Dal globale al locale e viceversa
Forse si stanno creando, seppure lentamente, le condizioni per una nuova fase di crescita. Ma siamo attrezzati per fare la parte che ci spetta?
Caro Pier,
il 4 giugno scorso su “Lettera 43” si poteva leggere l’articolo di Giovanna Faggionato che in parte ti riproduco per mettere a fuoco il tema di questa settimana, anch’esso di tipo glocal, giacché tocca questioni che attengono ad una dimensione che è sia globale che locale.
Credo che non vi siano dubbi sul fatto che le classi dirigenti che si sono succedute alla guida del Paese almeno negli ultimi venti anni si portino addosso la bella responsabilità di un degrado economico, sociale, culturale e morale, che ci fa stare da tempo sull’orlo del baratro senza che si veda con chiarezza la via per allontanarsene.
Lo spettacolo è francamente disarmante: si ha l’impressione che la vita pubblica sia diventata un ricettacolo di approfittatori, di mascalzoni e di ladri. Perciò non stupisce che, di fronte allo sperpero generalizzato di risorse pubbliche e all’arraffa arraffa su tutto ciò che è opera pubblica (Expo e MOSE insegnano), si siano riproposte con nuova veste vecchie teorie anticapitaliste, anticonsumiste, ecologiste ecc., che sono arrivate perfino a formulazioni fascinose quale ad esempio la “decrescita felice”.
Il fatto però è che le condizioni della vita reale sono ormai così degradate che non ci si può permettere di coltivare lussi così sofisticati che rinviano le soluzioni a mutamenti necessariamente lenti e generali; al contrario, si deve rapidamente cambiare registro e lavorare da subito per una crescita che non ripeta gli errori già fatti e che comunque crei sviluppo e lavoro in ogni angolo del Paese.
I provvedimenti recentissimi della BCE e le nuove linee di tendenza che stanno emergendo ora in Europa sui temi della finanza, dell’economia e del lavoro, indicano che, nonostante il recinto in cui ci si dovrà muovere (come indica anche l’articolo di Giovanna
Faggionato), qualcosa di importante potrebbe accadere nei prossimi mesi per gli investimenti finalizzati allo sviluppo e per i provvedimenti che facilitano le imprese, il tutto con riflessi positivi sull’occupazione e il rilancio dei consumi.
Allora la domanda è questa: noi siamo pronti a cogliere le occasioni che si potrebbero presentare? Ci siamo posti sul serio il problema? Quando dico noi, dico noi italiani in generale, ma dico anche noi orvietani in modo del tutto particolare. E la domanda la pongo, ovviamente non solo a te, perché da sempre (o almeno dagli anni trenta del secolo scorso) si sa che è nei periodi di crisi che bisogna reinventare le strategie del futuro e che a queste sono funzionali visioni larghe che si traducono in progetti operativi per risolvere problemi reali e strategici. Noi ce li abbiamo questi progetti frutto di queste visioni? E siamo culturalmente e concretamente attrezzati per entrare in una concezione dinamica, creativa, progettualmente ambiziosa e non protetta della politica? E il mondo del privato economico e delle organizzazioni del lavoro come è messo? Si è attrezzato? Si sta attrezzando?
Queste mi paiono le questioni del momento, anche per noi. Lunedi, quando esce questa rubrica, conosceremo l’esito delle elezioni, sindaco e consiglio. Le risposte più importanti le dovrà dare la nuova amministrazione. Ma alcune risposte le dovranno dare i soggetti sociali e le dovremo dare anche noi, direi ciascuno di noi. Semplicemente perché, che lo si voglia o no, nel mondo che si sta srotolando davanti ai nostri occhi apparentemente ognuno sta per sé e però nei fatti o ognuno sta anche con gli altri oppure non sta nemmeno con se stesso. Tu che ne dici?
