Dal globale al locale e viceversa
Legalità, questa sconosciuta
Caro Franco,
questo pezzo di Angelo Panebianco mi sembra che faccia giustizia di certe esagerazioni. Soprattutto mi sembra che centri il problema quando accenna alle leggi criminogene. Mi sono occupato per una vita di appalti pubblici e ti assicuro che le leggi in materia sono più che un invito all’imbroglio, sono anzi una costrizione all’imbroglio per non farsi fregare dagli imbrogli altrui. Tutte leggi che si basano sulle direttive europee.
Pier
“Almeno dai tempi di Mani Pulite, oltre un ventennio, in Italia si rincorrono senza fine, e senza che si veda alcuna soluzione, corruzione, inchieste sulla corruzione e continui richiami alla “Legalità”. La quale parola ricorda da vicino l’antico legalismo cinese. Tanto per cominciare, non è affatto sicuro che ciò che gli Italiani credono acriticamente, ossia che il nostro sia il Paese il più corrotto d’Europa. Siamo certamente il Paese con le norme più confuse e complicate (e quindi criminogene) sugli appalti. Siamo anche il Paese che non distingue fra la normale attività lobbistica che è presente sempre là dove ci sono affari e le attività illegali di corruzione. Ma per quel che si sa e si capisce degli altri Paesi europei non siamo noi, necessariamente, da questo punto di vista, i più brutti di tutti. In compenso la parola “legalità”, da oltre un ventennio rimbomba ovunque confondendo le coscienze. Che significa legalità? La legalità è di due tipi: c’è la legalità al servizio della libertà del cittadino, la legge che deve impedire alla mia libertà di offendere la tua libertà: e questa è certamente una legalità da difendere. C’è poi la legalità, nel senso del legalismo cinese, che serve a proteggere e a legittimare il potere statale in quanto tale. Ad esempio, la legalità al servizio dell’oppressione fiscale, o quella che si fa beffe persino delle garanzie costituzionali (si tratti di protezione dei risparmi o di tutela della privacy). Questa forma di legalità non merita il rispetto che vorrebbero imporci. Il gentiliano “Stato etico” (lo Stato ha un’eticità superiore all’individuo, lo Stato è tutto e l’individuo nulla al suo cospetto) fu certamente la più grandiosa costruzione dell’ideologia del Fascismo. Come dimostra il neo-legalismo italiano, del fascismo non conservammo soltanto l’IRI. Anche lo Stato etico.”
Tutto giusto, caro amico, ciò che dice Angelo Panebianco, e io non ho nemmeno motivo di dubitare che lo sia altrettanto ciò che dici tu. Ma ci sarà una ragione se in Italia dominano le leggi criminogene e se ormai da oltre vent’anni di legalità si parla si parla si parla, ma la corruzione è sempre lì e non si viene a capo né delle conseguenze né delle cause. Ognuno, a seconda di quello che fa o di quello che sa o di quello che vede o vuol vedere, può dire di illegalità, ma ancor più può dire di a-normalità, non rispetto di norme vigenti. Si potrebbe dire che viviamo in un Paese ad illegalità ed a-normalità costante, con ondate moralistiche che momentaneamente la nascondono per poi farla riemergere “più bella e più grande che pria”.
È una storia lunga. Solo Stato illegale, dal fascismo all’epoca repubblicana? Ma niente affatto. Vogliamo ricordare il costume italiano diffuso, dall’epoca moderna in qua? Basterebbe citare Francesco Guicciardini, il culto del “particulare”, o Edward C. Banfield, il “familismo amorale”, o più semplicemente il furbismo e il clientelismo.
Certo, è vero, molto spesso le leggi generano illegalità per come sono fatte, perché magari difendono interessi particolari a danno di altri interessi particolari, ma poi ci sono anche gli interpreti delle leggi, che magari solo per acquistare uno scampolo di notorietà massmediatica montano casi inesistenti. Non possiamo mica scordarci che c’è stato lo scandalo delle accuse costruite a tavolino contro Enzo Tortora e della promozione dei giudici responsabili di quel caso. Anche questa è illegalità.
Tutto questo crea un senso di frustrazione diffuso in quelle fasce di popolazione che si guadagnano da vivere con l’onestà del proprio lavoro e che per rispettare leggi e regole spesso si sentono tartassate sia dal fisco che dalla burocrazia e anche da coloro che furbescamente evadono, arraffano e bellamente se la cavano nell’indifferenza di chi dovrebbe tutelare anzitutto gli onesti. E questa condizione, insieme pratica e psicologica, non è meno rilevante e foriera a sua volta di danni sociali della causa che la genera. Ci si è chiesti mai quali danni abbia prodotto, non solo per le persone con nome e cognome ma anche in generale per l’assetto sociale, l’emarginazione di chi ha combattuto il clientelismo e la corruzione con un modo di amministrare la cosa pubblica capace di garantire la prevalenza dell’interesse generale su quelli particolari, fossero pure dei partiti e dei gruppi in quel momento dominanti? Danni per gli onesti e premi per i furbi, il massimo del danno morale e sociale.
Che fare? Come sempre, a problemi complessi non si può rispondere con vie facili. In realtà siamo di fronte ad una necessità di riforma generale fatta di tante riforme specifiche, sulle quali spicca quella riforma morale che è roba facile da dire e difficile da fare perché richiede cambiamenti delle convinzioni e dei comportamenti delle persone e delle relazioni tra loro e con le istituzioni. E come ho scritto tante volte è innanzitutto questione di qualità delle classi dirigenti ad ogni livello. Oggi ci si illude che vi siano scorciatoie: sostituzioni anagrafiche, alternanze di genere, logica del capo, uomini (o donne) soli al comando. Credo che non sia la strada per il paradiso. Credo che sarebbe molto meglio se le persone che tengono sul serio al futuro delle comunità nelle quali agiscono affermassero in tutti i modi possibili che la via è stretta e lunga e proprio per questo bisognerebbe che si affermassero criteri di qualità, di serietà e di competenza in tutti i gangli e in tutte le attività della vita pubblica.
Non ho la pazienza, caro amico, di continuare a fare la persona perbene aspettando la rigenerazione morale della classe dirigente e della classe diretta. Credo però di avere la consapevolezza che il mito del peccato originale rispecchi una profonda realtà. Gli esseri umani sono dotati di libero arbitrio che adoperano da centomila anni per compiere sia nefandezze che cose egregie. Le une e altre si sono fissate nel DNA e possono portare la specie umana sia alla catastrofe che a una vita meno precaria e più felice. Credo pertanto che non si possa fare altro che migliorare le leggi per arginare le nefandezze. E per migliorare le leggi sono necessari momenti di resipiscenza etica del legislatore, che non sono determinati dalla semplice buona volontà delle persone di buona volontà, ma dalla necessità di ricostruire lo Sato dopo una catastrofe (come avvenne nell’assemblea costituente) o di evitare una catastrofe nazionale incombente (come sta avvenendo). Come vedi, caro amico, sono meno pessimista di te, perché mi affido non alla buona volontà, ma alla paura.