. Altro fenomeno inquietante è quello della criminalità rumena. Quando l’Unione Europea ha aperto le frontiere, lo Stato rumeno ne ha approfittato per sbolognare i criminali sia di etnia rumena che di etnia rom. E l’Italia è stata il recettore naturale di quella emigrazione perché è nota in tutto il mondo l’inefficienza del suo sistema penale. Non sono arrivati in Italia solo rumeni criminali, ma anche in questo caso il nostro governo e la nostra diplomazia sono stati inefficienti. L’attuale operazione mare nostrum non può certo durare, soprattutto perché prima o poi gli addetti s’innervosiscono e combinano qualche guaio, come quando una nostra corvetta mandò a fondo una nave con un centinaio di albanesi. Non credo che ci sia da augurarselo. Ma il fenomeno è complesso e l’opinione diffusa che i profughi che la marina italiana sta recuperando nel Mediterraneo siano branchi di delinquenti e di fanatici islamici che vengono a incrementare la nostra criminalità e a destabilizzare il nostro Paese è un pregiudizio dovuto all’emotività e all’ignoranza. Resta il fatto che il pregiudizio può essere combattuto solo raccogliendo e diffondendo i dati sulla provenienza dei profughi, sulla loro dislocazione dopo l’arrivo in Italia, sulle attività e sui comportamenti di quelli che rimangono in Italia.