Tuo Franco
“DAL FISCAL COMPACT NON SI TORNA INDIETRO. Per l’Italia si calcola una spesa nominale di circa 30 miliardi l’anno. Una cifra che aveva fatto sobbalzare persino il pacato Enrico Letta: «Così come è», aveva ammesso l’ex primo ministro, «sarebbe terribile». Ma così, purtroppo, è. E se finora l’esecutivo Renzi è riuscito a strappare a Bruxelles una pagella nettamente più clemente, la linea morbida potrebbe essere una breve parentesi. La vecchia Commissione è in scadenza e lo scontro tra parlamento Ue e Consiglio sulla nuova è molto aspro, ma nella confusione resta una certezza: «Comunque vada dal Fiscal compact non si torna indietro», osserva con Lettera43.it Erik Jones, direttore dell’Istituto di ricerca politica della Johns Hopkins University School of Advanced International Studies (Sais).
OBIETTIVO: COMPENSARLO CON GLI INVESTIMENTI. Cosa farà, o meglio cosa può fare, il governo Renzi? Se non può cancellare il Trattato, osserva l’esperto di affari europei, proverà a compensarlo scorporando gli investimenti dai conti Ue. Il premier ne ha promessi 150 miliardi per cinque anni, cioè circa 30 miliardi l’anno: giusto il programma del rientro del debito italiano. Per centrare l’obiettivo però Renzi ha bisogno di convincere gli alleati, sfruttando al meglio i poteri della presidenza di turno. E ad aiutarlo potrebbe essere anche la Bce: «Se la manovra di Mario Draghi fallisse», commenta Jones, «paradossalmente la strada di Renzi sarebbe più semplice».
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, parlando in un incontro con la stampa estera il 3 giugno, ha compattato in poche parole la grande contraddizione in cui è invischiata l’Italia di Renzi: ridurre il debito è indispensabile, ma crescere per sostenere le finanze pubbliche lo è altrettanto. Faccenda semplice quanto disarmante: se dobbiamo ridurre il rosso nei conti pubblici come facciamo a crescere, e se dobbiamo crescere come facciamo a ridurre il debito?
L’AUSTERITY ALIMENTA IL CORTOCIRCUITO. Il cortocircuito è stato alimentato in questi anni dalle politiche di austerità. E con il Fiscal compact rischia di deflagrare. Renzi vorrebbe ribaltare il tavolo, ma sembra deciso a farlo a modo suo. Cioè rispettando nella forma il Trattato di stabilità, ma costruendo un meccanismo che possa fargli da contrappeso. Se infatti gli investimenti, in particolare di provenienza europea, non fossero calcolati nei parametri di Bruxelles, i Paesi più in crisi sarebbero incentivati a spendere (bene) per far crescere la ricchezza e quindi per arrivare ad abbattere il rapporto tra debito e prodotto interno lordo, facendo aumentare il Pil”.
