di Mario Tiberi
Nel luglio del 1969 risuonò ripetutamente, su tutto il nostro pianeta, il radiomessaggio a seguire: “Qui Apollo 11… Houston, mi sentite?”. E forse non tutti sanno che fu una penna, una volgare biro di nessun valore commerciale, a salvare l’intera missione spaziale che portò l’Uomo sulla Luna. Si era, infatti, danneggiato l’interruttore di accensione del motore principale del modulo lunare ma, come per magia, gli astronauti non si persero d’animo e, con un colpo di genio, ristabilirono il contatto elettrico di accensione con la punta metallica della biro in questione.
Parafrasando quanto sopra e completando la trilogia sulla “isola che non c’è” (e che potrebbe divenir pur tetralogia o pentalogia o esalogia et cetera), potrei proferire: “Qui Perengana… Orvieto, mi sentite?”. Se mi sentite, mi proverò a sintetizzare il quadro socio-politico-economico della città del Duomo.
In economia, le fluttuazioni cicliche posseggono un elevato quoziente di validità fisiologica solo quando, a periodi depressivi, si alternano periodi espansivi con periodicità costante; quando invece ciò non accade, il quadro economico complessivo decade nel patologico ed è, purtroppo, quello che sta avvenendo in Orvieto e nel suo circondario.
Finita la “età dell’oro” con la chiusura del ciclo delle grandi opere pubbliche degli anni sessanta e settanta del secolo scorso, esauritosi l’effetto propulsivo della “Legge Speciale” per il consolidamento del masso tufaceo e rupestre, venuta meno la massiccia presenza in città del personale militare dell’Esercito e dell’ Aeronautica, la nostra economia è caduta nel precipizio di una marcata sofferenza e, ad oggi, non sembrano intravedersi valide vie d’uscita almeno nell’immediato.
Assistiamo, inoltre, ad un fenomeno che ha veramente dell’incredibile: nel momento del pericolo per tutti, logica vorrebbe che si unissero le forze disponibili mentre, sta accadendo, esattamente il contrario. All’unità d’intenti dell’imprenditoria agricola, artigiana, della piccola e media industria, del terziario tradizionale ed avanzato assieme all’unità della politica sulle grandi scelte strategiche, rappresentata in quei frangenti quasi esclusivamente dalle forze cattolico-democratiche e social-comuniste, si contrappongono nell’odierna attualità profonde divisioni non solo tra settori e comparti antinomici e contrapposti, ma anche all’interno di singole categorie omogenee e che generano, inevitabilmente, aspre conflittualità e financo episodi di concorrenza ai limiti estremi della lealtà.
Di motivi, a fronte di codesti mutamenti di stampo sociologico, ve ne sono in abbondanza e possono principalmente individuarsi nella persistente e robusta contrazione della domanda di beni e servizi dovuta alla crisi economica generale e che si ripercuote, a livello locale, soprattutto per effetto di una più specifica crisi di natura politica e partitica, sociale e culturale sinanche a toccare la sfera della religiosità, nella duplice componente della gerarchia ecclesiastica e del popolo dei credenti.
Pare di assistere ad una lotta senza quartiere e spesso all’ultimo sangue di tutti contro tutti, nella illusoria convinzione che l’abbattimento del concorrente possa salvaguardare le ragioni della propria sopravvivenza.
Niente di più errato: la verità va ricercata nella acuta arretratezza culturale dei ceti dirigenti, politici e imprenditoriali, in quanto privi di idee originali ed innovative, incapaci di contrastare efficacemente le deleterie rendite di posizione corporative e conservative, impreparati ad affrontare il rischio di riconversioni aziendali in funzione delle nuove domande provenienti dal mercato interno ed estero, riluttanti infine a comprendere che la stagione della sola edilizia o delle sole attività estrattive sta volgendo inesorabilmente al tramonto se, non già, sia defunta e sepolta.
Bisogna allora guardare altrove e, dopo un’attenta analisi delle varie criticità, predisporre un lungimirante quadro prospettico di serie e razionali proposte, basate su una piattaforma programmatica dalla quale emergano progetti di sviluppo futuro idealmente ambiziosi e concretamente praticabili.
Valga, ad esempio, il seguente correlato da cui non potranno prescindere le menti più lucide e più al passo con i tempi: il turismo nelle sue varie articolazioni, da sempre uno dei volani dell’economia orvietana, ha nel centro storico della città il proprio fulcro di maggiore attrattività ed è, quindi, da esso che occorre ripartire attraverso un ripensamento globale per quel che concerne le sue attrazioni monumentali, artistiche e storiche.
Di una certezza, per concludere, debbono però convincersi le Orvietane e gli Orvietani: la governante amministrazione civica di centrodestra, ormai in scadenza, e la precedente di centrosinistra sono parimenti responsabili dello scadimento complessivo della realtà cittadina. La seconda per aver affossato l’unico fattibile progetto di trasformazione e valorizzazione del nostro più consistente “Bene Comune”, rappresentato dagli immobili della Piave; la prima per essere stata incapace di produrre una benché minima idea alternativa in tale direzione.
Se, dunque, una misera penna per scrivere ha salvato l’Apollo 11, potrà una altrettanto penna per scrivere salvare la città di Orvieto?. Che sia la mia o quella di altri, poco importa e non me ne cale. Purché sia nitida e limpida, lucida e raziocinante, precognitrice e lungimirante.