di Danilo Stefani
Pasqua è sempre Pasqua: il significato religioso è profondo. Tuttavia, nelle pieghe della festa, può trovarsi la sorpresa, l’evento che trascende dall’accezione comune. Un’esultanza di novità luccicante.
Nel giorno di Pasqua, la città è diventata l “isola felice”. Si notano segni tangibili di aria nuova.
Poca presenza e tanta salutare sostanza: ecco allora le strade vuote, le strisce pedonali sicure, niente rumori. Il cittadino dorme i sonni tranquilli di chi non si è risparmiato nella tradizione del pranzo.
Per molti, Cristo è rimasto in chiesa e la propria parte è finita con la messa. Per altri, la festa laica ha primeggiato solenne. Si puo’ dire: “Niente di anormale è Pasqua!” Ciò che non è normale (quindi, per i più, “strano”) è guardare per “vedere” e ascoltare per “sentire”.
A passeggio troneggia un completo stato d’animo di relax. Si arriva nel parco assolato. Le ombre degli alberi sembrano assumere vita propria: il nero ombroso diventa pieno e dai contorni ben definiti. Forse anche questi “amici”, che spesso non notiamo, amano la pace.
Ai margini del grande prato verde, vi sono cinque persone per cinque panchine. Ognuno occupa una panchina. Tutti ascoltano il silenzio, con lo sguardo posato placido sul davanti. Sono tutti stranieri; di nazionalità e spirito. Forse per loro non è Pasqua, e se ne giovano. Si percepisce l’umore di gente in panchina abituata alla “curva”: un assenso dissenso all’ingiustizia della riserva, alla vita da gregario.
Solo una giovane coppia appare correndo intorno al grande prato verde e luminoso. In una pista quasi vuota, solo i pensieri tracciano una scia e battono la polvere ferma nel sole.
Vengono in mente le parole di Lorenzo il Magnifico, sull’incertezza del domani per i giovani.
Ma lui, il Magnifico, ha mai avuto le certezze di questi momenti?
Più tardi caleranno le ombre sulle panchine. Si alzerà un venticello impertinente. E i panchinari si leveranno. Sarà il tempo di tornare nel retroscena.
Tutt’intorno, i titolari hanno ripreso a riempire gli spazi dell’assenza. E torna il coro dalle troppe voci. Ad accompagnare le riserve, non rimane che il sospiro. La città, dopo qualche ora, è risorta.
Beati gli ultimi, se i “primi” saranno sempre meno presenti.