È il momento topico in cui le cene, se è presente più di un estraneo alla famiglia, diventano incontri elettorali e possono sfociare in più vaste occasioni politico-culinarie, quelle in cui all’improvviso si alza uno di alto profilo e dice che è imprescindibile rinnovare, le idee sono tante, c’è la fattiva adesione di molti amici che non sono potuti intervenire, ma la prossima volta sì, che Orvieto è al centro dell’Italia, c’è l’autostrada e la ferrovia, e che se è ridotta in queste condizione è per una sequela di incapaci che si sono succeduti (il discorso è uguale a destra e sinistra, anche il menù).
Il bilancio comunale dei prossimi dieci anni è praticamente concordato e i debiti saranno pagati in piccole comode rate da un milione ogni anno. Ai balzelli portati al massimo ci si abitua e poco dopo ci si dimentica perché ci sono e chi li ha messi è soltanto questione di punti di vista.
Se domani governerà la destra tuonerà che la sinistra non vuole apportare possibili eventuali migliorie per alleggerire il peso dei sacrifici “di chi non ce la fa”, che pure sarebbero possibili, e chiederà di eliminare la tassa di soggiorno, fardello insopportabile e ingiusto. E ricorderà che le disgrazie vengono tutte da lì, dal dover pagare debiti effettuati da certi che ne facevano di debiti, gente di sinistra, quelli sì che sperperavano, milioni e milioni. Sette, forse venti o settanta. Si racconta di viaggi e gemellaggi, o gemelli, insomma cose indicibili.
Se governerà la sinistra dirà che i destrorsi hanno infognato Orvieto nell’indigenza e la colpa è di un gruppetto venuto da fuori, senza neppure parenti qui, tutti andati via senza avere saputo rubare neppure un quattrino e lasciare un’idea. A uno hanno perfino giustamente tamponato la piscina, trasformata in un più consono orto sociale.
Quasi tutto vero.
Abbiamo trascorso cinque anni di inutili discussioni, che per orgoglio abbiamo definito “politica amministrativa” e che sono stati soltanto sbracati ragionamenti su come vendere quello che c’era.
Il ragioniere Bronzo avrebbe ottenuto lo stesso risultato. Se fosse stato lasciato in pace anche migliore.
L’impegno del Consiglio a equilibrare il bilancio è stata una bufala che ci viene raccontata per giustificare le lunghe trasmissione di Pelliccia e creare suspense, tra “ce la farà”, “lo perderemo?”. L’apparenza che ci fosse vita in città la donava il generoso presidente Fumi allungando pietosamente il tubo dell’ossigeno, che garantiva cenni di vitalità, a volte anche convulsioni, come il festival Ushuaia.
La differenza tra un’amministrazione buona e una cattiva, a questo punto e per i prossimi anni, sarà soltanto la presenza o meno di persone che sanno ascoltare, pensare con ordine e senza pregiudizi, e poi decidere e operare con volontà, capacità, passione e onestà. E quella intellettuale non basta più.
Se noi amministrati sapremo riconoscerli, in ogni comune dell’Orvietano dove si voterà, allora saremo stati elettori abili, e saremo aiutati a moltiplicare la ricchezza che esiste e soprattutto a inventarci quella che non c’è.
Per fortuna si è chiusa la storia della ricerca dell’uomo di alto profilo, ormai una macchietta attaccata in modo indelebile al povero Scopetti, ma vecchia decenni, da quando i parlamentari il PCI se li portava da Roma o Milano, gente che capiva, un po’ come Còncina che, Leoni ce lo ricorda spesso, è stato per noi “anche troppo”. Ma a quei tempi il PCI candidava nei nostri collegi, per essere eletti di sicuro, dirigenti di quelli tosti, altro che Concina, compagni con tre frogie nel naso, da Ingrao a Veltroni.
Dall’altra parte politica non si poteva fare, perché le preferenze non le garantiva nessuno e i democristiani si dovevano accontentare di aspirare all’amicizia lontana di quelli che contavano, (portavano doni agli sposi, ai cresimandi, ai comunicandi e qualcuno presenziava anche alle relative cerimonie).
Sono esclusi i rarissimi casi di indigeni di successo, come Tiberi o Ercini.
Per la cosiddetta classe dirigente non c’è mai stata un grande possibilità di crescere in spazi così angusti come i nostri, ma i partiti e i preti sgrezzavano i dirigenti più svegli, li preparavano, c’era discussione, prima di parlare era necessario ascoltare altrimenti ti facevano vergognare, gli argomenti si approfondivano e si studiavano, si andava perfino a scuola di partito. Nel 1976 trascorsi una settimana a Berlino come dirigente Dc locale e andai anche a Berlino Est, per raccontare al ritorno di aver verificato de visu che straccio di vita conducessero quelli dell’altra parte del muro. I giovani comunisti nostrani che visitavano la Russia accompagnati dal compagno dirigente, diciamo la verità, tornavano frastornati dalla propaganda e di stupidaggini ne ingozzavano un bel po’ più di noi, ma digerivano tutto.
In quegli anni ho conosciuto uomini e donne della nostra terra che si guardavano intorno con curiosità colma di speranza, esprimevano pensieri pensati, ascoltavano e ribattevano, seppure la forza straordinaria delle ideologie limitasse tante generose energie e mortificasse intelligenze vivacissime, sprecate in inutili contrapposizioni.
La fatica di superare quanto pensavamo prima di pensare ci fregò spesso e in tanti sono rimasti convinti che i comunisti non mangiano più bambini perché ora preferiscono il pesce e che i democristiani sono delinquenti e ladri perché poi si confessano e passa tutto, basta la benedizione del prete.
In questo racconto c’è un po’ di gioco ma anche intense storie meno banali delle mie battute.
Questo soltanto ho capito, da allora a oggi, con certezza, e voglio gridarlo perché è da questa consapevolezza che tutto può ripartire: il pregiudizio è l’atto del pensiero in assoluto più dannoso.
A maggio ci troveremo di fronte persone imbellettate che si proporranno al meglio, successi lucidati, sconfitte opacizzate, bugie splendenti. Ma ci saranno anche persone oneste che sapranno proporsi per quello che sono e che, se osservati senza pregiudizi, sono forse quelle che servono a tutti per spazzare via l’aria pesante che non consente di innalzarsi alle idee, che non sono un accessorio del bilancio, sono la politica.
No, non ci facciamo ridurre a una città di ventimila abitanti.
Confesso che ho un uomo di riferimento nella politica nostrana, una persona che non conosco personalmente ma che è il mio tipo dell’ uomo onesto amministratore pro tempore: Paolo Raffaelli, il giornalista Rai. È stato deputato, due volte sindaco di Terni e poi è tornato a fare il cronista della Rai locale, ricominciando dalle feste di paese.
I peli del naso gli nascondono le tre frogie tipiche del vecchio comunista, ma forse non si vedono perché non ci sono più. Di persone così, se guardassimo senza pregiudizio, potremmo vederne anche qui.