Capisco che anche gli economisti e i giornalisti hanno bisogno di campare, ma se imparassero a parlare e a scrivere in modo più chiaro sarebbe meglio. Siamo in molti che non abbiamo dimestichezza coi termini medici, ma quando leggiamo un articolo di Umberto Veronesi su una rivista non specialistica lo capiamo dalla prima all’ultima parola. Che c’è di poco chiaro nell’articolo di Faggionato? C’è che tutto viene ridotto a un gioco di abilità di Renzi in Europa. Ma Renzi di economia e di finanza ne sa meno di me e di te. Certo, è assistito da un ministro e da funzionari competenti; ma siamo certi che costoro facciano il gioco mio, tuo, e della stragrande maggioranza degli Italiani, Renzi compreso? Come sono arrivati dove sono arrivati? Quali sono i loro interessi economici? Chi sono i loro amici italiani e stranieri? Con chi si vedono di notte e con chi se la intendono di giorno? E poi, quando si parla d’investimenti, che s’intende per investimenti? Anche i lavori dei vari dopo terremoto, anche l’Expo, anche il Mose sono investimenti. Si tratta di investimenti che fanno già sghignazzare qualcuno come la notizia del terremoto dell’Aquila? Si può investire in mille modi, mettendo in azione le imprese minori per le manutenzioni straordinarie di impianti pubblici: strade, scuole, edifici scolastici e altri edifici pubblici. In questo caso si tratta di investimenti che vanno a ridurre la spesa pubblica per la manutenzione ordinaria, oltre a scongiurare i pericoli di danni attuali e futuri. Si può investire creando nuove grandi opere che vanno ad aumentare la spesa pubblica per la manutenzione e la gestione, anche se aumentano il benessere. Si può investire nel settore privato garantendo mutui agli imprenditori per ammodernare o creare aziende. Gradirei che i politici e i giornalisti facessero meno chiacchiere e fossero più chiari. E dicessero pure come intendono vedersela con la mafia e con la corruzione. Altrimenti l’Unione Europea salta per aria e l’Italia finisce in Africa. Analogamente, alla nuova amministrazione comunale orvietana chiederei chiarezza e sintesi. Chiederei l’applicazione, nelle enunciazioni, della regola del bravo ragioniere, quella delle tre C: Chiaro Corretto Conciso. E, nei fatti, lavoro serio, onesto e disinteressato. Non sarà difficile giudicare come se la cavano.
Concordo con te, caro Pier, sull’esigenza di chiarezza da parte di tutti e in tutti i settori, compresa la regola del bravo ragioniere. Ma la regola del bravo ragioniere non basta: il futuro è fatto di idee e scelte, creatività, impegno rigoroso e coraggio. E naturalmente eliminazione degli abusi e delle inefficienze, lotta senza quartiere alla corruzione. Insomma il futuro vuol dire vera classe dirigente. Il centro del mio ragionamento era il seguente: poiché con ogni probabilità si stanno creando le condizioni per una consistente disponibilità di fondi finalizzati agli investimenti sia pubblici che privati, noi dobbiamo essere capaci di non sprecare anche questa ulteriore occasione. Ma lo saremo? Abbiamo le idee e i progetti per giocare la partita della ripresa e dello sviluppo, pena il degrado irreversibile? Ho scelto l’articolo della Faggionato solo perché faceva capire che, nonostante i vincoli del fiscal compact, la possibilità di sbloccare l’attuale situazione di stallo esiste. Qui da noi per molti anni si è litigato su tutto e ci si è molto impegnati a distruggere idee, progetti e persone piuttosto che ad unire energie, risorse ed intelligenze, intorno a prospettive possibili. Risultato: il deserto, la stagnazione, la rassegnazione al peggio. Ecco, io dico che abbiamo il dovere di uscire da questa situazione. Ci sono investimenti e investimenti? Sì, hai ragione. Per esempio gli investimenti per il riuso dell’area di Vigna Grande e dell’ex Ospedale sono vitali perché non impediscono solo la distruzione di un patrimonio straordinariamente importante, ma ne permettono un riuso produttivo, che naturalmente ci si augura non improvvisato e non speculativo. Il pericolo di corruzione non può diventare il nuovo alibi per non fare, giacché basta fare cose logiche e corrotti e corruttori avranno vita meno facile: oltre alla prigione, esclusione da incarichi di ogni tipo dei politici corrotti e collusi, sequestro dei beni corrispondenti a quelli rubati per imprenditori, tecnici, consulenti ecc.; naturalmente anche garanzie contro gli abusi dei giudici, che a quanto si vede non sono così rari. Questi sono compiti generali e perciò del governo nazionale. Ma ci sono anche compiti nostri, locali. La nuova amministrazione ha questo come suo compito principale: guidare la città verso un cammino di speranza. Ciò che abbiamo vissuto non è una punizione della Provvidenza, è una colpa degli uomini. Ciò che è emerso per Expo e MOSE non è stato comandato ma scelto. Stare alla lontana da quelle logiche si può. Si aprono delle possibilità? Abbiamo semplicemente il dovere di utilizzarle.