Il convulso periodo elettorale è infine terminato e, oramai, si è nascosto alle nostre spalle. Ciò non vuol significare, però, che le questioni di principio legate al dispiegarsi della vita pubblica siano venute meno ed, anzi, è giustamente auspicabile che debbano tendere a rafforzarsi, qualora non si voglia ulteriormente declinare verso forme e sostanze di politica sciatta e mediocre. Di tale argomento, è mia intenzione intrattenerVi nelle considerazioni che andrò ad esternare.
Da tempi lontani, è notorio e profondamente vero che il mondo della politica è in permanente debito, nei confronti delle masse popolari, per le sue malefatte, le sue corruzioni, i suoi scandali e, principalmente, per la sua incapacità di saper trasferire in provvidenze tangibili le attese di giustizia, le aspettative di vita dignitosa, le speranze di diritti uguali e realmente praticati provenienti dalle esigenze e dai bisogni della gente comune.
Del resto, il popolo non è che manifesti eccessive pretese: chiede soltanto al ceto politico, nel senso più ampio del termine, di poter affidare la delega della sua rappresentanza in mani degne e virtuose a fronte dei mandati conferiti.
Non è indifferente presentare una proposta programmatica piuttosto che un’altra: se il buongiorno si vede dal mattino, la prima cartina di tornasole, onde stabilire se una compagine meriti o meno la fiducia popolare, risiede proprio nella genesi della sua formazione etica, politica e culturale.
Personalmente, reputo essenziali e irrinunciabili almeno sei elementi di qualità per tracciare il profilo di un dirigente elettivo in organismi con funzione pubblica: 1) capacità di saper rappresentare le motivazioni ideali e di indirizzo delle scelte politiche che stanno alle fondamenta dell’Atto costitutivo del partito o del movimento di appartenenza; 2) autorevolezza e prestigio indiscussi goduti tra l’opinione pubblica; 3) meriti acquisiti per studi, conoscenze specifiche, esperienze personali e professionali; 4) solide basi di cultura generale; 5) limpidezza morale e comprovata onestà; 6) fedeltà alle norme statutarie e al codice deontologico contenuto nelle deliberazioni espresse dal partito o dal movimento di provenienza.
Affinché potessero affermarsi i suesposti canoni di riferimento, ad essi con tenacia e perseveranza ho voluto dedicare il mio personale impegno nell’arena politica con l’unico obiettivo che fossero compresi e rispettati.
Già, il rispetto: parola abusata e della quale ci si riempie la bocca spesso in modo arbitrario, vuoto e privo di valore. Una delle più alte forme di rispetto verso i nostri simili, per riecheggiare la sostanza e la vera natura del meritevole, è posta nel sincero e dovuto riconoscimento pubblico dei meriti altrui e ciò, inevitabilmente, non può che avvenire se non attraverso il virile superamento del sentimento della gelosia il quale, da che mondo è mondo, tante irrazionalità e nefandezze ha generato e continua a generare.
All’opposto del rispetto vi è la negligenza: essa, infatti, spesso scaturisce dal livore dell’invidia tale da produrre discriminazioni e ingiustizie tanto che, chi è negligente, è sempre colpevole non solo moralmente, ma anche giuridicamente. Sono affermazioni già pronunciate, ma che non mi stancherò mai di ripetere.
Un arguto favolista del mondo antico ha lasciato scritto: “Superior stabat lupus…”, volendosi riferire ai pretesti con cui il prepotente ingiusto sfrutta i miti e gli umili i quali, per loro stessa natura, così sono in ragione dell’ essere meritevolmente saggi.
Più recentemente un Uomo, a cui è stata tolta la vita da chi volle colpire il “Cuore dello Stato”, ha profetizzato: “La stagione dei diritti si rivelerà effimera se non sorgerà un nuovo senso del dovere”.