Giallo a Ciconia. I tigli hanno incominciato a suicidarsi?
Caro Pier,
già l’anno scorso di questi tempi “una libera cittadina” aveva segnalato con un’accorata lettera ad OrvietoSi che alcuni tigli lungo il viale omonimo di Ciconia erano misteriosamente e improvvisamente ingialliti e destinati a morte sicura. La settimana scorsa, sempre su OrvietoSi, un “cittadino indignato” ma ugualmente rigorosamente anonimo ha denunciato lo stesso “strano” fenomeno con la lettera che ti riproduco sotto. Qualcuno potrebbe pensare che ti segnalo un argomento minore, di quelli che si possono ignorare senza crisi di coscienza. Niente affatto, dal mio punto di vista si tratta di cosa molto seria. Non solo per la cosa in sé, la morte di alcuni magnifici tigli, ma per ragioni di etica pubblica, di segnali di degrado della vita collettiva. La vicenda permette infatti di cogliere almeno due aspetti che mi sembrano degni di riflessione. Il primo: ci sono cittadini che, come sembra, si risolvono da soli i propri privati problemi con danno per la collettività; perché, come sembra, nessuno che abbia il dovere di farlo se ne preoccupa? Il secondo: ci sono altri cittadini che denunciano questi comportamenti incivili, ma lo fanno in modo rigorosamente anonimo; perché fanno così? di che cosa hanno timore? A me questi comportamenti sembrano segnali significativi di degrado della vita pubblica. Tu che dici?
Franco
“E’ sbocciata la primavera. E non tutti i tigli di via dei Tigli hanno germogliato. Chissà per quale strano fenomeno della natura ma proprio quelli in prossimità di passi di accesso. Ora mi chiedo da libero cittadino: qualcuno, anche tra i nostri politici che tanto cercano di perorare la causa ambiente se ne è accorto? Quale messaggio etico e civile dovremmo dare ai nostri figli, che dovremmo operare come in una specie di far west dove la legge la stabilisce il più spregiudicato e comunque la si scrive da soli? Mi sembra che su questa vicenda si sia troppo taciuto. Ma sono o non sono gli spazi verdi e gli alberi sovrastanti bene comune o no? Intanto, ogni anno sempre meno tigli germogliano.”
Sono un moderato sostenitore del verde nelle strade e nelle piazze. Nel senso che preferirei le essenze arbustive e cespugliose, che, rispetto alle arboree, comportano meno costi di manutenzione e, soprattutto, non creano problemi di sicurezza. Ciò detto non considero certo un comportamento morale e civile provocare la morte degli alberi pubblici, anche quando arrecano qualche fastidio. Non so se certi comportamenti siano in aumento, ma so che non sono una novità.
… al globale
Quello di Renzi fu vero cambiamento? A chi l’ardua sentenza, solo ai posteri o già anche a noi?
Caro Franco,
questo pezzo di Angela Mauro su www.huffingtonpost.it mette in evidenza le difficoltà che stanno attraversando le riforme proposte dal governo. Matteo Renzi dice che si gioca il tutto per tutto; ma a me non sembra tanto spericolato. È vero che va avanti con la temerarietà di un funambolo; ma sa che, se gli fanno lo sgambetto, cade sulla forte rete di protezione costituita dalle elezioni anticipate. E gli sgambettatori lo sanno. Tu come la vedi?
Pier
“Ormai è un braccio di ferro quasi quotidiano. Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi che chiede al senatore Vannino Chiti di ritirare il suo testo alternativo sulle riforme costituzionali e lui che risponde di no: “Non lo ritiro”. Oggi, prima di presentarsi in commissione Affari Costituzionali a Palazzo Madama dove proprio per via del testo Chiti il dibattito si è ingarbugliato non poco per il governo, il ministro Boschi ha persino scritto una lettera al Corriere della Sera per reiterare la sua richiesta al senatore Chiti, esponente della minoranza Pd. Una modalità, quella scelta da Boschi, non casuale, in quanto fa esplicito riferimento al recente scambio di missive tra il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Non è poco. Perché è proprio al Capo dello Stato che il governo Renzi guarda come al ‘deus ex machina’ in grado di sbrogliare la situazione in Senato e salvare l’esame delle riforme costituzionali, che il premier vorrebbe vedere approvate in prima lettura entro le europee del 25 maggio.”
Bah, che ti dico?, quello che affermi tu mi pare sensato, ma io resto comunque perplesso. Questa storia di Renzi mattatore infaticabile dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, che una ne fa e cento ne dice, che le spara grosse e tutti a corrergli dietro, mi sembra più uno spettacolo massmediatico che una interessante e coinvolgente vicenda politica che ti attanaglia cuore e testa e ti fa stare col fiato sospeso per vedere come va a finire. Insomma, non mi va di farmi coinvolgere più di tanto dal racconto che ne fanno giornalisti interessati molto a riempire pagine e molto meno a far capire bene l’oggetto del contendere. Che invece c’è, eccome se c’è, e però bisogna indovinarlo, leggerlo tra le righe, come tanti bravi esperti di sopraffina dietrologia.
