Dal globale al locale e viceversa
Se capisci l’Europa capisci meglio anche Orvieto
Caro Pier,
su “Pagina99” dello scorso 15 maggio si poteva leggere una approfondita inchiesta di Nicolò Cavalli dal titolo molto significativo “Settecento lobby finanziarie a Bruxelles, ecco come influenzano le decisioni”. Te ne riproduco una sintesi perché a me è sembrata utile, certo per capire come funzionano realmente le cose europee che poi influenzano e condizionano la nostra vita, ma anche per capire qualcosa di più della nostra mentalità, quella di Orvieto e di realtà consimili. Azzardo un’ipotesi: amiamo molto litigare tra noi, flagellarci e distruggere piuttosto che collaborare e costruire, perché più o meno consapevolmente sentiamo di non contare praticamente nulla per le decisioni che contano sul serio. E azzuffarci tra noi ci dà invece l’impressione di contare, di essere davvero protagonisti. Che illusione! Ed è logico che così contino di più proprio quelli più menefreghisti, più scaltri, più spregiudicati. Il punto è che “i più capaci e meritevoli” non riescono a imporsi, e anzi, più spesso di quanto non si creda, sono i primi a rifugiarsi in false illusioni, si aggregano a chi prospetta convenienze, accettano un falso meno peggio per non avere il coraggio di perseguire il meglio, perfino ostacolano chi non fa parte di alcuna greppia. Insomma, non riusciamo a fare il salto mentale che consiste nel capire che in un mondo come questo l’errore più grande è pensare che ci salviamo chiudendoci nei nostri piccoli mondi e non invece aprendoci alle sfide del tempo. Ciò che significa capire, proporre, attrezzarci culturalmente, scegliere per i posti chiave chi è più capace, insomma organizzare le difese essendo attivi, reagendo con coraggio, intelligenza e preparazione. Il guaio forse è che il clima diffuso è piuttosto ostile e lontano da questo modo di ragionare. Tu che ne dici?
Tuo Franco
“Dei 1700 emendamenti alla direttiva della Commissione sugli hedge fund, 900 sono stati scritti direttamente dai lobbisti. L’eurodeputato Sven Giegold ha dichiarato di avere ricevuto 142 richieste di incontri da parte di organizzazioni del settore nel giro di due anni. Per influenzare le leggi continentali, banche e altri istituti spendono almeno 123 milioni di euro, 30 volte in più delle associazioni non governative. Ecco come si decide a Bruxelles.
Quattromila cinquecento miliardi di euro. È questa la cifra spesa per salvare le banche in Europa tra il 2008 e il 2011 secondo il commissario europeo al Mercato interno e ai servizi finanziari Michel Barnier. Una quantità enorme di denaro dei contribuenti.
Ovunque, parlamenti e governi hanno promesso una più severa regolamentazione del settore finanziario, dopo averlo letteralmente salvato con il massiccio ricorso ai soldi dei contribuenti. Passati sei anni, però, il bilancio di quanto è stato davvero fatto è parziale. … In Europa è tuttora in corso l’iter che condurrà alla costituzione di una Unione bancaria con poteri di sorveglianza e controllo sui principali istituti di credito e di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie.
