Dal locale …
Le città dell’antica Dodecapoli etrusca si candidano ad essere dichiarate dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Ma Orvieto non ci sta.
Caro Pier,
ecco un’altra chicca. Mercoledi 2 aprile mi ha colpito parecchio la notizia – comparsa su molti giornali locali dell’Umbria, della Toscana e del Lazio, che ti riporto sotto in sintesi – della firma avvenuta il giorno prima a Chiusi di un protocollo d’intesa per avanzare all’UNESCO la candidatura dei Comuni del territorio dell’antica Dodecapoli etrusca ad essere dichiarati patrimonio dell’umanità. Del progetto fanno parte tutti i comuni dell’area umbro-toscano-laziale interessata da quegli storici insediamenti. Ne manca solo uno: Orvieto.
Ho cercato di capire se si fosse trattato di una svista nella comunicazione dell’avvenimento: non c’è stata nessuna svista; semplicemente Orvieto era assente. Ho cercato allora di capire se ci fosse stata una volontà di esclusione da parte di qualcuno: no, nessuna esclusione, mi è stato riferito; è il Comune di Orvieto (più precisamente l’Amministrazione del Comune di Orvieto) che ha deciso di non aderire.
Ti confesso che sono rimasto di sasso. Ma come, mi sono detto, Orvieto non solo faceva parte della Dodecapoli, ma era la sede del Fanum Voltumnae, il santuario federale etrusco, e non partecipa ad una simile iniziativa? Dopo essersi tirati indietro dalla partecipazione, insieme a Perugia ed Assisi, al progetto di candidatura a città europea della cultura 2019, ora ci si è estraniati anche da quest’altra iniziativa? Per me è cosa stupefacente. Per tante ragioni, e tra queste per esempio anche per il fatto che a capo del Comitato scientifico c’è il prof. Mario Torelli, colui il quale, io sindaco e Adriano Casasole assessore alla cultura, ipotizzò Orvieto come sede del Fanum Voltumnae e supportò scientificamente il nostro progetto di parco archeologico anulare dando forza anche alla ripresa degli scavi. Per cui non si può dubitare che il progetto sarà di spessore ed avrà tutte le caratteristiche utili a raggiungere un esito positivo.
La decisione di tirarsi fuori da simili iniziative ritengo sia perciò cosa grave, non solo in sé ma anche per il significato generale che oggettivamente assume, che è quello di una città che, mentre afferma che altri tendono ad isolarla, fa tutto il possibile per autoisolarsi. Orvieto non vuol essere “città europea della cultura”, non vuol essere “città etrusca patrimonio dell’umanità”, di fatto non vuol essere nemmeno “città del Corpus Domini”. Non solo non si prendono iniziative, ma non si va nemmeno al traino di altri che invece le prendono. Ma insomma, che cosa vuol essere questa nostra benedetta città? Attenzione, non sono sciocchezze; così si tagliano i ponti con la storia e con la realtà; così ci si nega da soli il futuro. Tu che ne dici?