A me che sono un incallito tifoso della democrazia realmente pensata e realmente praticata sembra di capire che sono arrivati al pettine nodi che si trascinano da almeno una ventina d’anni e che hanno come centro cardiaco il funzionamento delle istituzioni democratiche, lo stato democratico. Nodi irrisolti per decenni hanno provocato per reazione, nelle condizioni create dalla crisi economico-sociale che ci attanaglia e dall’incapacità dei partiti e del ceto dirigente di farvi fronte, un bisogno diffuso di cambiamento, che Renzi ha saputo spregiudicatamente interpretare e che sta attuando con la velocità di chi sa che se si ferma è perduto.
Ma la velocità è nemica della riflessione. E infatti i provvedimenti del governo sono si cambiamento (per questo poca fatica: basta alzarsi la mattina), ma a parte il fatto che spesso è un cambiamento più annunciato che praticato, quando diventa praticato appare più schiacciato sulle pulsioni popolari che sul pensiero pensato per migliorare la realtà secondo un’idea portante chiaramente espressa. Non si vede infatti mai il barlume di un disegno generale, un’idea di società da costruire (non certo perfetta, ma almeno migliore e in che senso migliore), un’idea di stato da riformare nell’impianto e nella logica. Cambiare per cambiare che cambiamento è?
Ne sono esempi lampanti, oltre alla riforma del lavoro per alcuni aspetti, soprattutto la riforma della legge elettorale e la riforma del senato. Mi pare che si possa dire, seppure certo con schematica brutalità, che se da una parte c’è una volontà di fare, dall’altra c’è una pari volontà di non far fare. Ma proprio per questo nell’uno come nell’altro caso è più che altro evidente non tanto la capacità di riformare per migliorare o la contestazione per migliorare meglio, quanto la capacità di manovrare per prevalere.
Comunque, in qualche modo di cambiamento si deve parlare, al di là della stucchevole tiritera giornaliera sulla tenuta o meno del patto renzianberlusconiano per le riforme. Ma io che ho passato la vita a desiderare che il cambiamento significasse affrontare i problemi di una società statica, arretrata e ingiusta, con analisi approfondite e una chiara e partecipata direzione di marcia, resto perplesso, molto perplesso. Perché cambiare vuol dire porsi consapevolmente il problema di riformare l’esistente per incidere sui comportamenti, ciò che può avvenire solo se le persone hanno introitato la logica delle soluzioni condividendone gli effetti desiderati. Ma a qualcuno risulta che si fa così?
Non vedo tutto questo. Non vedo un rapporto tra riforme proposte e riflessioni già fatte o in atto. Non dico che si debbano conoscere e tanto meno necessariamente far proprie le riflessioni sulla crisi delle democrazie occidentali e applicare le teorie riformatrici di John Rawls e di Amartya Sen, ma che almeno non si riduca tutta la carica riformatrice a interesse del momento e a tattica e manovra. Sennò alla fine porterà il vessillo del vero riformatore Roberto Calderoli. Abbiamo bisogno di un po’ di luce in fondo al tunnel, non dello spettacolo mediatico di tre/quattro attori lillipuziani che si contendono le cariche pubbliche con una gara a chi salta più in alto sulla fune.
Voglio gridarlo: non è accettabile che si eroda passo dopo passo il diritto del popolo di scegliersi i propri rappresentanti in nome dell’ossessione (demagogica) delle riforme a costo zero; né è accettabile che la riforma dello stato avvenga a tozzi e bocconi, senza uno straccio di visione generale e coerente, dal centro alla periferia, pensata come armonica distribuzione di poteri e di responsabilità distinte e convergenti tra stato, regioni e comuni. Ma mi rendo conto di essere forse solo un romantico tifoso della democrazia e perciò osservo attonito il popolo plaudente alla gara per chi riesce a fare il migliore racconto di come finì una repubblica che sperava di diventare migliore.
Nutro però, nonostante tutto, la speranza che alla fine l’esito di questa fase convulsa sia positivo. Spero che prevalgano le persone e le forze che sono animate da autentico spirito riformatore e che per questo sanno mettere al primo posto l’interesse generale. E spero in particolare nell’opera del Presidente della Repubblica, la cui saggezza e lungimiranza è oggi più che mai preziosa. Perché se è vero che per “rottamare” ciò che è usurato e inservibile sono importanti e anzi necessari irruenza e coraggio, è anche vero che non c’è vera rottamazione senza sostituzione o ricostruzione e in questo passaggio non si deve correre il rischio di buttar via con l’acqua sporca anche il bambino. In politica, come del resto in generale nella vita, l’esperienza serve.