Dal globale al locale e viceversa
È ancora possibile e come governare la civitas in nome del bene comune nell’epoca della società degli individui atomizzati?
Caro Pier,
il nostro amico Giovanni Codovini, il 26 marzo scorso, prima delle elezioni, scriveva su “Il giornale dell’Umbria” il pezzo che ti riproduco in parte con il n. 1, e dopo le elezioni il pezzo che ti riproduco sempre parzialmente con il n. 2. A me pare che egli colga un tratto distintivo della realtà umbra emerso con l’ultima tornata elettorale amministrativa, un tratto che pone a chi vuole riflettere una domanda di fondo: come governiamo a fini di bene comune una società composta di individui che si comportano come tali e che pensano ognuno a se stesso e quasi esclusivamente alla propria cerchia? O dobbiamo rinunciare a pensare, parlare ed agire avendo a riferimento quello che ritengo essere l’elemento distintivo della politica che non sia solo politicante, cioè la civitas bene comune? Tu che ne dici?
Franco
1. “Le elezioni amministrative rappresentano, soprattutto qui in Umbria, un vero banco di prova, poiché esse permettono, sempre più spesso, di selezionare rappresentanti, politici e amministratori (il termine classe dirigente è una brutta definizione burocratica che non dice nulla), che nel corso del tempo potranno mettere a disposizione della regione le proprie competenze. Ormai, questa pratica ha sostituito completamente le vecchie scuole di partito, relegando nella polverosa stanza della memoria le selezioni interne ad esso. Sono passati gli anni da quando nelle segreterie regionali e provinciali crescevano i funzionari-amministratori! Non sappiamo se sia un bene o un male, ma è un fatto. La storia ha modificato la direzione dei partiti, che debbono prendere atto – del resto essi stessi sono una parte promotrice di questa metodologia – che chi intende sviluppare la sua passione o carriera politica dal locale necessariamente deve passare. Allora, non c’è da stupirsi o temere – qui il tema di oggi – del pullulare in Umbria e in ogni suo comune di liste civiche e aperte, liste spurie e contaminate di società civile e partiti. Questa moltiplicazione civica è una moltiplicazione di forze e risorse che costituiscono il cemento della regione e il suo dna partecipativo. Esse funzionano un po’ come cartina tornasole del costume regionale, da intendersi non come ennesimo particolarismo bensì nei termini di cultura comunitaria che sorregge il dibattito pubblico e le strutture istituzionali.”
2. “C’è un processo prioritario e ormai consolidato che attraversa l’Umbria e che potrebbe spiegare i repentini cambiamenti quanto le inaspettate vittorie elettorali. Si chiama civismo. Civismo delle liste civiche, fenomeno decisivo nelle democrazie e società contemporanee, composte di soggetti e non di blocchi sociali. Civismo di partecipazione che non si riduce alla militanza politica, ma che la buca trasversalmente, andando oltre essa. … Terminiamo con una provocazione e/o una scommessa (a seconda dei punti di vista): e se alle prossime regionali vi fosse un’alleanza civica e del civismo? Ci pensino i partiti, se intendono ancora avere una funzione in Umbria.”
Partirei dalla Costituzione (che ce l’abbiamo a fare la più bella costituzione del mondo?) che recita “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Abbiamo il diritto, non il dovere, di associarsi in partiti; e i partiti sono funzionali alla politica nazionale, non a quella di Parrano o di Perugia. Quindi ben venga la crisi della partitocrazia che si manifesta nelle formazioni civiche comunali e regionali. Se però vogliamo dare una missione a questa tendenza, dobbiamo affrontare il cancro della corruzione che infetta il popolino irretito nella trama dei rapporti clientelari locali e poi sale su fino ai grandi mascalzoni che fanno terra bruciata negli apparati pubblici e privati. Cozze minuscole, piccole, grandi ed enormi tutte attaccate allo scoglio del pubblico erario, che sta conseguentemente franando. Per carità di patria, facciamo finta che non esista il discredito internazionale, così come teniamo nascoste le nefandezze della nostra storia, ma se intendiamo partecipare alla rinascita dell’Italia partendo dalla bonifica della partitocrazia, teniamo alla larga gli intrallazzatori grossi e piccoli, a costo di andare a prendere i giovinetti e le giovinette all’uscita dalle scuole o dentro i seminari e gli educandati.
Io non sarei così sicuro che riusciremmo a tenere “alla larga gli intrallazzatori grossi e piccoli” andando a prendere i giovinetti e le giovinette all’uscita dalle scuole o dentro i seminari e gli educandati. Forse per ottenere il risultato sperato bisognerebbe allevarli in ambienti speciali, ma Sparta insegna che gli esiti potrebbero essere disastrosi. Io penso che le persone perbene e gli anticorpi sono già presenti. Diciamo che forse erano in stato di dormiveglia, ammorbati dal pensiero unico del successo facile, affascinati dai traguardi raggiungibili per vie traverse, accecati dal circuito perverso di ignoranza, potere e guadagno. Ma la crisi colpisce duro, l’acqua arriva alla gola, e così ecco il risveglio, un inizio di risveglio. In Umbria è avvenuto con una certa evidenza per condizioni particolari, che sono state ben analizzate, oltre che da Giovanni Codovini, da Gabriella Mecucci, da Fabrizio Marcucci e diversi altri. Ed emerge così la forza e la diffusione del civismo, non solo a Perugia, Spoleto e Gubbio, ma a Umbertide, Ficulle, Monteleone, Montegabbione, e anche ad Orvieto. Ora si tratta di capire se siamo di fronte a fenomeni di reazione diversificata a situazioni locali critiche o all’inizio di un cambiamento strutturale destinato a durare, ciò che presuppone una voglia non episodica di partecipazione diretta alla vita politica e al governo delle istituzioni di strati sociali urbani che prima preferivano delegare. Io penso che varrebbe la pena ragionarci un po’ su. Anche perché mi pare legittimo domandarsi com’è possibile governare le singole realtà se ognuno va per conto suo, se non c’è almeno una visione territoriale e un coordinamento di istanze generali. Non si tratta certo di pretendere una specie di “reductio ad unum” della molteplicità delle esperienze locali, quanto all’opposto di dare concretezza all’idea che la differenza fa ricchezza. I partiti facciano pure le loro analisi e adottino le opportune decisioni di cambiamento, ma tutti sappiano che un’intera epoca è finita sul serio e che la nuova fase ora avviata non consentirà di perdonare chi non farà ciò che ha promesso. Forse il bene comune può tornare al centro dell’attenzione di chi ha scelto di misurarsi con i problemi della civitas. È il civismo, signori!