L’impressione di “trasparenza” arriva sempre a sorpresa. Al semaforo, passeggiando sotto i portici, al mercato, o dovunque vi sia un assembramento di persone, l’uomo sembra perdere la sua unicità per essere inglobato e disconosciuto. Eppure i corpi ci sono: cuori che pulsano, menti che elaborano; uno scheletro fornito di muscoli, che si esprime attraverso la parola accompagnata dai gesti. Ma niente, l’uomo invisibile può vedere senza essere veduto. La massa trabocca e si trasforma in un ego gigantesco senza pietà e senza visioni.
Non serve a niente aver vissuto l’adolescenza negli anni 70’, quando l’individuo era tale e non esisteva niente di global, tranne le arti: musica leggera e letteratura erano pensate e diffuse per arrivare a spettatore, lettore e ascoltatore. Gli anni 70’, anzi, sono un’aggravante: perché si può notare la differenza e osservare quanto ti senti fantasma rispetto a quel mondo.
Oggi se non sei “social” non sei nulla, e non puoi stupirti di sentirti invisibile. Quale lusso! Che pretese! Non sei niente e vorresti che ti vedessero, oh povero illuso. Collègati, disconnettiti, cambia la password, qualcuno vedrà e ti sentirà. Il fantasmino viaggia on line per cercare amicizie, il cyberspazio è accogliente e solidale: e vi si trova tutto per sentirsi niente; mandare poke per fare toc – toc, i “mi piace” per essere fraintesi e lusingati, e i disegnini della buona notte e del buon giorno a sigillo del quotidiano.
Poi, quando torni in strada, arriva sempre la sorpresa della trasparenza. Ma perché chiamarla “sorpresa”? Perché per sorprendersi, bisogna accorgersi, e questa è un’altra aggravante: come si può definire chi scrive queste righe consapevoli, eppure le scrive e poi digita l’input? Un fantasma dissidente, un cavaliere inesistente, un guerriero senza scudi, un sognatore che si adegua: ciascuno, se vuole, si dia la risposta; per sentirsi più concreti e pensanti forse occorre disperdere il social e trovare l’unicum, almeno per un po’.
Dopo, nessun problema. Si tornerà a navigare nelle placide acque, d’altronde, anche se c’è tempesta, i fantasmi mica affogano.