Ma perché è così difficile intervenire sulla finanza e sulle banche? Secondo quanto emerge dal rapporto The Fire Power of the Financial Lobbies di Corporate Europe Observatory, a Bruxelles è continuo l’interfacciarsi tra politica e lobby, in particolare quella finanziaria. Che opera a tutti i livelli del processo politico europeo. Il primo è quello della Commissione europea, che è responsabile dell’inizio delle procedure legislative o di emendamento delle norme vigenti. La Commissione interagisce con i lobbisti principalmente in due modi: attraverso consultazioni dirette e attraverso gruppi di consultazione ufficiali, altresì definiti “gruppi di esperti”. …
Alle diciassette consultazioni principali sul tema hanno partecipato 906 organizzazioni, 55% delle quali provenienti dall’industria finanziaria, 12% da altre industrie e il 13% da sindacati, associazioni dei consumatori e organizzazioni non governative (la cosiddetta società civile). …
Ma è l’attività parlamentare il vero campo d’azione delle lobby di Bruxelles. A consultare i registri del Parlamento europeo, come fa Corporate europe, sono 208 le organizzazioni, dell’industria e della società civile, che fanno lobby sul tema dei mercati finanziari. …
Come risultato, il Gruppo parlamentare dei Verdi ha calcolato che, dei 1700 emendamenti a una direttiva della Commissione riguardante gli hedge fund e i fondi di private equity, 900 erano stati scritti direttamente da lobbisti dell’industria finanziaria. …
Così, considerando tutti gli organismi che hanno partecipato ai vari stadi di negoziazione, approvazione e implementazione delle norme finanziarie in ambito europeo (Commissione, Parlamento, Banca centrale e Agenzie), sono almeno 700 le organizzazioni che possono essere identificate come lobby per l’industria finanziaria, contro le circa 150 quelle legate a organizzazioni non governative, sindacati e organizzazioni dei consumatori. Un rapporto del tutto sproporzionato, che non migliora quando si prendono in considerazione le effettive partecipazioni agli incontri dei singoli organismi europei. Dalla crisi a oggi, i rappresentanti dell’industria finanziaria hanno partecipato a oltre 1900 incontri sulla riforma. Più di ogni altro. …
Ma oltre alla rappresentanza nelle federazioni di categoria e nelle istituzioni, è una pratica consolidata fare lobbying in via più indiretta, ricorrendo a società di consulenza che per professione svolgono il ruolo di intermediari. Nel grafico 6 sono rappresentate le cinque società di lobbying che ottengono il maggior fatturato e i loro clienti operanti nel settore finanziario. Le spese sostenute nell’ambito della consulenza per il lobbying devono essere dichiarate nel “trasparency register” dell’UE. Da questo emerge che le cinque società più attive sono Fleishman-Hillard (che spende quasi 5 milioni di euro per conto dei suoi rappresentati), Afore Consulting (più di 2 milioni), Kreab Gavin Anderson (1,6 milioni), Hume Brophy (1,6) e Brunswick (1,4). Nomi poco conosciuti ma che contano molto in Europa. I loro clienti sono del calibro di Goldman Sachs, Jp Morgan, Mastercard, Moody’s. I loro compiti sono solitamente legati alla comunicazione e al marketing. …
Difficile resistere a una tale potenza di fuoco.
Evidentemente siamo pecore sfruttate da un Grande Pastore e siamo lasciate vivere, bene o male, perché produciamo agnellini, lana e latte per far stare bene il Grande Pastore. Ma la novità rispetto alla storia antica è che siamo pecore democratiche, cioè libere di scegliere il prato dove brucare, il posto dove meriggiare, gli spazi dove scorrazzare e i cani che mantengano un certo ordine. Altra novità è che il gregge si è fatto tanto grande e i pascoli tanto estesi che il Grande Pastore non è più identificabile in una persona coi suoi servitori, ma consiste in una organizzazione enormemente complessa tenuta insieme dal comune interesse di tenere il gregge abbastanza sano, ordinato ed efficiente da poter essere regolarmente tosato e da produrre abbastanza per competere con altri grandi greggi soggetti ad altri Grandi Pastori. L’articolo che tu riporti, sospetto che sia stato commissionato dal Grande Pastore per mandare il seguente messaggio: chi vuole brucare l’erba più fresca e più verde, cioè chi vuole accedere ai fondi europei, non s’illuda di poter fare da solo e s’affidi a una lobby che faccia parte del sistema. Infatti l’autore dell’articolo sembra che non si sia posto il problema di capire e di far capire ciò che dice, ma solo di avvertirci che dobbiamo brucare, meriggiare, girovagare (magari anche riflettere, dato che siamo pecore evolute, sul cielo stellato sopra di noi e sulla coscienza morale dentro di noi), ma dobbiamo lasciar fare il Grande Pastore. Infatti i Comuni italiani, sempre più affamati di soldi, si stanno rendendo conto che è inutile sbavare davanti al latte e al miele dei fondi europei che colano in altre contrade, ma che devono affidarsi ai faccendieri, cioè ai segugi in grado di metterli sulle tracce della lobby giusta.