Franco
“Chiusi ha tenuto a battesimo la sottoscrizione del protocollo di intesa tra le città etrusche che intorno al 750 a.C. hanno fatto parte di quell’antico accordo economico, militare e religioso di città-stato avente il nome di “Dodecapoli”. La firma è avvenuta oggi nella sala conferenze San Francesco grazie al coordinamento del sindaco di Chiusi Stefano Scaramelli, dell’assessore al sistema Chiusipromozione Chiara Lanari, dell’assessore Giovanni Tarantini del Comune di Perugia – comune capofila del progetto – alla presenza della stampa e dei rappresentati istituzionali degli altri Comuni aderenti al progetto Dodecapoli (Arezzo, Castiglione della Pescaia, Cerveteri, Chiusi, Cortona, Formello, Grosseto, Montalto di Castro, Perugia, Piombino, Tarquinia, Volterra). Il progetto della Rete delle Città Etrusche concepisce la città, o meglio la “Spur” in etrusco, come un modello “la cui conformazione urbana – si legge nel protocollo d’intesa – che nasce come luogo fisico e dei rapporti sociali in Grecia, in Italia è stata reinventata dagli Etruschi che ne hanno fatto un modello dalla Valle Padana fino alla Campania ed è stata trasmessa a Roma durante la monarchia etrusca; insieme ad essa è stato trasmesso anche un modello di convivenza e forma sociale che attraverso il controllo diretto e l’egemonia della civiltà romana ha determinato i canoni urbanistici europei fino al medioevo: le città dell’Etruria erano in numero di dodici, formavano quella che tutti conoscono come Dodecapoli e testimoniavano una rete di scambi e di relazioni commerciali oltremodo significativa”. … i Comuni hanno avviato il percorso per la richiesta di iscrizione delle città etrusche al patrimonio dell’UNESCO, elaborando un progetto di candidatura unitaria che superi il concetto del monumento o del singolo sito, ma si orienti verso la ricostruzione del sistema delle città-stato, valorizzando non solo le caratteristiche artistiche dei singoli siti, ma i valori comuni che le uniscono; l’oggetto della candidatura, infatti, non è riferito solamente alla ricchezza testimoniale della civiltà etrusca presente nelle città, ma alla condivisione degli elementi costitutivi dell’intero sistema urbano, paesaggistico e dei valori espresso dalla Dodecapoli. Oggetto, quindi, della candidatura è il “sito seriale” rappresentato dalle testimonianze delle città etrusche.” Con l’intento quindi, da un lato di portare avanti azioni e progetti di rete, dall’altro di ottenere quanto prima il riconoscimento Unesco (attualmente l’Italia con 49 siti Unesco è la nazione più titolata al mondo) la firma, sottoscritta a Chiusi, cui potrebbero aggiungersi altri Comuni, impegnerà tutte le amministrazioni aderenti ad aumentare reciprocamente la propria rete di rapporti culturali, turistici e commerciali così da fare del progetto, ancora prima del verdetto di Parigi, una occasione effettiva anche di rilancio con ricaduta economica. … Il progetto, che comprende quindi tre Regioni: Toscana, Umbria e Lazio, ha un comitato scientifico che supporterà la candidatura Unesco, il cui Presidente è il Professore di storia dell’arte classica all’Università di Perugia Mario Torelli (uno dei massimi esponenti viventi della storia etrusca a livello mondiale). …”
Estraggo dal sito www.treccani.it: “Dodecàpoli s.f. [comp. del gr. δώδεκα «dodici» e πόλις «città»; cfr. gr. δωδεκάπολις agg. «formato di dodici città»]. – Nella Grecia antica, lega di 12 città; indica in particolare la confederazione delle 12 città ioniche dell’Asia Minore (Chio, Clazomene, Colofone, Eritre, Efeso, Focea, Lebedo, Mileto, Miunte, Priene, Samo, Teo). Dagli storici il termine è stato esteso a indicare anche la lega, a carattere sacro, delle dodici città etrusche (dodecapoli etrusca) che ebbe il suo centro nel Fanum Voltumnae presso la città di Volsinii (l’odierna Orvieto).” Quindi una iniziativa in materia di dodecapoli etrusca che escluda Orvieto, anzi, non s’imperni su Orvieto, mi sembra improponibile e nemmeno accettabile da qualsiasi persona colta; infatti, anche se non tutti gli storici concordano sulla composizione della dodecapoli etrusca, tutti concordano che vi facesse parte l’Etrusca Velzna, oggi quasi universalmente identificata con l’odierna Orvieto. Perché il Comune di Orvieto non abbia ancora aderito a questa iniziativa di Chiusi lo ignoro, poiché i consiglieri comunali non sono stati né interpellati né informati. Spetta al sindaco di Orvieto chiarire il mistero.
