di Mario Tiberi
“Alea iacta est”: i giochi son stati espletati e le schiere di candidate e candidati si stanno ormai già posizionando sul “campo di battaglia” e, davanti a loro, estesa e insidiosa si apre la piana di una contesa all’ultimo voto per uno scranno sul piedistallo più alto, quello di Sindaco, e su quelli inferiori a latere, di spettanza dei consiglieri comunali.
Sembrerebbe tutto perfetto, senonché dell’etica applicata alla politica pare non interessare quasi nulla a nessuno.
Sto notando, infatti e con preoccupazione, come gli indici di gradimento e di accesso alla lettura dei corsivi e degli editoriali dedicati all’evento elettoralistico registrino, dove più dove meno, degli sbalzi considerevoli a seconda della prospettiva d’approccio al medesimo.
Quando sono in pubblicazione articoli che trattano di accese polemiche politiche più formali che di contenuto, di attacchi personali da scontro cruento, di denigrazioni spesso sconfinanti nel pettegolezzo e nelle ciarlerie da angolo di strada, i lettori si scatenano nel leggerli, rileggerli e commentarli a proposito e a sproposito e, comunque, a più non posso.
Quando invece vengono pubblicati dei brani a prevalente o stretta sostanza culturale, sia di letteratura che di filosofia generale o di etica dei costumi o di politologia, allora l’accoglienza da parte dei lettori diventa improvvisamente e inspiegabilmente tiepida e distaccata, per non dire ostile e reiettiva.
Mi ci pongo anch’io tra coloro che hanno scritto sia delle une che delle altre e, con codesto “excursus”, depongo per sempre quell’aureola da “santarellino moralista” che qualcuno maliziosamente ha voluto affibbiarmi, riconoscendomi né senza colpe né senza peccati.
Il libero confronto delle idee, il dialogo serrato e stringente, la dialettica franca e non pregiudiziale sono il lievito e il fermento indispensabili per una comunità di persone che ambiscono a crescere in termini di civiltà e di promozione umana.
Se solo potessimo operare un salto nel passato e ripercorrere alcune tappe della storia di Roma, “Caput Mundi”, capiremmo meglio il senso di chi siamo oggi e del perché lo siamo: è vero, la “Lex et Pax Romana” furono imposte molto spesso con il ferro di spade insanguinate; portarono, però, in tutto il mondo allora conosciuto le infrastrutture materiali e culturali che consentirono alle popolazioni barbare di uscire dalle caverne della preistoria. E quando, per ragioni contingenti o strategiche, i Romani lasciarono le terre civilizzate, quelle stesse popolazioni, non più alimentate dagli “Antiqui et Sacri Mores”, ripiombarono ben presto nella barbarie e nella costumanza selvaggia.
Diciamoci la verità: lo spettacolo politico e civile dei nostri giorni non è certo esaltante e ciò che più allarma non è tanto la carenza di robusti e validi presupposti di dottrina, quanto la riottosità delle masse ed anche delle dirigenze ad elevarsi di mente con l’applicazione agli studi e l’approfondimento delle conoscenze.
Assistiamo così ad un ritornante imbarbarimento dei costumi e dei comportamenti, singoli e collettivi, e nessun campo, all’interno del quale si esplicano le attività umane, risulta immune da tale contaminazione.
Gentili lettrici e cortesi lettori, dovremmo per questo demordere o non invece proseguire pazientemente l’opera di semina e di irrigazione, granello per granello e goccia per goccia, anche per chi stizzosamente sembra voltarci le spalle?.
Abbiamo tutti il dovere di guardare avanti ed, allora, il mio riflettuto pensiero e il mio convinto sostegno andranno solamente a chi, nella disputanda campagna elettorale, “SAPRA’ DISTINGUERSI PER COMPETENZA, SIGNORILITA’ DI GESTI, CORAGGIO E COMPROVATA COERENZA”.
La nostra Orvieto ha così sovrabbondante gloriosa storia dietro di sé per essere abbandonata e lasciata orfana!.