Per quanto riguarda l’abitudine di azzuffarci invece di costruire, mi permetto di osservare che la nostra visione del mondo che consideriamo razionale, e che è maturata con l’illuminismo, ha cominciato a formarsi nelle società che la pratica agricola aveva reso stabili e non più impegnate nella pura sopravvivenza. Ma il retaggio genetico di meno di 20.000 anni di agricoltura non può aver dissipato il retaggio di centinaia di migliaia di anni di caccia e di raccolta. E la caccia e la raccolta non avrebbero consentito la sopravvivenza della specie umana se essa non avesse portato il retaggio della tendenza dei primati a riunirsi in gruppi. Quindi la struttura organizzativa del gruppo di caccia, con un capo e i pochi soggetti coi quali egli possa direttamente interagire, va sempre tenuta presente se si vogliono comprendere certi comportamenti umani in varie situazioni: dalla squadra dei cinghialari a quella di pallone, dalla squadra militare al time aziendale, dalla comitiva di buontemponi ai comitati di affari e ai gruppetti politici che condizionano il funzionamento dei partiti e delle pubbliche amministrazioni facendo un gioco di squadra; e la squadra, come l’antico gruppo di caccia, conta quasi sempre dalle dieci alle quindici persone ed è costituita prevalentemente da maschi. Ovviamente non mi sogno di negare che gli esseri umani siano esseri ragionevoli, ma sostengo che si debba ragionare non solo su ciò che ci piacerebbe essere, ma anche su ciò che siamo. Così evitiamo di disperarci, perché “chi dispera ha una bellissima illusione in meno e un brutto male in più”.
Commento aggiunto di F.R. Barbabella
Io sinceramente non saprei dire se si possa sostenere fondatamente che i nostri comportamenti collettivi dipendono ancor oggi da quelli legati alla fase preistorica di caccia e di raccolta della nostra specie. So invece che tutta la storia umana è una faticosa conquista e che la ragione in questo cammino ha sempre esercitato un ruolo essenziale. Certo l’irrazionale è stato sempre presente, anche dopo l’illuminismo (anzi, per certi versi proprio per contrastare l’illuminismo), talché ci sono state fasi in cui è sembrato che fosse giunto il momento di mettere tra parentesi la ragione e ritornare ai miti, con la connessa esaltazione del primitivismo e dell’uomo che, solo al comando, guida il popolo al compimento del suo storico destino. Ma, come si è visto, “il sonno della ragione genera mostri”. Oggi da nessuna parte, a partire dal mondo della scienza, c’è qualcuno che possa dirsi malato di razionalismo ideologico, per cui non ha alcun senso negare la funzione ermeneutica della ragione per capire il mondo e per essere attrezzati mentalmente al fine di garantire il futuro della nostra specie. Detto senza giri di parole, io non ritengo per nulla necessario né inevitabile comportarci come belve feroci: non ci può essere nessun automatismo tra retaggio genetico e comportamenti individuali e collettivi, semplicemente perché la ragione umana esiste ed essa può analizzare, valutare, scegliere. È come dire che connaturate alla ragione sono libertà e responsabilità. Il problema dunque è capire perché, pur sapendo che cosa è bene, spesso si sceglie il male facendosi guidare dall’istinto, dalla rabbia, perfino dalla voglia di far male e di distruggere. Io dico che è una scelta, la scelta di mettere tra parentesi le proprie facoltà razionali. Ed è dunque una responsabilità di chi tale scelta la compie. Non c’è un gregge informe ed automatico, nemmeno nell’epoca del dominio dei mass media: ci sono persone che scelgono di stare nel gregge e di essere gregge e ci sono per contro persone che non sono e non si comportano da gregge. Io non dico nemmeno che gli uni sono peggiori degli altri, dico solo che la condizione che viviamo va analizzata con strumenti che non sono dati dalla genetica e penso nemmeno dall’antropologia, quanto piuttosto dalle scienze umane, storia, cultura, economia, politica, e tutto ciò che vi è connesso (potere, forze in campo, aspirazioni degli individui, interessi, qualità delle persone, ecc.). Roba complessa e spesso con variabili significative da luogo a luogo. Ad esempio si può scegliere un Grande Pastore o un piccolo pastore piuttosto che un altro, ma perché si sceglie quello e non un altro? Si può combattere qualcuno perché lo si ritiene inadatto al compito o addirittura pericoloso, o al contrario si può sostenere qualcun altro perché lo si ritiene il più adatto e addirittura il migliore. Insomma si sceglie. E io non riesco a giustificare chi, pur sapendo bene come stanno le cose in una comunità, sceglie o di stare a guardare o di nascondersi nel gregge o di fissare il dito dimenticando la luna o anche di esaltarsi nel culto del proprio personale interesse. Disposto sempre a capire, ma non a giustificare chi sbaglia sapendo di sbagliare. Certo, so anche bene che la domanda “ma chi è che sbaglia?” non è insensata. Ed è la condizione umana, che nessuno può mai garantire a priori rispetto agli esiti delle azioni. E così torniamo a libertà e responsabilità, condizioni connaturate, croce e delizia della nostra vita.