… al globale
Le donne di Matteo
Caro Franco,
la tenacia con cui Matteo Renzi valorizza le donne è stata stigmatizzata come una insincera operazione di marketing elettorale, oppure è stata valutata positivamente, come fa Lucia Annuziata nel seguente pezzo. Tu come la vedi?
Pier
“Un giorno il Premier si sveglia e dice “capolista tutte donne”, e il giorno dopo ancora “ai vertici delle più grandi aziende pubbliche tante donne”. Il gesto vero è quello di sfondare il tetto di cemento. Sfondarlo quasi come operazione militare, per creare la breccia attraverso cui incanalare con velocità tutte le competenze e le forze femminili che pullulano alla base della piramide sociale. Poi le donne diventeranno come tutti.”
Sì, nella scelta di Renzi c’è sicuramente un’operazione di marketing elettorale, ma questo non può scandalizzare nessuno, se non altro perché da un bel pezzo quasi tutto è elettorale e perché c’è da domandarsi che cosa oggi non sia diventato marketing. Piuttosto mi pare che il giudizio che dà Lucia Annunziata su questa scelta di Renzi sia sufficientemente calzante. Lei dice: Renzi vuole “sfondare il tetto di cemento” mettendo delle donne al vertice sia delle liste per le elezioni europee che delle aziende pubbliche, per liberare le loro energie ed utilizzare le loro competenze. E conclude: “Poi le donne diventeranno come tutti”. Appunto, la prossima volta la novità non ci sarà più e bisognerà inventarsene un’altra, ma per ora c’è e va bene così. Certo, io sono uno di quegli irriducibili romantici che vorrebbero sentire affiancare alla parola donna anche altre parole o espressioni come “scelta per merito”, “dotata delle necessarie competenze”, “la migliore per quel ruolo”, magari a seguito di una valutazione di specifici percorsi esperienziali, diciamo in qualche modo una selezione che non sia quella del capo. Ma queste, me ne rendo conto, possono essere ritenute, o effettivamente sono, fisime di intellettuali detti una volta piccolo-borghesi, quelli che ancora pensano che la democrazia è un responsabile mettersi in gioco per un bene più largo di quello individuale o di gruppo e che non vogliono arrendersi nemmeno all’evidenza brutale della realtà. Che è la seguente: Renzi ha bisogno di stupire, di spiazzare, di far capire che è lui che comanda, pena il crollo, rapido e irrimediabile di tutta l’operazione. Per questo oggi usa le donne, che sono ovviamente contente di essere usate. Ma usa anche tante altre cose per “sfondare il tetto di cemento”. Io non rinuncio certo ad essere un irriducibile romantico della democrazia, ma cerco anche di guardare in faccia la realtà. Perciò dico che chi si lamenta di quello che sta accadendo ora farebbe bene a chiedersi almeno due cose: in primo luogo come, perché e per responsabilità di chi, il sistema Italia si è così sclerotizzato che ad un certo punto tutto è sembrato essere solo destinato ad un immobilismo in caduta libera verso il basso; e in secondo luogo perché la paura o il non interesse del popolo sovrano di dare una bella sterzata quando era il tempo si sia poi tradotta in un applauso (vedremo se addirittura scrosciante) per un ragazzo azzardoso che una ne fa e cento ne dice, in attesa naturalmente di godere quando verrà impallinato. Come sempre. Vogliamo dircela una cosa impopolare in un orecchio? Eccola: un Paese può considerarsi normale quando il ricambio delle classi dirigenti è metodico, cioè avviene con procedure chiare e libere, ma anche stabili, e non con guizzi o spunti geniali di un capo che alle due di notte manda un tweet, et voilà … ecco la soluzione! Ma, se oggi così è, la ragione c’è, eccome se c’è! E non si tratta di sperare che comunque passerà “‘a nuttata”. Alla fine della fiera, infatti, niente sarà come prima.