Riceviamo da Comitato Officina Comune e pubblichiamo.
Si racconta che quando cominciarono a sferragliare i primi treni, diversi medici giurarono sulla loro intrinseca nocività. Ritenevano che le vibrazioni prodotte avrebbero danneggiato irreparabilmente il sistema nervoso. La storia fu invece un’altra: i trasporti diventarono uno strumento di progresso e il sistema nervoso delle persone non subì alcun danno.
Gli argomenti usati dai sostenitori del NO alla fusione rischiano di ripetere le prognosi dei medici ottocenteschi. Ci si concentra sul particolare, sui cartelli stradali, su ipotesi di riorganizzazione ancora da allestire e si perde di vista l’obiettivo più generale. Cioè quello di fare un nuovo comune e fare di esso uno strumento di sviluppo del territorio.
Perché fare un comune più grande? Perché in questo modo i diritti dei cittadini diventano maggiormente esigibili, perché il maggior peso politico rende possibile negoziare questioni oggi semplicemente subìte, perché la riorganizzazione degli uffici determina la specializzazione delle funzioni assicurando un servizio migliore, perché ci sarà una maggiore capacità di progetti per attrarre nuovi residenti, nuove imprese e nuovi investimenti.
Un comune più grande permette di pensare in grande. E solo pensando in grande è possibile aver cura dei singoli paesi, delle singole municipalità e delle storie millenarie in cui ci riconosciamo.
Fino a qui non abbiamo mai menzionato i trasferimenti aggiuntivi dello Stato e della Regione previsti in caso di fusione, la possibilità di accedere in via preferenziale ai bandi regionali e nazionali e la sospensione del patto di stabilità interno. Misure che consentono al nuovo ente di nascere con uno slancio altrimenti impensato. Risorse da destinare all’organizzazione di efficienti servizi manutentivi , alla realizzazione di nuovi servizi socio-sanitari, alla riduzione del carico tributario, al cofinanziamento di progetti di sviluppo, al rafforzamento dei servizi scolastici presenti in ciascun paese, alla realizzazione di un servizio di trasporto.
Si parla del dito e non si guarda alla luna. C’è una crisi destinata a far sentire i suoi effetti ancora per molto. C’è l’esigenza di far ripartire un processo di crescita economica, sociale e culturale. C’è l’urgenza di cogliere le opportunità offerte dalla nuova programmazione comunitaria, dal progetto delle aree interne e dal contratto di fiume.
Come si affrontano tali questioni? Con inconcludenti unioni o altrettante inconcludenti riunioni azzoppate dai veti incrociati e dalle ansie di consenso? ?
Vogliamo metterci insieme per essere più forti?
Questo ci pare essere il senso del referendum del 13 aprile.