di Danilo Stefani
I media sostengono spesso la teoria del grand’uomo. Di recente l’etichetta è stata affibbiata a Jose Mourinho e Pep Guardiola. Infatti, i due tecnici eliminati nelle semifinali di Champions League pochi giorni fa, sono stati definiti “prima di tutto grandi uomini”. Un marchio di fabbrica e un esempio, sciorinato a mani basse e come un lampo nella tempesta. Eliminati? Certo, ma sono grandi uomini, mica comuni mortali!
Ora, lungi dalla tentazione di fare della facile retorica o demagogia, lo spettatore – lettore – ascoltatore – è bombardato da messaggi strepitosi. E quando il messaggio è accompagnato da una voce suadente o da un’estetica accativante, coglie meglio nel segno. I media, al contrario della pubblicità, non lo fanno sempre di proposito; ma spesso gli viene naturale. Il grand’uomo è entrato nel “ vocabolario”, meglio se accompagnato da una caduta, da una fase in discesa.
Il peggio di certe definizioni è il loro potere di contagio.
Che cosa dicono certi militanti di Forza Italia? Che Berlusconi è un grand’uomo e uno statista di valore assoluto. In discesa e quindi grande. C’è il calo di popolarità, c’è il protagonismo del personaggio; solo alcuni ingredienti per ritenerlo grande.
Quindi, dal profano al “sacro”, la sommarietà con cui si usano certi termini è emanata ai cosiddetti Vip, specie se in disarmo: una qualità di sublime al contario, una consolazione elargita per rimettere a posto le cose.
E quando interviene una malattia devastante? Sembra essere tale se colpisce un protagonista del cinema o dello sport, della politica o di qualsiasi attività purché sia bene in evidenza. E allora ecco che “sta reagendo da grande uomo qual è” (o da grande donna). Anche per questo quando questi protagonisti soffrono o se ne vanno in silenzio, ci lasciano disorientati.
Di lui non si sapeva più niente perché “era malato da tempo”. Viaggiano a fari spenti nella notte, illuminati solo da un senso di dignità collettiva, prima che i media accendano i loro riflettori.