Una legge recente vieta agli enti locali di vendere beni patrimoniali per coprire disavanzi di parte corrente. L’economia, che è una scienza, e la ragioneria, che è una tecnica, sono per definizione razionali. Quindi l’alienazione di beni patrimoniali da parte dei comuni per far fronte a disavanzi straordinari di parte corrente è stata sempre considerata perfettamente razionale e giuridicamente lecita. Sennonché i comportamenti degli esseri umani, compresa quella sottospecie costituita dagli amministratori pubblici, non sono sempre razionali. S’era così diffusa l’abitudine di produrre disavanzi a ripetizione, da coprire con alienazioni fino all’esaurimento del patrimonio. Alla fine una legge irrazionale ha cercato di metterci una pezza, vietando le alienazioni non destinate a nuovi investimenti, invece di mandare a casa gli amministratori che provochino più di un disavanzo.
Fatto sta che il comune di Orvieto, che ha ancora un discreto patrimonio, ha ormai margini ristretti di manovra; ancora più ristretto dai freni alle cosiddette partecipate, cioè quelle società, associazioni e fondazioni nelle quali i comuni mettono in tutto o in parte il capitale e quasi regolarmente lo perdono.
In questo contesto, il complesso dell’ex caserma Piave, di proprietà comunale, e il complesso dell’ex ospedale, appartenente al servizio sanitario, languono inutilizzati e si degradano, erodendo di giorno in giorno il patrimonio pubblico. Comune e regione si guardano bene dal calcolare e comunicare il danno quotidiano che provocano quelle inutilizzazioni, anche perché sono colpevoli delle mancate manutenzioni. Ogni goccia di pioggia che penetra dai tetti dell’ex caserma e dell’ex ospedale provoca danni molto superiori al costo necessario per impedire a quella goccia di penetrare. Nessuno risponderà di questa situazione micidiale, come nessuno rispose del degrado che subì il nuovo ospedale durante le lunghissime sospensioni dei lavori. Alla faccia di chi crede ancora nello Stato di diritto.
Allora mi prendo il lusso di dire che cosa farei se fossi amministratore unico del comune di Orvieto.
Venderei l’ex palazzina comando, magari con l’aggiunta di un pezzo di casermone, per farci un albergo con sufficienti stelle da attirare chi ha soldi da buttare in lussi, completando così l’offerta alberghiera in funzione del turismo congressuale. Col ricavato comprerei l’ex ospedale e lo affitterei a una nuova cooperativa sociale (aperta alle adesioni di tutti gli orvietani e oltre) con l’obbligo di ricavarne una serie di servizi popolari che mi permetto di elencare, anche se, come si dice, l’elenco non è esaustivo:
– Poliambulatorio a disposizione di tutti i medici di famiglia;
– Residenza sanitaria assistenziale per lungodegenti;
– Casa di riposo per non autosufficienti;
– Casa di riposo per autosufficienti, anche per brevi soggiorni;
– Sale per l’assistenza ai cittadini colpiti dalla demenza senile nelle varie forme;
– Centro di riabilitazione e ginnastica dolce;
– Servizi termali (piscine riscaldate, idromassaggio, sauna, massaggi);
– Sale per conversazione (con giornali, televisori e bar);
– Sale per giochi;
– Mensa popolare per servire pasti ai soci anche con recapito a domicilio;
– Centro acquisti di beni alimentari di consumo, anche con consegna a domicilio, per i soci che non possono o non vogliono usare l’automobile o i servizi pubblici;
– Servizio di pulmini per viaggi a richiesta di qualsiasi tipo nell’ambito del comprensorio e zone limitrofe;
– Casa del pellegrino.
Il tutto finanziato con le quote dei soci e le tariffe dei servizi, salvo contributi a carico del servizio sanitario
e dei comuni per quanto di loro competenza nei confronti dei loro assisiti.
Si tratta di una proposta che crea molti posti di lavoro (che fanno bene al corpo), oltre a lasciare spazio al volontariato (che fa bene allo spirito).
Si tratta di una proposta che salvaguarda il patrimonio comunale, valorizza il terzo settore e richiama i cittadini ai valori della cooperazione.
Si tratta di una proposta rispondente allo spirito con cui il libero comune di Orvieto edificò il Duomo, che non era a beneficio del clero, ma di tutta la società civile.
Non si tratta di un suggerimento per i programmi elettorali dei candidati sindaci perché è tanto concreta da urtare troppe suscettibilità.
Si tratta di una proposta che nascerebbe morta se sponsorizzata da una fazione politica.
Chi ha avuto la cortesia di leggermi e vuole darmi la sua opinione, anche se negativa, può scrivermi a postaleoni@gmail.com; risponderò puntualmente.