Per chi, come me, scrive e parla in pubblico, l’uso della parola parlata e/o scritta, vale a dire il linguaggio, è di essenziale e irrinunciabile significanza. Mi sono, per cui, chiesto, da alcuni mesi ad oggi, da dove provenisse la capacità di espressione verbale ed, allora, sono andato alla ricerca delle sue origini.
Delle risultanze di tale ricerca, mi è parso altamente morale renderne edotti sia gli operatori della filologia, nel senso più ampio del termine, e sia chi di codesta arte non è specificatamente cultore.
Data la complessità della materia, articolerò l’analisi della intera questione in più porzioni o frammenti.
Principiamo da un esempio assunto dalla concretezza storica: Martin Luther King viene ricordato e per le sue idee pacifiste e per la sua capacità di trovare le parole più adatte per spingere all’azione i suoi ascoltatori. Quali erano, dunque, le metodologie espressive dallo stesso adottate?
Il problema centrale della neurofisiologia del linguaggio, come dimostrano i più recenti studi, è quello di identificare le strutture cerebrali che elaborano i concetti e li esprimono a parole. Sotto questo aspetto, il reverendo americano può senz’altro essere annoverato alla stregua di un vero maestro!
Riprendiamo il filo dell’indagine: in sintesi estrema, la neuroscienza è arrivata alla conclusione che l’espressione di concetti richiede la cooperazione di tre sistemi neurali; il primo li elabora, il secondo plasma la forma di parole e frasi e, infine, il terzo funge da mediatore tra i primi due.
Il primigenio quesito da porsi è il seguente: dove intendono realmente avventurarsi gli esperti in neuroscienze quando si occupano del linguaggio? Indubbiamente si riferiscono, fino a prova contraria, alla naturale predisposizione umana di saper usare parole o segni, come ad esempio accade nella gestualità tipica ed esclusiva dei sordomuti, e di saperle e/o di saperli poi combinare in frasi compiute tali che i concetti elaborati dalla nostra mente possano essere trasmessi ai nostri interlocutori e da essi compresi. Lo stesso vale anche per l’inverso e, cioè, a come percepiamo noi le parole pronunciate da altri e come le trasformiamo in concetti nelle nostre menti.
Il linguaggio è nato, si è evoluto e si è conservato perché si è dimostrato uno strumento di comunicazione straordinariamente efficace ed efficiente, in particolare per esprimere concetti astratti i quali, a differenza degli oggetti concreti, non possono essere indicati con un dito. Il lessico svolge, però, anche quella funzione che alcuni ricercatori americani hanno definito “esercizio della compressione e della comprensione cognitiva”: il lessico aiuta, in altre parole, a categorizzare il mondo esterno e a ridurre la complessità delle strutture concettuali a dimensioni di scala e, quindi, meglio gestibili in quanto di più ridotte proporzioni.
Il termine “cacciavite”, per esempio, può evocare una quantità di idee diverse: la descrizione del movimento dell’arnese, l’uso a cui esso è destinato, il gesto della mano che lo impugna et cetera. Oppure, come ulteriore esempio, si pensi quale immensa varietà di rappresentazioni concettuali è racchiusa in una parola come “democrazia”. Le economie cognitive del linguaggio, la sua capacità di riunire diversificati concetti sotto un unico simbolo, rendono possibili agli esseri umani sia la formulazione di immagini verbali, oltremodo complesse, e sia il loro impiego per elaborare pensieri ai massimi livelli di astrazione.
In principio, però, non esistevano le parole. Da quanto ci è dato di sapere, sembra che il linguaggio abbia fatto la sua comparsa solo dopo che lo “homo sapiens”, o gli ominidi che lo precedettero, divenne capace di classificare in categorie concettuali le molteplici azioni di cui ottenne la padronanza e di crearsi rappresentazioni mentali di oggetti, eventi e rapporti interrelazionali.
Analogamente, il cervello di un bambino elabora concetti e genera miriadi di azioni molto in anticipo rispetto a quando il bambino stesso pronunci, dopo più o meno lungo rodaggio, la sua principiante parola a senso compiuto; passa poi ancor più tempo prima che detto bambino formi delle frasi secondo logica e raziocinio. Nondimeno, la maturazione dei processi linguistici non sempre è legata a quella delle capacità concettuali poiché, spesso, si sono riscontrati casi di bambini con sistemi lacunosi di elaborazione concettuale e che, pur tuttavia, erano comunque in grado di apprendere con sufficiente facilità nozioni elementari di grammatica e sintassi. Sembra, infatti, che i meccanismi neuro-cerebrali, necessari per talune operazioni grammatico-sintattiche, possano maturare in maniera del tutto autonoma rispetto al raggiunto livello di uso della ragione.
Per oggi, direi basta così! Vi rimando, dunque, al secondo frammento di prossima uscita.